La Casa de Vidro è ancora attuale

Un evento organizzato da Bottega Veneta riattiva la dimora di Lina Bo Bardi a San Paolo: una perfetta occasione per capire come mai, ancora oggi, sia una imprescindibile icona della cultura brasiliana.

La Casa do Vidro è immersa in una piccola giungla. Lina Bo Bardi ci ha lavorato con dedizione, piantando lei stessa alberi e alberi ancora nel corso dei decenni trascorsi qui insieme al marito Pietro Maria Bardi. La casa a metà del secolo scorso, appena completata, si affacciava su un paesaggio del tutto diverso, quello piatto e agreste delle chácara e delle piccole fattorie alle porte di San Paolo. Rispetto alle foto del 1953 con cui Gio Ponti accompagnò la presentazione su Domus del progetto di “Lina Bo, donna intelligentissima, che lavorò a Milano”, la differenza appare lampante. 

 

Il verde è cresciuto in una coltre fitta e avvolgente che abbraccia la casa e la sovrasta, proteggendola dalla città che oggi conta 12 milioni di abitanti, la più popolosa di tutta l’America. Non è andata ugualmente nel resto del circondario. Dista poco più di un chilometro l’ingresso di Paraisópolis, la “città paradiso”, una delle favelas più grandi di San Paolo: qui, in un affastellamento disordinato di case malamente agganciate alla rete fognaria, con un’area complessiva non più grande di un chilometro quadrato, si stima che vivano 100mila persone tra mattoni e cemento. 

The Square riattiva la Casa de Vidro

Per i brasiliani Lina Bo Bardi è un simbolo, un’icona e un orgoglio nazionale. Come la sua casa. Ed è proprio qui che Bottega Veneta, che festeggia dieci anni in Brasile, ha scelto di ambientare la nuova puntata di The Square, il format culturale itinerante che, sotto la direzione creativa di Matthieu Blazy (“la Casa de Vidro è il mio posto preferito di San Paolo”, spiega lui), il marchio di moda ha già portato a Dubai e Tokyo. 

“È la direttrice di tutto quello che ho”: per spiegare quanto Lina Bo Bardi “sia eccezionale” usa una citazione Mari Stockler, curatrice di The Square São Paulo. Stockler era una bambina quando ha visto per la prima volta Bo Bardi, era il 1968, all’inaugurazione del Masp, lo spettacolare museo d’arte che si solleva sull’Avenida Paulista, uno dei due grandi interventi pubblici di Bo Bardi in città – l’altro è il gigantesco centro ricreativo Sesc. “Ricordo il colore del cemento, il vetro, le scale. Quello sarebbe stato per sempre il mio posto”. 

Il soggiorno

Un modellino del Masp, uno studio quasi impressionista che nulla ha a che vedere con la precisione ossessiva dei modellini architettonici a cui siamo abituati, si trova su una cassapanca intagliata del soggiorno, di fianco a un vecchio tv che riproduce in un loop sgranato interviste vhs a Lina Bo Bardi.

Per Lina Bo Bardi una architettura è creata, ‘inventata da zero’, da ogni essere umano che la percorre.
Un dettaglio del soggiorno, con il modellino del Masp

È uno dei tanti, tantissimi oggetti della collezione della casa, oggi sede dell’Instituto Lina Bo e P.M. Bardi. Si trovano accostati senza gerarchie quadri italiani del Rinascimento e artigianato brasiliano, crocifissi e buddha e statuette amazzoniche e madonne vicini a libri sull’architettura moderna e alle sedute progettate da Bo Bardi stessa. “Per Lina, la ‘cultura popolare’ era cultura e non una mera curiosità o un feticcio folkloristico”, spiega Mari Stockler. E quasi a chiudere un cerchio, per gli 11 giorni di The Square, in questo contesto si sono inserite opere d’arte – visuali, audio, VR – provenienti da tutto il Brasile e organizzate in quattro percorsi tematici che corrono lungo la lezione di Lina Bo Bardi, dalla concezione di un tempo non lineare alle radici della Bossa Nova.

L’installazione audio di Vivian Caccuri risuona nel corridoio di fronte ai bagni mentre all’imbocco della scala d’accesso alla casa si indossa un visore per sperimentare il film 3D di Estavão Ciavatta; nella stanza da letto di Lina Bo Bardi, che dopo la sua morte è stata abitata dalla sorella, ammirando l’opera di Helio Melo ispirata all’Amazzonia si ascolta la voce dell’attrice Fernanda Montenegro, prima sudamericana candidata all’Oscar come miglior attrice. Le sculture di Cristiano Lenhardt si susseguono negli spazi della cucina, mentre nell’area del soggiorno, tra i libri e le sedute disegnate da Lina Bo Bardi, le opere di artisti diversi si inseriscono nel contesto senza soluzione di continuità. 

La cucina

Lina Bo Bardi e il Brasile

Ripercorrendone la vita, di Lina Bo Bardi emerge una splendida irrequietezza. Attivista del PCI e sposata con uno degli intellettuali di punta del fascismo, collaboratrice di Domus e fondatrice di Habitat, veniva dal Moderno ma in Brasile sperimentò l’ibridizzazione con l’artigianato e materiali locali – vedi la seduta in tubulari e pelle su tre appoggi del 1948 o la Poltrona bola latrão di poco successiva. Pare che fosse arrivata in Sudamerica con l’idea di restare solo qualche mese, in missione tra l’altro per la Triennale di Bottoni, la celebre T8, poi finì per restare a San Paolo. 

