I progetti di Sean Canty: la coreografia della luce dà forma alla casa

Negli interni dell’architetto americano, il rapporto tra strutture piane e curve dà forma a spazi comuni dinamici e a residenze multigenerazionali.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1083, ottobre 2023.

“E se è vero il detto dei filosofi, che la città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola città, non si avrà torto sostenendo che le membra di una casa sono esse stesse piccole abitazioni: come ad esempio l’atrio, il cortile, la sala da pranzo, il portico, etc.” 

Leon Battista Alberti, De re aedificatoria¹ 

A molti secoli di distanza da che Leon Battista Alberti pubblicò il De re aedificatoria, le sue osservazioni sul rapporto tra forma della casa e della città suonano ancora veritiere. Il lavoro del mio studio nasce dall’interesse per le indagini sugli ambienti che danno forma allo spazio domestico e ai relativi rituali, attraverso lo studio delle lacune tipologiche del patrimonio abitativo americano. Queste ricerche vertono sul modo d’integrare nelle abitazioni multigenerazionali e nei tamponamenti urbani a curvatura che consente alla luce di diventare una componente attiva nel plasmare il modo di vivere collettivo.

Negli Stati Uniti c’è un crescente dislivello nel patrimonio abitativo che è stato definito “perdita della condizione media”, in riferimento a una gamma di tipologie residenziali plurifamiliari e plurigenerazionali cadute in disuso dopo la Seconda guerra mondiale in favore del predominio di quelle monofamiliari. Va poi considerato anche il modo in cui l’ideologia della famiglia eteronormativa (e i relativi “valori della famiglia”) è stata sfruttata dalla politica per guadagnare consenso, incrementando le pressioni a costruire case monofamiliari2

Questa assenza della fascia media nel settore abitativo mette in luce una crescente domanda di residenze urbane o suburbane accessibili, un crescente (e spesso urgente) bisogno di case a prezzi differenti e la carenza di possibilità residenziali per la popolazione anziana delle campagne3. La pandemia ha inoltre aggiunto una nuova esigenza: accogliere gli spazi di lavoro dentro la casa. Tipologie quali le case bifamiliari o gli appartamenti su corte, costruite raramente negli Stati Uniti, si adattano poi bene al bisogno di residenze plurigenerazionali.

Il nostro modo di concepire la realizzazione di tipologie che rispondano a queste domande ha un ruolo molto simile a quello delle congiunzioni in una frase: aggiunge ambiguità al rapporto tra due componenti e all’insieme cui danno luogo. Lavorare sulla curvatura favorisce un certo genere di imperscrutabilità, in cui la continuità formale e la riluttanza nei confronti dei margini favorisce ogni genere di mobilità nello spazio. Ne risulta che i confini della forma (cioè dove una geometria inizia e finisce) sono messi in discussione. Spesso, ciò crea un gradiente di situazioni animate dalla luce: spazi comuni dinamici si contrappongono ad ambienti privati accuratamente delineati.

Il nostro interesse per l’irriducibile rapporto tra il piano e il curvo nel canone dell’architettura ha dato forma a queste strategie di congiunzione formale. Complicando le letture usuali dell’involucro o dell’interno di un edificio, andiamo alla ricerca di occasioni per creare ambiguità tra interno ed esterno, vecchio e nuovo, disposizione delle finestre e aperture, luce e ombra. I progetti qui presentati analizzano modi differenti in cui la curvatura e la sua dinamica coreografia luminosa conferiscono specificità e ambiguità ai collegamenti tra una generazione e l’altra, e tra le destinazioni funzionali. 

Raynor Residence, progetto di ristrutturazione della casa di una coppia di anziani creando spazio anche per la figlia e tre nipoti. Foto Okdraw

Tre case

Se le giriamo intorno, la Tall House, a Oakland, in California, oscilla continuamente tra un quadrato e un cerchio. All’interno, in un vuoto centrale illuminato da un lucernario circolare, sono distribuiti le stanze di una casa a tre piani. I locali al piano terra (un appartamento con una camera per gli ospiti, una cucina e un open space con soggiorno e pranzo) si affacciano tutti sull’interno per garantire riservatezza. Al piano superiore, questo rapporto si inverte: stanze e spazi di lavoro principali danno sull’esterno, accogliendo vedute e luce naturale. Il terzo livello è una sorpresa: un soggiorno spazioso coronato da un grande lucernario quadrato. L’integrazione di questo spazio è inatteso, porta luce nell’oscurità degli spazi interni e, allo stesso tempo, si contrappone all’attività frenetica delle vie cittadine all’esterno.

