Fosbury Architecture: “Studiamo relazioni e cerimoniali degli spazi urbani e privati”

Il collettivo di ricerca nato a Milano cambia il campo di indagine e propone soluzioni a questioni sempre nuove.

Fosbury Architecture è un collettivo di ricerca e design fondato nel 2013 a Milano, attualmente composto da Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi e Giacomo Ardesio. Il loro ultimo lavoro, presentato alla seconda Chicago Architecture Biennial, indaga gli effetti della sovrapposizione tra lavoro e spazio domestico.

Ci parlate della vostra organizzazione interna e di come si è evoluta nel tempo?
Fosbury Architecture nasce come collettivo aperto nel 2013, durante gli anni dell’università. Con una serie di concorsi e lavori interessanti siamo cresciuti fino ad essere in otto, collaborando a intermittenza con altri gruppi e coinvolgendo spesso studenti più giovani di noi. Dopo la laurea abbiamo sperimentato diverse formule: inizialmente lavoravamo tutti per altri studi e il collettivo occupava buona parte del nostro tempo libero; progressivamente si è andato formando un nucleo a tempo pieno, che ha lavorato nello stesso studio per due anni. Adesso viviamo una nuova condizione, piuttosto singolare rispetto al canonico percorso di formazione di una pratica professionale: siamo in cinque e lavoriamo tutti in città diverse, in ambiti professionali molto differenti.

Ci piacerebbe discutere con voi di quella particolare tensione fra spazio pubblico e spazio privato che caratterizza soprattutto alcuni dei vostri primi progetti.
In realtà, in quella prima fase l’attenzione era rivolta esclusivamente allo spazio pubblico. Si trattava programmaticamente di individuare e scegliere i concorsi in cui poterci confrontare con la città. In maniera abbastanza pretestuosa anche nei progetti di scala intermedia o piccola il lavoro si concentrava sempre sulla dimensione pubblica o di pubblico interesse e sul valore collettivo del progetto, talvolta mettendo in crisi le premesse da bando. Ci interessava capire come l’evoluzione della società urbana potesse influenzare il progetto. L’unica tensione era – ed è ancora – verso un’idea d’architettura più etica che estetica. 

Oggi operate a una scala minore, quella del prodotto e del design d’interni. Rimane comunque fondamentale uno sguardo alla dimensione urbana del progetto?
Lo spazio domestico attualmente ci interessa molto. Di fatto però non operiamo alla scala degli interni – se non su commissione – e non ci interessa l’interior design inteso come “arte” di intercettare le fluttuazioni del gusto dominante. Ci appassione lo spazio domestico nell’accezione di Emilio Ambasz in Italy: the New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design (1972). L’idea di ambiente è abbastanza adattabile da permettere l'attuazione di diversi eventi, sia privati che comunitari, e sufficientemente fissa da consentire la rievocazione di quei rituali costanti della nostra memoria individuale e sociale. In questo senso, la cellula individuale – anche grazie alla rete – è oggi interfaccia tra pubblico e privato, le relazioni e i cerimoniali che consente modificano lo spazio urbano. L’obiettivo resta sempre progettare la città.

Ci parlate del progetto “Ganzfeld – Ambienti di resistenza per individui sociali”?
È un lavoro di ricerca sullo spazio domestico, che portiamo avanti da tempo, intorno al quale convergono diverse riflessioni. È costituito da un catalogo, un archivio incrementale di casi studio rintracciati dal Medioevo ad oggi. Cerchiamo di innescare una relazione tra vita e forma che non si risolva in meri termini funzionali. Oggi, dove anche l’intimità è diventata un asset economico, questi ambienti “resistono” all’appiattimento del gusto da un lato e alla smaterializzazione delle liturgie domestiche dall’altro. La storia dell’arredo è disseminata di oggetti eccezionali disegnati con il solo scopo di accogliere le idiosincrasie di chi li occupa, di ospitarne e preservarne i rituali. A metà tra un oggetto e una stanza questi ambienti non rispondono alle necessità, ma hanno a che fare con i desideri.

In J’ai pris amour definite distruttivi gli effetti del productive leisure sull’ambiente domestico. Come sta cambiando l’abitare?
Lo spazio della casa cambia per una molteplicità di fattori come la parcellizzazione tipologica, dovuta alla riduzione dei nuclei familiari, o gli enormi stock di abitazioni comprate e vendute da società immobiliari. Quello che stiamo indagando maggiormente – perché ci riguarda da vicino – è legato alla sovrapposizione tra lavoro e spazio domestico che interessa soprattutto la “classe creativa”. La figura dello Youtuber è quella che meglio incarna questa condizione senza precedenti: i creators, come anche gli influencer, i blogger, le insta-poets (piuttosto ignorati dal dibattito architettonico) sono lavoratori immateriali che guadagnano sulla diffusione web della loro vita privata. L’intimità è messa al lavoro e la fantasia al potere. Non cambia solo lo spazio della casa ma piuttosto la sua rappresentazione.

Questa intervista è parte di “Superdomestico. A dialogue on the new obsession for domesticity”, una ricerca a cura dello studio casatibuonsante architects e ciclo di conferenze promosse e ospitate da Ostello Bello, a Milano. L’obiettivo è quello di analizzare l’ambiente domestico e i suoi cambiamenti rispetto ai meccanismi del sistema economico contemporaneo. La seconda serata si terrà in via Medici 4 il 21 Marzo h: 19:00. Si parlerà di #Superhouse con fala e Fosbury Architecture.

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