Alla fine degli anni ’50 partì in esplorazione, “trovando il suo destino nel nord del paese”, spiega Mari Stockler. A Bahia entra in contatto non solo con l’artigianato locale, “una realtà importante tanto quanto quella da cui è scaturito Alvar Aalto o le tradizioni giapponesi”, ma anche con una scena culturale d’avanguardia che veniva dal cinema, dalla musica, dal teatro. Al teatro e alle scenografie teatrali si dedica poi per una lunga fase successiva, dal golpe (1964) alla fine degli anni Settanta, quando tornò alla progettazione con il monumentale Sesc Fabrica Pompéia. 

Per Lina, la ‘cultura popolare’ era cultura e non una mera curiosità o un feticcio folkloristico.

Mari Stockler

Per The Square, Bottega Veneta ha creato quattro libretti che raccontano Lina Bo Bardi e la sua casa

Per Lina Bo Bardi una architettura è “creata, inventata da zero”, da ogni essere umano che la percorre. E la casa che guardava al Brasile si riempì di Brasile nel proprio grembo. Non solo per gli ospiti, Oscar Niemeyer e Dulce Maia, Gilberto Gil e Caetano Veloso, che qui si incontravano con Gio Ponti e John Cage, Saul Steinberg e Alexander Calder, durante pranzi e soirées organizzati nel dettaglio dalla padrona di casa, con pizza all’italiana preparata in due forni appositamente costruiti; ma appunto per gli oggetti brasiliani che Bo Bardi collezionò a fianco di quelli dall’Italia; e per i caratteri della tradizione locale che inserì via via nelle sue creazioni, come nel Banco Girafa dell’87, disegnato con i due Marcelo, Ferraz e Suzuki, ancora oggi la sedia dove ci si accomoda se si beve un caffè nel bar del Masp. 

Quando progettò la sede del Museo d’arte di San Paolo, Lina Bo Bardi portò su una scala più grande l’esperienza sperimentale della sua abitazione, dove “nella sala trasparente, che si apriva sugli alberi che crescevano nel parco, opere d’arte, mobili e oggetti di epoche differenti coesistevano in un continuo spaziale e temporale“ racconta Renato Anelli, curatore dell’Instituto Lina Bo e P.M. Bardi: il museo “era un progetto educativo che combatteva per uno spazio d’azione nel processo di industrializzazione del Brasile, guidato da San Paolo”. Se oggi i progetti dei grandi nomi sembrano spesso una operazione di management e marketing, la traiettoria del tutto imprevista di Lina Bo Bardi pare scaturire da un’orbita del tutto differente. La messa a terra della sua curiosità, della sua irrequietezza, della sua apertura.

L’eredità di Lina Bo Bardi

La Casa di vetro, questo ponte d’osservazione verso il Brasile, trasparente nell’affaccio ma tutto corridoi stretti e stanzette e nascondigli nella parte posteriore, quasi una metafora di chi vuole osservare e poi potersi nascondere, non è mai stato un punto d’arrivo per Bo Bardi, anche se forse si tratta della sua architettura più celebre. È una fase. L’architetta arrivò a scrivere al marito, in viaggio in Italia, “oggi non rifarei una casa del genere”. Era il 1956, neanche cinque anni dopo che la Casa de Vidro era stata completata: per Bo Bardi quella abitazione era il simbolo di qualcosa in cui non credeva proprio più, “di un’idea di infinito progresso”. A quel punto, si era già lasciata l’Europa alle spalle.

Nella sala trasparente, che si apriva sugli alberi che crescevano nel parco, opere d’arte, mobili e oggetti di epoche differenti coesistevano in un continuo spaziale e temporale.

Renato Anelli

Nella giornata d’apertura di The Square, i momenti di incontro tra le stanze della casa e il giardino sul retro con artisti e curatori hanno sublimato l’immensa eredità di Lina Bo Bardi, ergendola a simbolo brasiliano fuori dal tempo e insieme futuribile. Lina l’ecologista, Lina l’inclusiva, Lina la curiosa, Lina la brasiliana. Lina, Lina, Lina. Un evento d’arte che si fonde con il memoriale. E la sua casa? Il luogo deputato al convivere tra diversi, ma anche uno spazio di fantasmi, una sequenza di stanze dove cercare i mostri che portiamo dentro (“un’attività intellettuale tipicamente brasiliana”), e al tempo stesso un luogo potente dove estendere l’immaginazione, e ancora un parco dove la natura è ricreata e preservata.

Durante l’evento promosso da Bottega Veneta per festeggiare i suoi dieci anni in Brasile, la Casa de Vidro, per lungo tempo inagibile, riaperta dal 2021, è tornata a essere il ricettacolo utopistico di un “infinito progresso”, un sogno a cui Lina Bo Bardi a un certo punto aveva rinunciato per lasciarsi alle spalle l’ingombro intellettuale di una certa visione europea ed eurocentrica da cui oggi siamo oramai, coscienti o no, tutti in fuga. Del resto, ordine e progresso sono le due parole inscritte in ogni bandiera del Brasile. Il paese che lei aveva scelto. E che l’ha scelta a sua volta, facendone un proprio riferimento insostituibile.

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