Interiors: il progetto digitale che indaga il rapporto tra film e architettura

Dall’hotel di Shining al mondo sottosopra di Inception, un’analisi strutturale delle scene più famose del cinema. Con le planimetrie da acquistare online.

Shining

Proprio perché è un’architettura sottratta allo sguardo indifferente di ogni giorno, quella protagonista nel cinema provoca da sempre un grande fascino. Il motivo risiede nel potere trascendente dell’inquadratura, nei cui limiti geometrici oggetti ed edifici si trasformano in cose investite di affetti e simbolismi. In grado di “mostrare il soggetto nel suo rovescio”, scrive Remo Bodei in La vita delle cose (Laterza).

Come la borsa-vagina nei primi minuti di Marnie, oppure l’EUR esistenzialista ne L’Eclisse di Michelangelo Antonioni. In un processo narrativo che seppure evidente, data la proiezione fisica su uno schermo, nel suo svelamento risulta quasi del tutto inafferrabile. E costringe così lo spettatore a visioni ripetute. Alla ricerca di una replica del piacere.

Nel creare Interiors, mensile digitale che dal 2012 indaga le relazioni tra film, architettura e design, c’è da scommettere che il motivo che ha spinto Mehruss Jon Ahi e Armen Karaoghlanian sia stato per l’appunto la natura sfuggente della loro interazione. Come sopperire insomma alla comprensione parziale che il mezzo filmico dà, nella maggior parte dei casi, di uno spazio abitativo, specie quello iconico delle scene madri più famose della storia del cinema? Attraverso un processo di ricostruzione quasi scientifica dell’invisibile filmico, tagliato dal montaggio o mai ripreso. In due modi: da una parte contando, per esempio, quante macchine da presa sono state utilizzate, in che modo e perché; dall’altra elaborando graficamente le planimetrie che riproducono in maniera fedele tutto il set, reale o di cartapesta che fosse. Unitamente ai personaggi, loro movimenti compresi, tracciati con sottili linee rosse.

Niente più segreti, dunque. Là dove c’era una suggestione, ora c’è una traduzione. Particolare tutt’altro che irrilevante, perché se questa mole di pensiero critico a qualcuno appare eccessiva, e antipoetica, vuol dire che non ha ben chiaro come funzionano le fandom di appassionati del cinema. E il fatto che Interiors sia munito di un’official store dove acquistare le piante di Seven e Inception, ricorda quello che diceva Carrie Fischer a proposito del fanatismo legato al suo personaggio di Guerre stellari, Leila. Nel suo show intitolato Wishful drinking, tra i modi in cui negli anni ha avuto l’onore di essere trasformata, la principessa elenca una saponetta, un francobollo, un distributore di caramelle e perfino l’invidiabile status di poster girl del disturbo bipolare nel manuale Abnormal Psychology. A questa offerta, Interiors contribuisce con una silhouette ottenuta attraverso un software CAD che la ritrae quando, aggrappata a Luke (Skywalker), raggiunge l’estremità opposta di un ponte interrotto a bordo della Morte Nera.

La planimetria di questa scena acrobatica del primo film della saga, acquistabile o stampabile da computer, rientra sempre nel concetto di memorabilia, ma a differenza dei manufatti industriali è molto più sofisticata. E porta con sé tutta la potenza deflagrante di un X-File. La stessa delle locandine reinventate dall’artista americano Adam Ryan Juresko e delle magliette celebrative Girls on Tops, con i nomi di superstar stampate con font Helvetica. Oggetti miracolosi il cui possesso offre, assieme ai contenuti extra di cui sono farcite le edizioni speciali dei DVD, un tassello in più al processo d’immedesimazione con lo spazio mitologico del film. Specie quando, come nel caso di Guerre stellari, le architetture sono state ricostruite quasi in toto in studio. Che è molto diverso dall’intraprendere un tour turistico alla scoperta della Madrid di Pedro Almodóvar, o seguendo i consigli di Oscar Iarussi nel suo Andare per i luoghi del cinema (Il Mulino). Ma mai uguale all’esperienza che di quelle location si ha nel contesto esclusivo di un film.

D’altronde “il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”, diceva Hitckcock. Che tradotto per l’architettura vuol dire osservare gli edifici senza distrazioni urbane e infiltrazioni umane, se non coreografate ad arte come in un film. A questo proposito, sarebbe curioso se Interiors, dopo classici come la stanza di 2001: Odissea nello spazio, si prendesse la briga di studiare le dinamiche d’indifferenza e complicità che animano le stanze attigue, ma separate da un bagno, di Oliver e Elio in Chiamami col tuo nome, il film di Luca Guadagnino candidato a quattro premi Oscar. Considerato che, dato il successo del film, per questa primavera si prevede un boom di arrivi in quell’indefinito “Somewhere in Northern Italy” che fa da geolocalizzazione alla vicenda, una planimetria del secondo piano di Villa Albergoni a Moscazzano potrebbe essere una buona alternativa per chi non potrà raggiungerla. Per il futuro, invece, la modesta proposta è inserire planimetrie in stile paginone centrale di Playboy. In fondo, l’obiettivo di Interiors è di ampliare l’offerta anche sulla carta. Un Cahiers du cinéma dell’architettura? Perché no, gli estimatori non mancherebbero.

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