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      5 architetture dimenticate che probabilmente non conosci

      5 architetture dimenticate che probabilmente non conosci

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      Venezia, le mostre da vedere nei giorni della Biennale 2022

      Yutaka Murata, Padiglione del Gruppo Fuji, Osaka, Giappone, 1970

      Capitolo architettura effimera

      L’Esposizione Universale di Osaka del 1970, la prima tenutasi in Asia, è passata alla storia per l’elevato grado di sperimentazione e inventiva dei padiglioni progettati dagli architetti. Intitolata “Progresso e Armonia per l’Umanità”, l’evento si pone come l’obiettivo di mostrare al pubblico l’applicazione di tecniche moderne, sottolineando in parte anche l’impatto negativo che l’industrializzazione e il progresso scientifico hanno avuto sul sistema ecologico globale. Per Expo 1970 Yukata Murata, con Mamoru Kawaguchi, progetta la grande struttura pneumatica del padiglione Fuji. Il padiglione ha una base formata da un cerchio di 60 metri di diametro, è alta 30 metri ed è formata da sedici enormi tubi pneumatici uniti tra di loro a formare la volta della copertura – questi sono stati gonfiati in loco fino a raggiungere la posizione esatta definita nel progetto esecutivo.

      “I progetti effimeri, ovvero i progetti il cui ciclo di vita è molto breve, sono la tipologia architettonica che viene dimenticata con maggiore facilità. In particolare i progetti realizzati per le grandi Expo, seppur di grandissima qualità, nel corso del Novecento hanno avuto un successo temporale per poi rimanere vittime dell’oblio della memoria”.

      Manifestazione: Expo 1970, Osaka (Giappone), 15 marzo-13 settembre 1970. Progetto: padiglione temporaneo per Esposizione Universale. Crediti immagini: Dante Bini. Segnalato da: @Bianca Felicori

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      Alessandro Anselmi e Paola Chiatante, Cimitero Comunale di Parabita, Lecce, Italia, 1967-1982

      Capitolo architettura cimiteriale

      Tra il 1967 e il 1982 Alessandro Anselmi e Paola Chiatante progettano il nuovo cimitero comunale di Parabita, in provincia di Lecce, concepito come un insieme di edifici legati tra loro in un disegno spaziale unitario. “Il progetto del cimitero di Parabita” racconta Anselmi “nasce in un’atmosfera di confronto e di polemica nella situazione dell’architettura italiana ed europea di quegli anni […]. La nostra ossessione era rivolta a due categorie che consideravamo costitutive della dinamica concettuale dell’architettura: la geometria e la storia, il rigore e la coerenza della forma, cioè l’immagine che la forma aveva assunto in momenti particolarmente significativi del divenire umano […]. Operammo perciò una manipolazione dell’archetipo, una distorsione dell’immagine per mezzo di un atto formale semplice: quello del salto dimensionale, del salto di scala”.

      “La stessa sorte tocca all’architettura cimiteriale, in particolare agli ampliamenti del cimiteri realizzati nel corso del Novecento, ma per altri motivi. In particolare questa categoria architettonica è vittima di un retaggio del passato che riduce la morte a tabù, motivo per il quale inserire in un discorso architettonico i cimiteri risulta ancora oggi abbastanza difficile”.

      Indirizzo: Via S. Pasquale, 73052 Parabita (LE). Coordinate: 40°03'18.8"N 18°07'29.7"E. Stato di fatto: esistente, in buono stato di conservazione. Progetto: ampliamento cimiteriale. Crediti immagini: SAA&A, Studio Alessandro Anselmi e Associati. Segnalato da: @Anna della Tommasina, @Ilaria CZ, @Gian Marco De Vitis

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      Günther Domenig con Volker Giencke, Edificio polivalente di una scuola a Graz-Eggenberg, Austria, 1974-77

      Capitolo architettura animale e per gli animali

      L’intera opera di Günther Domenig è caratterizzata da una prepotente rottura con i canoni tradizionali dell’architettura moderna verso una nuova interpretazione della disciplina legata non solo allo studio di un nuovo stile – spesso definito “manierismo organico” – ma anche ad un viaggio introspettivo e psicologico nella personalità e nella sfera privata dell’architetto stesso. Tra il 1974 e il 1977 Günther Domenig, assieme a Volker Giencke all’ingegnere Otto Thaller, progetta per una scuola di suore un edificio polivalente che deve ospitare al suo interno uno spazio mensa, una sala conferenze e un teatro. Il risultato è un involucro tutt’altro che anonimo, un organismo complesso la cui superficie è liberamente modellata e alla cui esecuzione hanno partecipato in modo creativo anche gli operai stessi, coinvolti dagli architetti nel processo di gestazione dell’opera.

