La pompa di benzina compie un secolo: la sua storia e gli spazi che ha generato

Passato e futuro delle stazioni di servizio, importante campo di sperimentazione per l'architettura di tutto il ’900.

Stazione di servizio, anni ’50. Photo courtesy Quattroruote / Ruoteclassiche Editoriale Domus

1986: una FIAT 131, probabilmente in panne, sosta in una stazione di servizio in via Stalingrado a Bologna. Il cofano è aperto, il suo contenuto rischiarato dall’aureola luminosa proiettata dalla pensilina circolare del distributore. Luigi Ghirri immortala la scena e la inserisce in uno dei suoi più celebri viaggi fotografici, dedicato alle Esplorazioni sulla via Emilia. Le ricerca di Ghirri, come quella dei New Topographics americani degli anni ’70, sua fonte d’ispirazione fondamentale, rivela un paesaggio ordinario di campi coltivati e piloni della luce, chiesette di campagna e centri commerciali, fermate dell’autobus e ruderi semidemoliti. E stazioni di servizio, per l’appunto.

La prima pompa di benzina entra in servizio cent’anni fa, nel 1920. “Un pezzo della nostra storia materiale, di quella storia minore delle cose”: così la definisce Francesco Tacconi su Domus 764, ottobre 1994, rallegrandosi della pubblicazione del volume Benzina, di Decio Grassi, che le dedica ampio spazio. Il centenario che si festeggia quest’anno è un’occasione per riflettere non solo sull’oggetto, la pompa in sé, ma anche sugli spazi e le architetture che sono nate per ospitarla: le stazioni di servizio.

Si è soliti considerare come prima stazione di servizio della storia una farmacia della cittadina tedesca di Wiesloch. Vi sosta nel 1888 un’avventurosa Bertha Benz, mentre compie il primo viaggio a lunga percorrenza mai effettuato da e con un motore a scoppio, a bordo della vettura brevettata dal marito. È soprattutto un titolo ad honorem: a Wiesloch nasce un rito (la sosta per il rifornimento) ma non un luogo. Ancora per molti anni, infatti, la vendita di carburante resta appannaggio di farmacie ed empori, dispensato come altri liquidi all’interno di taniche. Dagli anni ’20, l’invenzione della pompa e il moltiplicarsi dei distributori a lato della carreggiata comportano una rivoluzione pratica, ma anche spaziale.

Le logiche del mercato suggeriscono di diversificare l’offerta: non solo la ricarica di carburante, ma anche il controllo del livello dell’olio e della pressione delle gomme; la pulizia dei vetri e le piccole e grandi riparazioni; infine, la vendita di tutti quei beni di consumo che possono migliorare la qualità del viaggio. Così, la stazione di servizio si trasforma rapidamente da tema tecnico (l’installazione di un macchinario) a tema architettonico (la costruzione di un complesso di strutture ed edifici). Nel 1932, Henry-Russell Hitchcock e Philip Johnson includono un distributore della Standard Oil nella storica mostra Modern Architecture: International Exhibition, al MoMA di New York. La stazione di servizio è consacrata come tipologia del Moderno, parafrasando il titolo di una bella ricerca pubblicata su Domus 811, gennaio 1999.

Quasi tutti i grandi architetti della prima metà del ‘900 vi si cimentano: Ludwig Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright, Robert Mallet-Stevens e Walter Gropius, tra i tanti. Arne Jacobsen è l’autore di una delle realizzazioni più riuscite di quest’epoca eroica: nel 1936 a Skovshoved, Danimarca, affianca ad un limpido parallelepipedo una pensilina di chiara ascendenza wrightiana, fungiforme e affusolata. L’esempio di Skovshoved è rappresentativo delle tensioni opposte, o per lo meno complementari, che influenzano la progettazione di una stazione di servizio.

Al distributore è richiesto di essere iconico, un landmark che catturi l’attenzione dell’automobilista, ma anche funzionale, per velocizzare le operazioni. E ancora, il distributore può essere progettato come un episodio unico, un’opera in sé, oppure rappresentare un prototipo, facilmente replicabile per estendere rapidamente la rete del marchio che lo gestisce. Questa doppia chiave di lettura è utile per comprendere le scelte spaziali e formali di tutte le migliori stazioni di servizio.

