Oltre il regionalismo critico, il caso di Estudio Iturbide di Rocha+Carrillo

Mariam Kamara esplora lo studio di una fotografa in Messico progettato da Taller de Arquitectura, il quale si distingue per l’uso contemporaneo dei materiali tradizionali e per la risposta diretta a condizioni climatiche specifiche.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1044, marzo 2020.

Fornire “una risposta al luogo in cui viviamo, ai nostri luoghi, alle nostre situazioni economiche e sociali” e “tradurre in modo contemporaneo le tradizioni e i materiali dei siti in cui operiamo, non attraverso forme alla moda o effetti speciali, ma con il silenzio, lo spazio, l’esperienza del vuoto”. Mauricio Rocha e Gabriela Carrillo esprimono un sentire che anche molti altri architetti hanno manifestato recentemente, in particolare nelle economie emergenti. Quasi un secolo dopo l’avvento del Modernismo e dello Stile internazionale, la rapida urbanizzazione, la globalizzazione e le sfide ambientali stanno costringendo molti di noi a fare il punto e a interrogarsi ancora una volta riguardo al posto dell’architettura nel mondo e nella società, e alla sua responsabilità nei confronti dell’ambiente.

Vista dal piano terra della corte sul retro. Qui, la composizione dei mattoni riporta all’esterno la diversa natura degli ambienti interni. Foto Rafael Gamo.

Si può sostenere che il XX secolo abbia portato con sé straordinari miglioramenti grazie alla standardizzazione, alle tecniche di costruzione meno intensive e alla libera espressione di materiali come il cemento e l’acciaio, che hanno consentito di produrre nuove forme e organizzazioni spaziali. Ne è derivata una libertà inebriante, che ha permesso agli architetti di sperimentare senza impedimenti con forme e materiali. Questi segni del progresso non destavano ammirazione solo nei luoghi da cui provenivano, ma erano anche facili da esportare. E oggi, mentre le città di tutto il mondo si somigliano sempre di più, rappresentano i segni più visibili della globalizzazione.

Ciò che inquieta, tuttavia, è come la filosofia modernista alla quale furono associati abbia prodotto un’estetica vista come l’unica immagine della modernità e dello sviluppo economico. Di conseguenza, quei materiali che avrebbero dovuto essere accessibili e democratici, se usati in alcune parti del pianeta non erano così disponibili o facili da produrre. Il che per molti si è tradotto in un significativo carico finanziario rispetto all’uso di materiali locali. Inoltre, il cemento e il calcestruzzo, con i loro compagni vetro e acciaio, funzionano male in climi estremi e costringono a un maggiore consumo di energia per raggiungere il comfort termico.

La nuova estetica del progresso ha anche richiesto una netta rottura col passato, determinando in molti casi un completo distacco dal contesto locale, dalla sua cultura e dalla sua identità. Forse è per questo che gli architetti nel Sud del mondo esprimono sempre più spesso il desiderio di un’architettura più contestuale e rispettosa dell’ambiente. Innanzitutto, il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi colpiscono maggiormente le nazioni in via di sviluppo in un clima più caldo, rendendolo una questione da affrontare urgentemente. In secondo luogo, il Sud globale è generalmente composto da Paesi che in precedenza erano colonie europee e come tali hanno lottato per il proprio senso d’identità utilizzando, tra gli altri indicatori culturali, anche la loro architettura.

Lo studio Iturbide di Rocha e Carrillo a Città del Messico parla di questo desiderio di un’architettura che abbia un rapporto più intimo con i materiali locali, le tecniche passive e la necessità di controllare la luce piuttosto che massimizzarla come invece è consuetudine nei climi del Nord. Il risultato è un’architettura che non si basa su inutili gadget tecnologici, ma utilizza mezzi limitati e una tavolozza controllata per concentrarsi su spazio e luce. Qui la forma non sembra essere l’obiettivo finale, ma il risultato di condizioni locali e un’esperienza spaziale accuratamente realizzata che perderebbe gran parte del suo potere in un diverso contesto geografico. Lo studio utilizza un materiale principale con grande efficacia, creando corti su entrambi i lati del volume centrale che si apre per produrre ventilazione naturale e offrire privacy dall’ambiente della strada.

