La ricostruzione messa in atto al termine della Seconda Guerra Mondiale, figlia della necessità e delle politiche economiche attuate dalla neonata Repubblica, comporta una violenta accelerazione del settore edilizio e un rapido sviluppo del tessuto urbano delle città italiane; in particolare quello dei grandi centri industriali e politici, fra cui Milano. Il Boom Economico si concentra in pochi anni, 1954-1961, ma l’onda d’urto si propaga a ritmo sostenuto per tutto il decennio successivo, modellando le città in cui oggi viviamo e le macro-aree all’interno delle quali ci spostiamo quotidianamente.
Sarebbe un errore voler leggere nel dopoguerra Milanese il solo tema della ‘super-produzione’ di manufatti alimentata da appetiti speculativi quando, invece, è stato un periodo di grandissimo fervore culturale, grazie alla volontà di aggiornare tipi edilizi, materiali e tecniche costruttive per assecondare il cambiamento di una società in rapida evoluzione, ormai pronta a nuovi stili di vita e a un nuovo gusto. Il carattere epocale del periodo storico favorisce un naturale dibattito – le cui polarità possono facilmente essere individuate nelle riviste Domus e Casabella-Continuità – sull’orientamento da seguire: decidere di affidarsi all’iniziativa privata della nuova borghesia oppure a quella pubblica, scegliere di importare gli stilemi d’oltreoceano oppure promuovere una continuità con la tradizione lombarda e le preesistenze ambientali.
La natura ideologica del dibattito influenza per anni la cultura architettonica milanese e a farne le spese sono alcuni dei progettisti più attivi del periodo. Se una parte della pubblicistica accoglie subito i loro progetti con l’urgenza di divulgarne il carattere innovativo fra gli addetti ai lavori, l’altra, invece, li rigetta in quanto ritenuti forieri di una qualità solo ‘illusoria’ perché compromessa dal mercato, giudizio quest’ultimo non privo di ambiguità.
Caso emblematico è quello di Gigi Gho’, ingegnere e architetto formatosi nello studio di Gio Ponti – i due sono legati da una profonda amicizia e da reciproca stima – e diventato professionista autonomo poco più che trentenne. A Milano realizza la sede della Torcitura Borgomanero e il Condominio di Via Sant’Antonio Maria Zaccaria con scultura luminosa di Lucio Fontana e ceramiche di Fausto Melotti nell’atrio.
Sempre a Milano, Gho’ progetta l’iconico edificio in Piazza della Repubblica con balconi d’angolo che consentono una vista a 270 gradi sui monumenti della città, la sede della Co-Fa (ora Bayer) in Viale Certosa e anche i civici 4-6-8 di Via Legnano, la cui articolata organizzazione interna delle funzioni diventa motivo compositivo delle facciate e in cui risalta l’accurato studio dei cromatismi, sia per gli spazi interni che per rivestimenti esterni.
La riscoperta di Gho’ e di altri architetti del periodo come i fratelli Soncini, Magnaghi, Terzaghi, Mattioni, Asnago, Vender e i Latis – solo per citarne alcuni – avviene purtroppo solamente in tempi recenti, lasciando queste figure per anni ai margini della storiografia ufficiale “relegate all’interesse di pochi studiosi ed estimatori”, come citato ne Il professionismo colto nel dopoguerra, a cura di A. Sartori e S. Siuriano (Milano: Abitare, 2012).
Proprio il desiderio di promuoverne e valorizzarne il lavoro spinge il figlio di Gigi Gho’, Cesare, a istituire nel 2017 l’archivio dei progetti del padre, affidandone la curatela all’architetto Alessandro Sartori. Intuendo la necessità di consentire il più ampio accesso al materiale in suo possesso così da garantirne la massima diffusione, viene digitalizzata e subito resa disponibile online la documentazione minima essenziale – costituita da disegni e fotografie d’epoca – per permettere una prima lettura e comprensione dei progetti di Gho’; la parte del materiale di dettaglio, invece, è lasciata alla sola consultazione in situ. Questa scelta divulgativa e in controtendenza ha consentito di scoprire progetti poco pubblicati, come il condominio a ville sovrapposte di Via Monte Generoso, oltre al proliferare di iniziative – fra cui la prima mostra monografica nel 2021 – e di collaborazioni con critici, fotografi e studiosi, fra questi Marco Biraghi, Lorenzo Degli Esposti, Sosthen Hennekam, Daniele De Lonti, Matteo La Macchia, Robert Ribaudo e Luca Trevisan.
L’Archivio Gigi Gho’ è senza dubbio un esempio virtuoso che inaugura la sua attività in un momento particolarmente significativo. Infatti, la mancanza di informazioni causata da anni di narrazione solo parziale del periodo postbellico, è aggravata oggi dal venir meno della possibilità di attingere alle testimonianze dirette dei protagonisti esclusi e dal deperimento dei loro archivi cartacei, di cui è urgente procedere alla digitalizzazione e catalogazione. Inoltre, il delicato passaggio generazionale della documentazione, con le ovvie difficoltà di conservazione e divulgazione del materiale che un soggetto privato si trova ad affrontare, concorre al progressivo scostamento di alcuni progettisti ai margini della storiografia, lontano dalla vista e dall’interesse di storici e curatori. È necessario perciò intervenire per tutelare, valorizzare e mettere a sistema tutte le fonti, siano esse di istituzioni private, istituzioni pubbliche o ancora in possesso degli eredi, creando una piattaforma che ne consenta un più facile accesso e che ne permetta una lettura omogenea.
L’interesse nell’architettura moderna del dopoguerra milanese non è solamente di carattere storico: i progettisti di oggi possono trovare nello studio di quegli anni esempi eccellenti di architetture in grado di coniugare intelligentemente e di valorizzare vicendevolmente le “realtà tecniche, economiche e regolamentari” che sono “sostanza, condizione e storia vera dell’architettura di oggi”, come dice Gio Ponti stesso in Domus 234. Non si tratta, cioè, di ammirare nostalgicamente un periodo mitico e irripetibile dell’architettura moderna – atteggiamento che creerebbe non poche frustrazioni – ma di comprendere come i giovani progettisti di allora abbiano saputo coniugare le normative, le innovazioni tecnologiche e la qualità formale, con un approccio colto, ricco di concretezza e sapienza tecnica, come l’esempio di Gigi Gho’ ci insegna.