SOM, dai grattacieli alla progettazione di architetture extraterrestri

Domus incontra Colin Koop, partner di Skidmore, Owings & Merrill, per raccontare la traiettoria che ha portato lo studio dagli Stati Uniti con le torri “di tutti i colori” alla Luna, con il Moon Village disegnato per l’Esa, e oltre.

C’è un’ironica coerenza geometrica nella traiettoria che lo studio americano di Skidmore, Owings & Merrill ha seguito nei suoi più di 80 anni di attività: in sintesi, prima dal livello del suolo verso l’alto e l’altissimo di grattacieli sempre più vertiginosi, e più recentemente dalla terra al cielo, con riflessioni teoriche e proposte concrete d’insediamenti lunari. Incrocia queste quote diverse anche l’intervista di Domus con Colin Koop, partner di SOM, specialista di architettura extraterrestre e responsabile di progetti di grande scala sul nostro pianeta, su tutti il Villaggio Olimpico di prossima realizzazione nello scalo ferroviario milanese di Porta Romana.

Decalogue, Rays
“Decalogo per un’architettura per lo Spazio”, Raggi. Visuals by dotdotdot

La conversazione comincia sulla luna, sull’onda della curiosità suscitata dal “Decalogo per un’architettura per lo Spazio” che SOM presenta alla 23a Triennale di Milano. Il termine si merita la maiuscola proprio perché si riferisce allo spazio assoluto, quello extraterrestre, immenso e immensamente potenziale. “Non è un elenco di caratteristiche dell’architettura extraterrestre”, sottolinea Koop, “né una riproposizione nello spazio dei 5 punti di Le Corbusier. Non definisce le soluzioni da adottare, ma imposta i temi su cui riflettere”. Sgombra subito il campo dai dubbi sulla rilevanza di questi orizzonti in un momento storico in cui le tante crisi a livello globale sembrano suggerire un ridimensionamento complessivo delle ambizioni: “Riprodurre la gravità, proteggersi dagli sbalzi climatici estremi, ottimizzare i cicli di utilizzo dei materiali, rendere possibile la privacy ma scongiurare la solitudine: il decalogo, nei fatti, afferma che è necessario riprodurre la terra nello spazio. Quindi, sperabilmente, chiarisce l’importanza di prendersi cura del nostro pianeta”.

Tutt’altro che una boutade, il decalogo approfondisce le tematiche già affrontate con la serissima proposta per il Moon Village, elaborata in collaborazione con l’ESA e con l’MIT ed esposta alla Biennale di Venezia del 2021. “La vera novità del nostro progetto è che realizzabile oggi, immediatamente, con le tecnologie di cui disponiamo” afferma Koop, che si rallegra di come l’architettura stia finalmente trovando il proprio spazio in un ambito finora quasi interamente delegato all’ingegneria: “L’ESA ci ha contattato per trovare una forma, un’espressione per la loro idea. In un settore in cui le competenze dell’ingegneria garantiscono la sopravvivenza dell’uomo nello spazio, l’equilibrio fisiologico, l’architettura può immaginare come introdurre una dimensione di benessere anche psicologico. Abbiamo messo a punto un assemblaggio di capsule gonfiabili, composte di 15 layer, che di base sono morbide, ma nel vuoto diventano solidissime. Grazie al loro sviluppo in verticale, anche questo innovativo, è possibile organizzarne gli interni su due livelli, introducendo una certa complessità spaziale e funzionale: il piano superiore è riservato al relax, quello inferiore al lavoro”.

  

Dalla luna alla terra, il passo sembra breve per Koop e per SOM, con il pianeta che trae dal suo satellite alcuni insegnamenti fondamentali: “La riflessione sull’architettura extraterrestre e su quella terrestre, di fatto, coincidono. Ti faccio un esempio: l’architettura moderna era estremamente energivora perché voleva realizzare lo stesso edificio ovunque. L’architettura extraterrestre, al contrario, è altamente contestuale perché è obbligata, in una condizione di penuria, a capitalizzare su ciò che è disponibile in loco. È anche necessariamente basata sulla scienza, su dati verificabili, perché il rispetto di questi parametri garantisce la sopravvivenza stessa dei suoi abitanti. In un’epoca in cui il paradigma della disinformazione sminuisce la conoscenza scientifica a pura opinione, SOM ne rivendica il valore e il ruolo fondante nel progetto. L’architettura, dovunque essa si trovi, è conoscenza scientifica”.

