Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, è architetto ad honorem

Economista, più volte ministro, Baratta propone una visione politica dell'architettura: un bene collettivo per la collettività.

Paolo Baratta, foto di Andrea Avezzù, foto gentilmente concessa dalla Biennale di Venezia

“L'architettura è la più politica delle arti, ci sollecita a scoprire la parte di noi che sta e vive insieme agli altri”. Sono queste le parole del discorso dello scorso 2 dicembre di Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, in occasione della nomina ad architetto onorario dal Consiglio Nazionale Architetti. 

Paolo Baratta prima di dicembre 2017 non era  un architetto, è un economista dalla lunga storia politica, è stato tre volte ministro. Racconta quali sono state le priorità delle sue biennali. In primis mettere in luce un paradosso, “Ci pareva che nel tempo si fosse determinato un crescente scollamento tra l'architettura e la società civile. Mentre ci interessava l'architettura, ci preoccupava la sua assenza (…) visto come si andavano sviluppando le cose nel mondo, esprimemmo il sospetto che vi fossero architetti e opere spettacolari, ma che l'architettura come disciplina e anche come arte civile e politica fosse in ombra, persino scomparsa”. 

E quindi si è imposto di risolvere questo paradosso, ma come? Dando all'architettura il ruolo che le spetta nella vita dell'uomo. “La Mostra della Biennale è luogo del riconoscimento della necessità di architettura. È il luogo della riscoperta non solo di indispensabili utopie, ma soprattutto di esempi concreti che ci sensibilizzano all'idea che ci sono opzioni diverse rispetto all'assuefazione e al conformismo.” L'architettura produce “beni pubblici”, aggiunge, “senza architettura siamo tutti più poveri: senza architettura c'è più ingiustizia distributiva”.

Baratta fa un'analisi di quello che è diventato il mondo oggi, in cui i cittadini sono delusi dalla politica rappresentativa “domina la delusione nei confronti di istituzioni e di meccanismi di delega”. Le nostre società soffrono di “identarismo ossessivo o del populismo” che genera la peggiore forma di individualismo, continua, “un curioso individualismo che per affermarsi riduce la dimensione stessa dell'individuo”. 

La soluzione di fronte a tutto questo sta nelle mani della cultura, “Occorre un vero riarmo culturale” in cui “la conoscenza e l'apprezzamento dei beni pubblici è componente essenziale”. E che cosa sono i beni pubblici se non la gestione degli spazi pubblici, la creazione del bello e del bene comune, che solo l'architettura può proporre? Una visione politica dell'architettura può salvarci, conclude Baratta, “mi riferisco all'architettura come fenomenologia dell'architettura, e cioè dei percorsi decisionali che vanno dalla consapevolezza delle esigenze alla loro chiara espressione, alle modalità istituzionali, politiche, amministrative e alla coerenza delle leggi necessarie per giungere dall'esigenza al progetto, alla realizzazione”. E quindi, “più architettura è già riarmo culturale”.  

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