La diga più alta del mondo. Competizioni e metafore dell’infrastruttura

Con i suoi 305 metri di altezza, la diga Jinping-I detiene attualmente il primato di diga più alta del mondo. Ma l'infrastruttura cinese verrà presto superata da un opera in Tagikistan.

La diga più alta del mondo si trova nel sud della Cina, nella provincia del Sichuan, e raggiunge un’altezza di 305 m. Completata nel 2015, la diga Jinping-I supera di qualche metro la diga di Nurek (300m), che si trova in Tagikistan, e quella di Xiaowan (292m), situata anch’essa nella Repubblica Popolare Cinese. È invece ancora in costruzione la diga di Rogun, anche questa in Tagikistan, che con i suoi 335 sarà la futura diga più alta del mondo.

Se invece dell’altezza invece consideriamo il volume di bacino, allora la diga più grande del mondo si trova sul fiume Zambesi, tra Zambia e Zimbabwe, ed è stata costruita addirittura nel 1959.

La più alta diga cinese – e del mondo – è posizionata sull’ansa Jinping del fiume Yalong, nella regione del Sichuan. Iniziata nel 2005, la costruzione della mastodontica infrastruttura è durata appena 9 anni. La centrale elettrica di questa diga ha una capacità di 3.600 MW e produce tra i 16 e i 18 TWh di energia all’anno, più o meno la stessa quantità di energia rinnovabile prodotta annualmente dall’intera Svezia.

Dalla definizione della International Commission On Large Dams (ICOLD), un grande impianto è “una diga con un’altezza pari o superiore ai 15 metri dalle fondamenta fino alla cresta più bassa o una diga tra i 5 e i 15 metri, in grado di arginare più di 3 milioni di metri cubi d'acqua.”

Nel 2016, la Commissione contava 58.519 dighe in tutto il mondo, 23.820 delle quali costruite solamente nel territorio cinese. È per via della grande disponibilità di corsi d’acqua che la Cina è il più grande costruttore di dighe al mondo, risultando il primo paese sia per la quantità di capacità idroelettrica installata sia per la quota di capacità aggiunta.

Senza di esse non sarebbero possibili l’irrigazione dei campi o l’alimentazione idrica dei centri urbani su larga scala e in modo programmato. Queste infrastrutture permettono la coltivazione anche in terre aride e la protezione dai “capricci” della natura. Storicamente sono quindi state strumento di civilizzazione e colonizzazione tecnologica.

La diga di Hoover, costruita negli anni Trenta in Nevada, Stati Uniti. Credits @mikkafausto

Secondo ICOLD, “lo sforzo del Dragone nel settore delle dighe non si limita al territorio nazionale. In risposta alla saturazione del mercato interno, gli investimenti cinesi in costruzioni di nuovi impianti si stanno dirigendo all’estero. Attualmente, sparse per il globo, ci sono più di 330 dighe costruite da ditte cinesi, con circa il 40 percento del totale localizzato nell’Asia meridionale e un terzo in Africa.”

Questo atteggiamento però non riguarda solo la storia recente. Basti pensare che tra i casi storici più importanti c’è quello della Diga del Lago Homs, chiamata anche Diga di Qattinah, costruita dall’imperatore romano Diocleziano nel 284 dC in Siria, e che dopo oltre 1700 anni è ancora in uso e in ottimo stato. Con una capacità di 90 milioni di metri cubi, è l’infrastruttura più grande costruita in quel periodo. 

La diga sul lago Homs, in Siria, con la sua torre romana. Fotografata nel 1921. Credits Bibliothèque nationale de France

L’Italia conta attualmente 532 dighe (di cui solo 382 in effettivo servizio), che sotto la costante attenzione Servizio Tecnico Nazionale Dighe e Infrastrutture Idriche ed Elettriche. Nonostante i fasti del passato e le eccellenze nel campo dell’ingegneria che il Belpaese esporta in tutto il mondo, le grandi dighe – e le grandi infrastrutture generale – sono delle sorvegliate speciali, a causa di incidenti e disastri che puntualmente ci ricordano la fragilità del nostro territorio. 

Se negli ultimi anni l’Italia non eccelle nel campo delle infrastrutture, qui possiamo trovare nuove interpretazioni artistiche e umane di un paesaggio che necessita di cura e manutenzione continua. È il caso del progetto Incompiuto Siciliano che, in occasione della biennale nomade Manifesta, si è rappropriato della diga incompiuta di Blufi, a pochi chilometri da Palermo. Insieme a studenti e ospiti internazionali, gli artisti hanno fatto rivivere temporaneamente l’infrastruttura in abbandono e mostrato un paesaggio che è sublime se guardato con occhi diversi. 

La diga incompiuta di Blufi, che è stata "riattivata" dal progetto Incompiuto Siciliano durante la biennale itinerante Manifesta 12 Palermo

In modo simile, la compagnia OHT – Office for a human theatre racconta le vicende di Curon, un piccolo paese altoatesino sfollato e completamente sommerso nel 1950 per la costruzione di una grande diga. In teatro OHT riproduce il campanile di una chiesa che tutt’ora svetta tra le acque del bacino artificiale e combina la scenografia alla musica del compositore estone Arvo Pärt. La narrazione rallentata affronta l’ambiguo e sempre irrisolto rapporto fra uomo e paesaggio.

Che da queste interpretazioni possano nascere nuovi modi di concepire le infrastrutture? Quali sono le grandi opere del futuro? Continueremo a considerare la magnificenza di una diga dalla sua altezza?

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