      “Le forme organiche e biomimetiche come quelle disegnate da Domenig erano, negli anni Settanta, una risposta rivoluzionaria alla rigidità del Movimento Moderno, non sempre apprezzate dalla critica e dalla storia dell’architettura”.

      Indirizzo: Georgigasse 84, 8020 Graz, Austria. Coordinate: 47°04'33.7"N 15°23'45.3"E. Progetto: edificio polivalente per una scuola. Stato di fatto: ancora in uso e in buono stato di conservazione. Crediti immagini: Atelier Giencke & Company

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      Studio 65, discoteca Barbarella, Dubbione di Pinasca, Torino, Italia, 1972

      Capitolo tempo libero

      “Entrate, messieurs et madames, nel baraccone musicatissimo, a vedere un’autentica flotta siderale, reduce da viaggi millenari, ad ascoltare le melodie d’altri cosmi, d’altri pianeti e sistemi stellari che volano a suon di mazurka, di meteore che ondeggiano con il fox-trot”. Così Studio65 descrive, nel 1972, il loro progetto di arredamento di una discoteca nel torinese. Si accede al locale underground attraverso un tunnel che dall’esterno permette di raggiungere lo spazio ipogeo, uno spazio quadrato, con un anfiteatro. La cabina del disc-jockey e il bar sono due navicelle spaziali; il soffitto è d’oro “finto” e per tavolini vi sono alcuni segmenti di colonna ionica, reperti archeologici di antiche civiltà terrestri.

      “Club, villaggi turistici, navi da crociera, dopo la Seconda Guerra Mondiale con il boom economico in Europa e in America nasce una nuova architettura dedicata al tempo libero e al benessere dell’uomo. Negli anni Settanta i principi di tale architettura vengono portati agli estremi grazie anche ad un processo di revisione dei principi architettonici, che portano alla nascita di una nuova architettura chiamata poi fantastica, radicale e visionaria, di cui si tende a parlare ancora in maniera troppo poco approfondita”.

      Stato di fatto: smantellato. Progetto: allestimento di una discoteca. Crediti immagini: Archivio Storico Studio65 - fotografie di Paolo Mussat Sartor. Segnalato da: @Ste Lik, @Renzo Scotto d'Abusco

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      Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, Casa a Lissone, Lissone, Italia, 1978

      Capitolo architettura residenziale

      La casa bifamiliare a Lissone progettata da Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi è un esempio maturo dell’applicazione dei principi di superamento dell’architettura razionalista. Salvati stesso lo considera uno dei loro lavori più interessanti, grazie soprattutto all’uso del colore e delle forme nel disegno all’ingresso che rompe la simmetria dell’edificio. La loro ricerca su una nuova concezione di spazio abitativo qui si traduce anche in un intenso rapporto tra interno ed esterno della casa, in cui il calore dello spazio domestico viene annunciato nel prospetto principale proprio da questo uso smoderato del colore e delle forme geometriche, sia per quanto riguarda i motivi decorativi sia per i volumi.

      “Gli anni Sessanta e Settanta sono anche gli anni in cui gli architetti rivedono i principi del movimento moderno verso una nuova concezione dello spazio dell’abitare. Salvati e Tresoldi hanno iniziato a pensare ad una nuova concezione dell’architettura, che supera i limiti funzionalisti del razionalismo verso l’inclusione dell’immaterialità degli aspetti spirituali nella progettazione architettonica. Gli spazi interni che disegnavano erano spazi di libertà, non spazi rifugio, né macchine, né antri, ma palcoscenici aperti allo spettacolo del vivere quotidiano”.

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