Il mercato di Rialto, da centro del mondo a un presente incerto

Un libro di Donatella Calabi ripercorre la storia di quello che è stato il centro di una “economia mondo”, e oggi è un mercato rionale in crisi. Quali prospettive per il futuro? L’intervista. 

Durante la peste del 1575, il notaio veneziano Rocco Benedetti annotava che il virus arrivasse dall’estero, che un terzo della popolazione cittadina scomparve (circa 50.000), le calli e i campielli fossero deserti, il silenzio assoluto, nessuno poteva allontanarsi da casa salvo un permesso scritto, il Canal Grande vuoto, il ponte di Rialto chiuso, le bottegh  serrate, la crisi economica e la necessità di un reddito d’emergenza. Sembrerebbe pura cronaca, mentre è il lavoro storico abituale di Donatella Calabi che, occupandosi per tutta la vita di studiare i mercati in generale [1] e quello realtino in particolare [2], porta fin nel suo cognome una traccia delle tante e remote relazioni mercantili di Venezia con l’Oriente – significa infatti “di Aleppo”. Storica dell’architettura e della città di lungo corso – allo Iuav è stata allieva di Bruno Zevi e Leonardo Benevolo, poi collega di Ennio Concina e Manfredo Tafuri–, è ora alla testa del movimento civico Progetto Rialto https://www.progettorialto.org/.

Vittore Carpaccio, Il miracolo della Croce, 1494. Nel dipinto compare il Ponte ligneo di Rialto e il Fondaco delle Farine, nel quadro di un evidente cosmopolitismo (diversi costumi, colori della pelle, linguaggi) dell’insula realtina e della stessa città di Venezia in età moderna. (Venezia, Gallerie dell’Accademia)

Ci parli di questa sua nuova avventura da attivista culturale e in un certo senso politica.
Progetto Rialto è un’associazione tesa a mobilitare la cittadinanza veneziana, che comprende molti stranieri e amici di Venezia come la Professoressa di Cambridge Deborah Howard, per la salvaguardia di questa città a partire dal suo vecchio mercato sapendo che oggi sta passando uno dei momenti di maggiore difficoltà.

Nel libro che ha appena pubblicato, Rialto. L’isola del mercato a Venezia (Verona, Cierre 2020 €19) è una sintetica storia di un luogo che è stato il centro di una “economia mondo”, ma riassume anche tutti i problemi attuali, può indicarceli?
In primo luogo c’è senz’altro il calo demografico che però caratterizza quasi tutti i centri storici italiani, ad esempio il centro di Bologna ha più o meno gli stessi abitanti di quello di Venezia, anche se le morfologie delle due città sono estremamente diverse. In secondo luogo c’è il cambiamento strutturale del commercio alimentare: esiste una competizione oggettiva fra i mercati storici e i piccoli supermercati che si sono moltiplicati e questa è stata una scelta politica. Oggi chi fa la spesa ha convenienza ad andare in un supermercato perché ha un orario più lungo, offre prodotti diversi come il detersivo e ormai si può anche consumare al loro interno. Il mercato storico può sopravvivere solo attraverso la valorizzazione della qualità del suo prodotto fresco, che è nettamente superiore a quello della grande distribuzione, e dalla commistione: non si può offrire solo pesce e verdura, ma anche un plusvalore come l’artigianato artistico di qualità, allora sì che si può vincere la competizione. Sicuramente il mercato dovrebbe attrezzarsi per poter mangiare direttamente sul posto i suoi prodotti, attualmente per un’ordinanza comunale si può mangiare ovunque per le calli tranne che a Rialto e in Piazza San Marco e lo trovo francamente antistorico.

Donatella Calabi

Avendo una conoscenza completa, almeno a livello europeo, dei mercati storici immagino che abbia in mente dei modelli virtuosi da seguire.
Infatti. Una dottoranda che ho seguito ha analizzato il caso di Tolosa che in pochi anni ha portato il vecchio mercato a essere ora il punto di ritrovo giovanile, ma ce ne sono molti altri possibili. In Italia per ora sono stati rivitalizzati vecchi mercati solo attraverso la ristorazione di qualità come nel caso del mercato di San Lorenzo a Firenze e del mercato delle Erbe a Bologna, lo stesso accade a Torino e Milano, ma vorrei essere più ambiziosa. Credo occorra mescolare e intrecciare attività diverse, l’artigianato a cui accennavo prima – a Venezia ce n’è ancora di altissima qualità come quello dei gioielli in vetro delle sorelle Sent, o gli artigiani della carta -, i restauratori come i pochi maestri rimasti di terrazzo alla veneziana, scuole di cucina ecc. che sommate a una serie di iniziative culturali precise potrebbero davvero rianimare una zona cruciale indipendentemente dal turismo. Si potrebbe fare così il museo della città con mostre documentarie, dunque non costose, coinvolgendo tutte le istituzioni culturali cittadine come le due università, l’Accademia di Belle Arti, Save Venice, la Peggy Guggenheim Collection. A Londra hanno fatto un’operazione simile spostando il Museum of London nel mercato di Smithfield riutilizzando edifici storici in disuso. Anche Barcellona, Amburgo, Lubecca, Parigi, hanno ripensato i loro mercati proponendone una rivitalizzazione basata sulla commistione tra attività culturali, produzione e vendita in loco di cibo tradizionale fresco e cotto che può essere asportato o consumato in punti di ristoro. Venezia non lo ha fatto, né lo sta facendo, pensa piuttosto a trasformare gli edifici vuoti in nuovi alberghi ed è una scelta politica sciagurata.

Mi sembra di capire che né lei né la sua associazione faccia molta affidamento sull’amministrazione cittadina…
No, infatti, per nulla, c’è anzi un clima di aperta ostilità emersa anche nell’ultima campagna elettorale che paradossalmente ha cementato gli aderenti all’associazione, rendendoci ancora più attivi e determinati, coinvolgendo altri cittadini e associazioni come il Comitato Rialto Novo, organizzando raccolte di firme, ma anche una conoscenza più approfondita, non siamo solo professoroni come qualcuno vorrebbe far credere! Una delle nostre colonne è Andrea Ghio, un pescivendolo che peraltro è anche musicista e conserva le fotografie del padre e del nonno che da sole mostrano il cambiamento del suo mondo. Per me invece si tratta invece di un’esperienza nuova, che trasforma i miei studi in qualcosa di vivo e nuovo, ma pur sempre in continuità con le mie idee guidate dagli insegnamenti di Henri Pirenne [3]. Non è neanche una battaglia campanilistica perché Venezia è sentita propria da tutti, da Proust e Thomas Mann fino ad Amitav Ghosh che nel suo ultimo romanzo [4] riflette sugli effetti del climate change e ci invita a considerarla come rappresentazione del disordine del nostro tempo.

[1]:
Donatella Calabi, Il mercato e la città. Piazze, strade, fabbriche d'Europa in età moderna, Venezia, Marsilio 1993; The Market and the City: Square, Street and Architecture in Early Modern Europe, Aldershot, Ashgate, 2004
[2]:
Donatella Calabi, Paolo Morachiello, Rialto: le fabbriche e il ponte (1514-1591), Torino, Einaudi 1987. Morachiello, ex docente Iuav e membro di progetto Rialto è scomparso il 7 dicembre 2020
[3]:
Henri Pirenne, Medieval Cities: their Origins and the Revival of Trade, Princeton University Press 2014; trad. It. Le città del Medioevo, Bari, Laterza, 1972
[4]:
Amitav Ghosh, Gun Island, London, Murray 2019; L’Isola dei fucili, Milano, Neri Pozza 2019

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