Se l’inizio del XX secolo riguardava i progressi tecnologici, il XXI secolo potrebbe prepararsi a ricondurci all’umanità dell’architettura, invece che alla sua abilità tecnica

Nel progetto, il senso di una presenza della “mano dell’uomo”, di un’esperienza umana, è palpabile. Esso manifesta una tattilità, una relazione con la luce, le ombre, una ricchezza di texture che non si può fare a meno di ammirare. È chiaro che la scelta non è tra materiali tradizionali e progressi tecnologici. I due possono essere combinati con grande efficacia, consentendo ai materiali semplici e ampiamente disponibili di estendere la loro capacità naturale permettendo nuove forme di utilizzo.

Un progetto di natura completamente diversa, che tuttavia impiega una tavolozza di materiali del tutto simile, è la Scuola degli archi danzanti di Samira Rathod nel Gujarat, in India. Qui, l’architetta utilizza tecniche strutturali tradizionali per creare forme giocose e spazi stravaganti. Con le sue volte irregolari e i suoi tetti sbilenchi, il progetto dimostra che si può effettivamente giocare con la forma usando il vecchio, semplice mattone.

Il tetto dell’edificio con la terrazza abitabile. Foto Rafael Gamo.

Il progetto fa di tutto per mostrare consapevolezza sul piano economico e ambientale, riutilizzando acciaio e mattoni di scarto già impiegati per casseforme in una fornace nelle vicinanze. Per Rathod, “è l’amore per il lavoro che la manodopera locale porta con sé a conferire all’edificio la sua immacolata semantica e precisione”. In un momento in cui il 40 per cento dell’inquinamento globale è prodotto da attività legate all’edilizia, l’approccio a basso impatto di Rathod, basato sul non fare affidamento su materiali importati, produce un’architettura contemporanea, ma radicata nel contesto locale, dove la massa termica è usata per mantenere confortevole l’interno. Come per lo studio Iturbide, è difficile immaginare il progetto in un diverso ambiente climatico, e questo è uno dei suoi punti di forza.

Sarebbe facile archiviare tali lavori sotto il segno del Regionalismo critico e tirare dritto; credo invece che essi facciano molto di più che produrre una risposta architettonica contestuale e una bella espressione formale. È opinione comune che l’utilizzo di materiali di provenienza locale e di tecniche di costruzione tradizionali, e la sensibilità verso il clima contribuiscano a ridurre l’impronta di carbonio del nostro settore.

L’uso della ventilazione naturale per il comfort termico limita il consumo di energia nei periodi più caldi per l’intera vita degli edifici. Se il tempo ha reso evidente qualcosa, è che i ponti tra passato, presente e futuro nell’architettura possono fornirci una gamma di risposte più ampia e più adeguata alle sfide locali e globali.

L’ambiente al piano intermedio è caratterizzato dalla presenza di serramenti scorrevoli a tutt'altezza e dalla presenza di due Paulistano, sedute progettate da Paulo Mendes da Rocha (1957). Foto Rafael Gamo.

Mentre le città del Nord globale sono così fortemente legate a materiali e tecniche del XX secolo da rendere difficile una svolta radicale, il Sud del mondo ha oggi un’opportunità unica di fare un balzo in avanti e forse addirittura di dare l’esempio: la mancanza di capitali, condizioni climatiche più aspre e la necessità di preservare il senso di comunità sono fattori stimolanti che stanno producendo nuove proposte per un futuro più sostenibile.