Molte risalgono agli anni ’50 e ’60, che sono i decenni della motorizzazione di massa in quasi tutta l’Europa occidentale. Solo in Italia progettano stazioni di servizio “maestri” dell’architettura (come i BBPR, autori del distributore di Riva Grumola a Trieste, del 1953) e dell’ingegneria (come Aldo Favini, a cui si deve la riuscita soluzione formale e strutturale del distributore in viale Gramsci a Sesto San Giovanni, del 1955). I nomi di alcuni progettisti per certi versi minori, poi, sono legati innanzitutto alle loro stazioni di servizio. È il caso, ad esempio, di Mario Bacciocchi, che nel 1953 completa il complesso di piazzale Accursio a Milano, memorabile prua streamlined posta a conclusione di un comune isolato di semi-periferia.

Proprio in Italia, poi, nasce una delle più geniali variazioni sul tema della stazione di servizio: l’autogrill a ponte, risultato delle intuizioni congiunte dell’imprenditore Mario Pavesi e dell’architetto Angelo Bianchetti. Due distributori, posti ai lati delle carreggiate di un’autostrada, sono le porte d’accesso a un immenso ponte panoramico a funzione commerciale. Sempre le autostrade italiane sono il territorio di un’altra sperimentazione, meno conosciuta ma altrettanto interessante. Le stazioni di servizio progettate da Costantino Dardi tra gli anni ’60 e ’70 per la Venezia-Trieste sostituiscono la pensilina piana con un’impalcatura tridimensionale, cubica, che moltiplica le superfici disponibili per messaggi pubblicitari e di altra natura.

Assemble, The Cineroleum, Londra, 2010. Foto © Morley von Sternberg
Assemble, The Cineroleum, Londra, 2010. Foto © Morley von Sternberg

Gli anni ’70 sono anche l’epoca in cui si pone, per la prima volta a grande scala, la questione del riutilizzo dei distributori dismessi. Nel 1974 Albert L. Kerth pubblica A new life for the abandoned service station, destinato a diventare un classico della letteratura sul tema in tutto il mondo. Rapide da realizzare ma anche da smantellare, vulnerabili alle variazioni dei flussi automobilistici, le stazioni di servizio sono da sempre un patrimonio fragile, facilmente ridotto a rovina o distrutto, anche nei suoi episodi di maggiore qualità. Nell’ultimo decennio, poi, la diversificazione delle tipologie di carburante, con il progressivo orientarsi del mercato verso veicoli ibridi ed elettrici di vario tipo, introduce un’ulteriore, pericolosa variabile.

Il passaggio dalla pompa di benzina alla presa di corrente farà calare definitivamente il sipario sulle stazioni di servizio? È una domanda a cui si potrà dare risposta solo nel medio-lungo termine. Nel frattempo, mentre le colonnine di ricarica elettrica di Enel X si aggiudicano un Compasso d’Oro ADI nel settembre 2020, la stazione di servizio tradizionale continua ad essere un tema architettonico decisamente fertile, nei termini della sua progettazione ex-novo o ri-funzionalizzazione.

Nella prima categoria meritano di essere citati, ad esempio, la Helios House di Johnston Marklee e Office dA a Los Angeles (2008), oltre che i molti distributori progettati da Samyn and Partners in Belgio negli ultimi due decenni. È del collettivo londinese Assemble, invece, quella che è probabilmente la più brillante riconversione realizzata ad oggi. A due passi dalla City di Londra, “The Cineroleum” (2010) riutilizza la pensilina di un vecchio distributore come copertura di una sala per proiezioni, e come supporto del suo scintillante sipario metallico. Il rudere esistente non solo si adatta alla nuova pratica, ma ne propone una variante inedita e sorprendente. Il distributore “ordinario”, quello fotografato da Ghirri e dai New Topographics, si trasforma nel palcoscenico di uno spettacolo urbano fuori dal comune.

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