Al Raynor Residence, dimora di stile coloniale, ci sono delle soglie tra soggiorno, pranzo e cucina. Le pareti che delimitavano questi spazi sociali sono state rimosse in modo che più luce circolasse lateralmente attraverso il piano terra. Ogni transizione tra gli spazi è articolata da una geometria ad archi, la cui forma scultorea rende omaggio agli elementi classici della casa. Questa impostazione è stata adottata come modalità di ristrutturazione del piano terreno di un’abitazione preesistente per consentire a una famiglia plurigenerazionale di invecchiare comodamente in loco. 

La Crown House è stata progettata per ospitare strutture sociali non tradizionali e destinazioni d’uso molteplici. Il coronamento del tetto oscilla tra simmetria (falde) e serialità (denti di sega) per creare una coreografia luminosa adeguata alle abitudini domestiche e lavorative. Mentre le tipiche residenze americane (le case a tre piani con stanze in sequenza lineare) creano spazio aumentando la densità, poca attenzione è tuttavia dedicata alle esigenze di vita e lavoro nella fascia media. Come risposta, Crown House offre una pianta di base riconfigurabile con accessi individuali alle camere da letto intorno. La pianta permette di trasformare facilmente lo spazio monofamiliare in tre unità casa/lavoro con un ambiente comune condiviso. 

Una mostra: “Edgar’s Sheds”

“Edgar’s Sheds” è un’installazione per la 18a Mostra Internazionale d’Architettura di Venezia che prende le mosse in senso lato da due capannoni costruiti a Eliot, in South Carolina, dal mio bisnonno Edgar. Io lo chiamavo Bubba. L’installazione consiste in una proiezione retrospettiva. Filtra frammenti della mia conoscenza e della mia storia tramite vari media per illustrare una precisa lettura del mio patrimonio estetico. Uno dei capannoni è una casa. È uno spazio di gioia, di appartenenza e di conflitto. L’altro è un ritrovo dove si suona e si balla. Uno spazio pieno di fumo, ritmo e blues. La bellezza che si svela nei capannoni di Bubba è un insieme di pratiche radicate nell’estetica vernacolare degli afroamericani. In questa semplice forma si intrecciano i valori del riuso e dell’attenzione reciproca.

Si avverte che questi spazi dimostrano come l’aspirazione alla bellezza e a una vita migliore nella tradizione afroamericana sia intrecciata con il conflitto e l’autodeterminazione. Per me, ogni spazio è il riassunto di una riflessione sullo scopo dell’architettura. Qui, la funzione del capannone è semplice: offrire una serie di spazi per mostre ed eventi. Il tetto è simbolicamente sovradimensionato e presenta un oculo centrale che lascia filtrare la luce. Il progetto della luce ha un ruolo significativo nel rispecchiare il contrasto di vibrazioni e di atmosfere tra la casa e il juke joint.

L’installazione “Edgar’s Sheds”, per la Biennale di Architettura di Venezia 2023, era liberamente ispirata a due capannoni costruiti dal bisnonno di Sean Canty, che porta con sé le tradizioni vernacolari nere con l’intreccio di riuso e cura di un edificio. Foto Olivia Heung

Il tetto è asimmetrico per fornire uno sfondo alle performance da un lato e all’ingresso dall’altro. L’interno può essere riempito di suoni o della quiete circostante. La nostra sperimentazione nelle tre case e nella mostra reimmagina il rapporto tra forme urbane e domestiche, riecheggiando la questione senza tempo evocata da Leon Battista Alberti. Nel lavoro del nostro studio, il rapporto tra luce e curvatura è un tema centrale, che trasforma gli spazi vitali e dà nuova forma e sapere all’architettura. Sono esempi che mostrano come il progetto sia in grado di dare fluidamente forma a ciò che ci sta intorno, sfumando i confini tra contingenze spaziali e funzionali, riflettendo su come gli obiettivi dell’architettura siano tanto funzionali quanto capaci di emozionare grazie alla coreografia di luce e forma.

1 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, 1452, Libro 1, capitolo IX.
2 Si veda per esempio Melissa Cooper, Family Values: Between Neoliberalism and the New Social Conservatism, Zone Books, Princeton 2017.
3 Si veda per esempio Daniel G. Parolek, Missing Middle Housing: Thinking Big and Building Small to Respond to Today’s Housing Crisis, Island Press, Washington, DC 2020.

Immagine di apertura: Studio Sean Canty, Crown House. Foto Okdraw

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