È un dato di cui dobbiamo rallegrarci e a cui guardare con speranza. Così, se l’inizio del XX secolo riguardava i progressi tecnologici, la rottura rispetto al passato architettonico e le promesse dello Stile internazionale, il XXI secolo potrebbe prepararsi a ricondurci all’umanità dell’architettura, invece che alla sua abilità tecnica.

L’edificio emerge con decisione dal sito e ha l’aspetto di un singolo blocco di argilla, traforato e decostruito

Lo studio della fotografa Graciela Iturbide sorge su un lotto di 7 x 14 m nel quartiere del Niño Jesús, a pochi passi dalla sua abitazione. L’edificio di tre piani, tessellato a mattoni, emerge con decisione dai confini del sito e ha l’aspetto di un singolo blocco di argilla, traforato e decostruito. Dal punto di vista strutturale, è sostenuto da barre di tensione di acciaio quasi impercettibili.

Le alte pareti esterne racchiudono tre solette sovrapposte rivestite di legno e marmo, e una profonda corte a giardino a ciascuna estremità. Su questi spazi si aprono grandi finestre. Le facciate interne rispecchiano negli spazi ombrosi la situazione del contesto. Gli elementi verticali destinati ai servizi e alla circolazione, oltre che un lungo scaffale per i libri, sono integrati nella parete orientale e scompaiono nel volume d’argilla.

Il progetto cerca di creare un luogo di silenzio, di sintesi e di continuità in un contesto urbano compatto. Trae vantaggio strategico dalla forma e dalle proporzioni per far scomparire dalla struttura il calcestruzzo e divenire autoportante grazie all’uso ripetitivo e quasi ossessivo di un unico materiale: il mattone a vista.

Nell’aspirazione ad apparire tanto un blocco monolitico quanto un volume etereo, il gioco di luci e ombre sulla scansione dei muri di mattoni crea un’atmosfera di apertura originale e gradevole per gli abitanti. (dalla relazione di progetto)

Mariam Kamara è un’architetta nigerina laureata all’Università di Washington. In precedenza aveva studiato scienze informatiche alla New York University e alla Purdue University e si era dedicata allo sviluppo di software per diversianni. Nel 2013 è stata tra i membri fondatori di united4design, un collettivo di architetti che lavora fra Stati Uniti, Afghanistan e Niger: la loro collaborazione ha portato a progetti come quello di Niamey 2000, nel Paese africano. Nel 2014 Kamara ha fondato atelier masōmī, studio di architettura e ricerca attraverso il quale affronta una grande varietà di progetti pubblici, culturali, residenziali, commerciali e urbani. Un esempio è il complesso religioso- secolare di Dandaji, vincitore del Gold LafargeHolcim Award 2017 per l’Africa e il Medio Oriente e del Silver Global LafargeHolcim Award 2018 per l’architettura sostenibile. Il lavoro di Kamara è guidato dalla convinzione che gli architetti possano concepire spazi in grado di fornire una migliore qualità della vita alle persone. Attraverso il suo studio mira a scoprire modi innovativi per raggiungere questo obiettivo. Dal 2018 Kamara è protégé di David Adjaye nel programma Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative. Nel 2019 ha vinto il Prince Claus Award. È adjunct associate professor alla Brown University di Providence, Rhode Island.

Progetto:
Iturbide Studio
Luogo:
Coyoacán, Città del Messico
Architetti:
Taller | Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo |
Gruppo di progettazione:
Rafael Carrillo, Gerson Huerta, Pavel Escobedo, Esterlina Campuzano, Elizabeth Waites, Enrique Ibarra
Strutture:
Grupo SAI Gerson Huerta – Ingeniería Estructural Sismoresistente
Impresa edile:
Rafael Carrillo – Taller 499
Impianti elettrici e idraulici:
Tomás Rodríguez
Committente:
Graciela Iturbide
Superficie del sito:
100 mq
Superficie totale costruita:
162 mq
Progetto e costruzione:
2012-2016

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram