Nessun luogo è più seducente di quello che non puoi vedere. Update 2015 di questa affermazione sarebbe stato: “…di quello che non puoi fotografare”; ma ormai, nei tempi dell’elezione del papa che succederà a Francesco, diventa …“di quello in cui non puoi entrare”.
Gli spazi del Conclave sono esattamente questo, anzi sono tutte e tre le cose assieme. Visitabili, di norma, prenotando una visita, per pochi giorni cruciali diventano più inaccessibili del Berghain. No accesso, no foto, no news eccetto le famose fumate bianche o nere di un comignolo anche piuttosto posticcio, se lo consideriamo in rapporto ai Palazzi Apostolici su cui “svetta”.

Da che esiste, il Conclave è una questione dove lo spazio è cruciale, perché lì come in pochi altri luoghi lo spazio dà forma, certe volte determina, quelle tensioni politiche poi espresse in decisioni, liturgie e gesti simbolici: puro Henri Lefebvre.
Nessun luogo è più seducente di quello che non puoi vedere. Nei tempi dell’elezione del papa che succederà a Francesco, diventa …‘di quello in cui non puoi entrare’.
La stessa origine del Conclave è una questione di spazio: chiudere a chiave (“cum clave”) i cardinali dentro il Palazzo Papale di Viterbo, scoperchiando la sala e razionando i viveri in modo che si venisse rapidamente a un dunque, era stata la soluzione che i cittadini avevano imposto nel 1270, esasperati da tre anni di sede vacante che non accennavano a concludersi, tra negoziazioni infinite e continui nulla di fatto. Va anche detto che l’elezione di un Papa, allora, era quanto di meno controllabile si potesse immaginare, con collegi cardinalizi aperti su cui re e imperatori potevano mettere un veto.

Oggi, sotto un regolamento ben più definito, il centro di tutto è in Vaticano, ed è la Cappella Sistina: a considerarla con un minimo di distanza critica, il luogo del conflitto fin dalla sua nascita. È conflitto sui leggendari affreschi della volta tra Michelangelo e papa Giulio II che glieli commissiona a inizio ‘500. È conflitto unidirezionale – con l’artista ormai assente in quanto morto – quello che segue sugli stessi affreschi, censurati per legge costringendo Daniele da Volterra a dipingere delle braghe sulle figure nude, guadagnandosi il nickname di “Braghettone”.
È conflitto – sicuramente più spirituale – quello delle scelte di ogni votazione. L’isolamento della Sistina per il Conclave è completo, anche fisico: una pedana separa i porporati dal suolo consueto; arriva l’”extra omnes” e si chiudono le porte – “magari facciamo solo un ‘totalino’ della Sistina” dice speranzoso il giornalista in Habemus Papam di Nanni Moretti, venendo puntualmente e cordialmente rimbalzato; gli scrutini sono illeggibili: le schede sono compilate nella Cappella e non ne escono, se non come cenere dal comignolo delle fumate.

C’è anche un altro spazio, più piccolo ma certo non meno importante, lui sì inaccessibile di norma in quanto luogo di culto privato del Papa: la Cappella Paolina, l’“anticamera” da cui tutto in realtà parte: tra le volte cinquecentesche di Antonio da Sangallo – e altre due pitture michelangiolesche, realizzate nel poco tempo lasciato dalla Sistina – si pronunciano giuramenti e si entra nello spazio principale.
Ma soprattutto, e come sempre, gli spazi cruciali sono quelli all’intorno, quelli a lungo meno definiti e tuttora meno definibili, in fin dei conti quelli più densi di scambio.

C’è l’Aula del Sinodo dei Vescovi, quella dove si svolgono le Congregazioni generali dei cardinali elettori, le riunioni dove la negoziazione si fa più intensa in preparazione al Conclave immediatamente successivo. Questo spazio è parte di un complesso più grande e più famoso, quello dell’Aula Paolo VI, che nel 1964 il pontefice bresciano aveva commissionato a Pier Luigi Nervi con lo scopo – attenzione: qui siamo agli estremi opposti – di aprire il Vaticano ai mass media attraverso un luogo dalla forte identità e riconoscibilità. È dal suo completamento nel 1971 che sotto i 41 archi di calcestruzzo armato della trasparente volta parabolica nerviana si tengono le udienze papali.

C’è la Casa Santa Marta, la foresteria dove alloggiano i cardinali, che peraltro è un’invenzione piuttosto recente che mette fine a secoli di soluzioni decisamente più punk: fino al conclave che elesse Giovanni Paolo II nel 1978, infatti, per gli elettori si allestivano dormitori temporanei direttamente dentro i Palazzi Apostolici, non certo progettati per garantire al singolo servizi base come un bagno privato. Quasi da far rimpiangere Viterbo.
L’estetica di Santa Marta – a cui papa Bergoglio che ci abitava aveva ormai abituato i media – è di per sé un’epitome dell’abitare religioso, con il suo minimalismo fatto di vani dall’architettura magari pregiata ma arredati con un approccio volutamente funzionale. Un film dall’ottimo tempismo, molto citato in tempi di elezione pontificia, cioè Conclave di Edward Berger (2024), girato chiaramente fuori dai veri spazi consiliari, fa una scelta piuttosto radicale per raccontare questo luogo: avendo scelto il Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera all’Eur per alcune scene di collegamento, accorda a quell’estetica anche quella degli alloggiamenti cardinalizi, rivestiti di una pietra onnipresente che li mette singolarmente in continuità con la camera dove il Papa è appena deceduto.
Da che esiste, il Conclave è una questione dove lo spazio è cruciale, perché lì come in pochi altri luoghi lo spazio dà forma, certe volte determina, quelle tensioni politiche poi espresse in decisioni, liturgie e gesti simbolici.

Resta poi la città intorno: le tende rosse, il balcone, piazza San Pietro, ma soprattutto la Roma del Giubileo, anche lei trasformata con involontario tempismo per accogliere un evento che ha duplicato la sua scala. Ad accogliere la proclamazione ci saranno le solite colonne berniniane e l’obelisco spostato da Fontana, ma le folle dovranno aggirare l’hub giubilare progettato da Michele de Lucchi, arrivare per via della Conciliazione da una nuova Piazza Pia appena ridisegnata. E c’è anche il sistema dei Borghi circostanti il Vaticano, appena trasformato alla scala pedonale con i progetti dello studio It’s: in Conclave, il film, proprio piazza Risorgimento è il nodo di un colpo di scena molto “spirituale”. Ma a questo punto ci risparmiamo gli spoiler, augurandoci manifestazioni dello spirito molto meno materiali.