Sulla ricerca di un rapporto virtuoso con il contesto s’impostano il progetto per il Villaggio Olimpico di Milano – “la vera sfida è come permetterne l’apertura e la riconnessione con la città negli anni successivi alle Olimpiadi, quando sarà trasformato in alloggi per studenti” – e, su basi differenti, quello per 4 Hudson Square, il nuovo headquarters Disney di New York. Se il villaggio milanese è corretto ma generico, nel complesso newyorkese confluisce il know-how dello studio che, più di tutti, tra gli anni ’40 e ’50 contribuì a perfezionare il grattacielo nelle sue costanti tipologiche e ad industrializzarlo nei suoi metodi di produzione.

Decalogue, Gravity
“Decalogo per un’architettura per lo Spazio”, Gravità. Visuals by dotdotdot

A parte qualche eccezione – il sublime solido marmoreo della Beinecke Library di Yale (1963) – SOM è entrato nelle storie dell’architettura come lo studio che fa grattacieli “di tutti i colori”, prima soprattutto in un rigoroso International Style tardo-moderno – la Lever House di New York (1951), che dal suo lotto di Park Avenue osserva senza complessi d’inferiorità il Seagram Building di Mies van der Rohe (1958) – poi in un più muscolare proto-high-tech – il John Hancock Center di Chicago (1969), che decora il paesaggio urbano con i suoi controventi a scala gigante – e ancora in un flamboyant simil-organicismo contemporaneo – il Burj Khalifa di Dubai (2009), che è semplicemente il più alto edificio del mondo.

“E pensare che sono conosciuto come l’architetto di SOM che non fa grattacieli!”, ironizza Koop. “Eppure tra i primi progetti che concludo da quando sono partner c’è 4 Hudson Square. Il nostro cliente voleva un edificio capace di stand out by fitting in, distinguersi per la sua capacità di integrarsi, e noi gli abbiamo proposto un frammento di paesaggio urbano newyorkese degli anni ’30. Prima che s’imponesse l’estetica del parallelepipedo trasparente in vetro e acciaio, New York era una città solida di mattoni e di terracotta, colorata di sfumature dorate e smeraldine e movimentata da profili a gradoni, arretramenti, torri e torrette che trascrivevano le norme dei regolamenti edilizi del tempo. Sono tutti elementi e caratteristiche che si ritrovano nell’headquarters di Disney e che sono certo diventeranno via via più comuni nella New York dei prossimi anni”.

Colin Koop, partner di SOM. © XXX
Colin Koop, partner di SOM. Foto Lucas Blair Simpson © SOM

SOM non ha innovato solo il prodotto-architettura ma anche il processo, adottando per primo un metodo di progettazione integrata, che combina in-house le competenze di tutte le professioni coinvolte nella concezione e nella realizzazione di un edificio. È il modello di funzionamento che ha ispirato tutti i grandi studi contemporanei, concorrenti in un panorama sempre più affollato, nel quale SOM si conferma un top player. Koop non ha dubbi sulle ragioni di questo successo di lunga durata: “Da SOM esiste uno scambio realmente proficuo tra dimensione individuale e quella collettiva, su più livelli: architettura e ingegneria convergono in una singola espressione costruita; ogni progetto è dello studio, nel suo insieme, anche se non mancano i grandi nomi che sono passati alla storia individualmente, come Gordon Bunshaft e Natalie De Blois. Infine, ed è probabilmente il punto più importante, SOM funziona come una meritocrazia multigenerazionale. Siamo incoraggiati a condividere e a trasmettere le nostre competenze alle generazioni più giovani, anche perché dopo i 65 anni dobbiamo lasciare la posizione da partner. Sto già pensando a chi potrebbe prendere il mio posto, quando verrà il momento”.

“Decalogo per un’architettura per lo Spazio”, Ciclo
“Decalogo per un’architettura per lo Spazio”, Cicli. Visuals by dotdotdot

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