Metropolis e Gotham, il giorno e la notte della città americana

Un viaggio nell’urbanistica fantastica di due città del fumetto che sono una lo specchio dell’altra, incarnando tutte le contraddizioni della metropoli a stelle e strisce contemporanea.

Da un lato gli occhi luminosi che ti scrutano nella notte buia, dall’altro l’ombra che oscura il sole di giorno. Ecco Batman e Superman, una dicotomia di opposti che si manifesta anche nelle città che abitano: Gotham e Metropolis. Due metropoli immaginarie che fin dalla cosiddetta golden age del fumetto americano, gli anni Trenta e Cinquanta, sviluppano due visioni antitetiche della città americana contemporanea.

Sono proprio i due eroi a descrivere tali spazi in modi così distanti in uno dei tanti crossover che li ha visti protagonisti: in Batman/Superman #53 del dicembre 2008, il Cavaliere Oscuro definisce Metropolis “un incubo art deco”, tutta luci brillanti e angoli arrotondati, mentre l’Uomo d’Acciaio parla di Gotham parimenti come un incubo, questa volta realizzato in pietra e metallo. Effettivamente, nessuno dei due si è allontanato molto dalla realtà delle cose.

Di Gotham è impossibile non notare la peculiare skyline notturna, le piccole luci immerse nel buio. Una delle sue descrizioni più efficaci è sicuramente quella fornita da Neal Barrett Jr. nelle prime pagine della storia Batman: The Ultimate Evil (anno 1995), in cui Gotham viene paragonata alla Città delle Luci per eccellenza: Parigi. Tuttavia, nonostante l’apparente romanticismo che si cela dietro a una simile suggestione, la realtà dei fatti è ben diversa. Batman osserva Gotham come fosse un gargoyle appollaiato sui grattacieli che si stagliano contro il cielo notturno. Nel frattempo, molto più in basso, per le strade imperversa la criminalità, tra l’ombra degli altissimi edifici che riposano dopo il tramonto e la luce fredda e fioca dei lampioni, che non può proteggere i cittadini dal male imperversante. Un esempio su tutti è dato proprio dalle origini del Pipistrello: nato una notte nel buio di Crime Alley, dove Bruce Wayne è “morto” insieme ai suoi genitori, facendo nascere il mito di Batman.

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Quanto è davvero profondo il rapporto tra i due eroi e le città che li ospitano? La recente run di Tom King, ex analista Cia e tra i più apprezzati sceneggiatori di fumetti degli ultimi anni, sulla testata Batman, è sicuramente tra quelle più focalizzate sul rapporto che intercorre tra il Crociato Incappucciato e la sua città. In particolar modo, l’arco narrativo pentapartito I am Gotham che ha aperto la sua gestione nel 2016 racchiude tutto il legame profondo, distorto e di totale dipendenza che si è sviluppato negli anni tra l'ammantata figura misteriosa e un simile covo di criminali.

Per come è stata costruita negli anni la sua mitologia, Batman si è rivelato una cosa sola con le vie di Gotham, in un rapporto quasi simbiotico. Nel corso di I am Gotham, però, accade qualcosa di molto particolare. Ci sono dei nuovi eroi a reclamare il ruolo di protettori della città, facendosi carico addirittura del suo nome, Gotham e Gotham Girl, due fratelli che promettono faville. Come reagisce Batman a tutto questo? Almeno inizialmente, resta al palo. Arranca, si muove con meno scioltezza e sembra arrivare sempre “secondo”, lui che è abituato a viaggiare a velocità devastanti da una zona all’altra della metropoli. Addirittura, momento dal forte contenuto simbolico, i due eroi rispondono al “suo” Bat-segnale, al momento del bisogno, in quel luogo cardine che unisce il Crociato Incappucciato al popolo che difende.

Batman inizia a nutrire dei dubbi. Quindi, anche l’equilibrio di Gotham si sgretola sotto i suoi passi lenti e stanchi: crollano palazzi e i ponti. La gente muore. Cadono gli aerei. Tutto va in un’unica direzione, quella del caos, nonostante (almeno in teoria) ora gli occhi puntati sulla città siano il triplo rispetto a prima. Com’è potuto accadere? Quello che sembra essere l’inizio della fine, effettivamente lo è. La strada tortuosa che King ha fatto attraversare a Batman appare man mano sempre più in salita: il Pipistrello sarà nuovamente spezzato, una volta per tutte, sotto ogni punto di vista, e la sua città calerà a picco con lui. Per questo, non c’è da stupirsi che il culmine della narrazione dello sceneggiatore arrivi con City of Bane, l’arco narrativo che lascia la città in preda ai malviventi.

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Una delle più recenti iterazioni visive di Gotham è stata ricostruita da Cristopher Nolan per le strade di Chicago, tuttavia la spiccata verticalità della città di Bruce Wayne va ricercata altrove, in un luogo che, paradossalmente, costituisce il più grande punto di contatto con l’opposta città di Metropolis: New York. Se è vero che Metropolis si ispira a essa nei suoi suggestivi panorami diurni, tanto lo fa la moderna versione di Gotham per le sue meno rassicuranti e scarsamente illuminate ore notturne.

Metropolis è la magniloquente città dell’opulenza, dove tutto è bagnato dal sole e perfetto sotto ogni aspetto. Tra le pareti vetrate dei suoi grattacieli risiedono società di grande successo, anche se, molto spesso, non proprio votate al rispetto della legge. I nemici di Gotham sono uomini di strada, quelli di Metropolis sono gli individui di potere. La LexCorp, la società del villain Lex Luthor, è l’emblema del male oscuro della città, quel parassita che cresce dall’interno, che sotto una facciata scintillante distrugge la vita di chiunque entri in contatto con esso. Superman non è davvero figlio di quel luogo, o forse perché è sempre rimasto in fondo al cuore il ragazzo del Kansas (dov’è cresciuto con la famiglia Kent). Quindi, non c’è da stupirsi se Clark (o Kal) non abbia mai interiorizzato in modo così potente il legame con Metropolis, tanto quanto Batman ha fatto con Gotham.

Risale a Death of Superman (1992) la scoperta che anche gli eroi apparentemente invincibili possono morire. Quando Doomsday e Superman si scontrano, Metropolis paga delle conseguenze indicibili: distruzione ovunque, macerie e un numero spropositato di vittime. Ma la ricostruzione passa anche per quest’evento così tragico: i detriti fanno da altare per Lois Lane, che in un momento di umana pietà tiene tra le braccia il suo amato moribondo, mentre il mantello rosso sventola alle sue spalle a mo’ di bandiera di speranza lacerata dai tristi eventi; e la Metropolis che risorge da quell’evento riesce a rialzarsi proprio ricostruendo tutto attorno al memoriale dedicato all’Uomo d’Acciaio.

Ma nel caso di Superman è in una maxiserie fuori continuity che è stato mostrato il legame più profondo tra l’eroe e la Città del Domani. Nel corso di All-Star Superman, pluripremiata storia in dodici albi firmata da Grant Morrison e Frank Quitely nel 2005, l’eroe ha dovuto attraversare una sorta di “ultimo anno” di vita per sistemare tutte le proprie questioni in sospeso. I lettori hanno così potuto assistere a un momento estremamente intimo, ambientato proprio tra quei grattacieli apparentemente senza fine: l’Azzurrone salva un adolescente dal suicidio. Ma sono gli enormi edifici sullo sfondo rendono la solitudine e la disperazione dell’intera sequenza ancora più marcata. Dietro all’apparenza del suo splendore, quella è Metropolis, la degna sorella di Gotham.

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