Aperta a Parigi, la galleria Solo unisce le passioni e le esperienze di Christian Bourdais, imprenditore immobiliare, ed Eva Albarran, esperta di progetti d’arte contemporanea.
L’ampliamento del campo dell’arte contemporanea si giova da qualche anno di nuove risorse appartenenti alla sfera dell’architettura, rivelando sotto diverse forme non solo la qualità concettuale e creativa degli architetti – con la produzione di disegni, modelli, oggetti d’arredamento e perfino veri e propri edifici innalzati al livello di opere d’arte – ma anche interessandosi alle sperimentazioni artistiche associate alle ricerche d’architettura e al processo progettuale.
In un primo momento, a invadere le gallerie sono stati i pezzi isolati, tratti dagli edifici e dal relativo contesto. Più di recente, anche l’arte contemporanea ha avuto un ruolo attivo nell’abolizione dei confini disciplinari: l’architetto, l’artigiano e l’artista sono sempre più spesso associati in un’unica ricerca creativa. È il processo creativo in sé a essere svelato nel quadro di una vera prospettiva d’arte, così come l’artista s’ispira, a sua volta, alla materia e all’architettura proponendo nuove forme di rappresentazione. Ne è un esempio la serie Architecture realizzata dal fotografo Hiroshi Sugimoto, le sue immagini sfocate di architetture-simbolo inducono a una ricostruzione mentale dell’opera.
Arte e architettura sono ormai presentate insieme nello spazio esterno, popolando i grandi parchi urbani sotto forma di padiglioni effimeri: come una “collezione primaverile” alla Serpentine Gallery, nei giardini londinesi di Hyde Park, o al giardino parigino delle Tuileries nell’ambito di FIAC Hors les murs, oppure in occasione di Art Basel.
Spostati e ricostruiti, questi padiglioni trovano nuova vita – e nuovo uso – nelle fondazioni private, nei parchi d’architettura e scultura come nel caso di Château La Coste, dove il sito non solo ospita opere provenienti da altri luoghi (i padiglioni di Frank Gehry e di Jean Prouvé), ma ispira anche nuove opere, installazioni artistiche, architetture contestualizzate come il centro d’arte di Tadao Ando o le sculture di Richard Serra. L’architettura viene poi ospitata in paesaggi nuovi, come quelli della regione del Matarrany, nel sud della Catalogna, dove le Solo House svelano nuove esperienze architettoniche che nascono dalla “carta bianca” lasciata a una dozzina di architetti contemporanei.
Aperta di recente nel quartiere del Marais, nel 3° Arrondissement parigino, la galleria Solo unisce le passioni e le esperienze di Christian Bourdais, imprenditore immobiliare, ed Eva Albarran, esperta della realizzazione di progetti d’arte contemporanea. Puntando sul fatto che il lavoro dell’architetto di oggi non si pone più in forma “monolitica”, che “il lavoro dell’architetto slitta verso l’arte contemporanea” – come dice lui – e che “finite le Biennali, le opere degli architetti sono destinate a scomparire pur essendo interessanti” – come ribadisce lei –, la galleria Solo segue una linea curatoriale precisa, lavorando con architetti che mostrano un’esigenza espressiva specifica ispirata alle arti plastiche.
Dopo aver presentato “Lore”, mostra dell’architetto indiano Bijoy Jain, fondatore dello Studio Mumbai, che riguardava una ricerca svolta a partire da processi costruttivi tradizionali letti in una riflessione molto contemporanea la galleria Solo ha ospitato nei suoi spazi Anne Holtrop, architetto olandese che non ha preconcetti sull’architettura e dedica molta attenzione alla reinterpretazione di cose, nonché di forme, collocate a priori fuori del territorio dell’architettura.
Le opere esposte alla galleria Solo nel quadro della mostra “Barbar Batara” appaiono in forma di sculture, come una massa a partire dalla quale è possibile estrarre degli spazi. Da qui l’evocazione, da parte dell’architetto, del fascino della città giordana di Petra, dove la città minerale è non soltanto estratta dalla materia rocciosa ma è essa stessa materia architettonica. Questa attrazione per la materia ha portato l’architetto a fermarsi sulle rive del Golfo Persico, nell’ambito della realizzazione del padiglione del Bahrein per L’Expo 2015 di Milano, concepito come una sequenza di micropaesaggi circondati da una corte e da vele di cemento ricurve, il tutto inserito in un rigoroso recinto minerale. Anne Holtrop dà così forma ad architetture, con il sostegno della sua formazione ingegneristica cui si aggiunge un’esperienza plastica condotta nello studio di Karin de Koning; due esperienze sperimentali che, secondo lei, le hanno “aperto gli occhi”.
“Batara” esponeva diversi modelli trattamenti di pareti modellate nella sabbia, senza funzione evidente (il che dà loro un’aria primitiva) scolpite come sono nella materia e rivisitate con gli occhi di Bas Princen. “Barbar” fa riferimento a un tempio riscoperto nel 1954, o meglio a tre templi sovrapposti. Anne Holtrop mette a confronto le linee rette e gli archi con raffinati montaggi, in un linguaggio d’architettura e di spazi dissociati che ricordano quelli del tempio.
Proseguendo queste ricerche e queste sperimentazioni nate dalla stessa materia “l’architetto” lavora attualmente alla realizzazione del nuovo sūq di al Muharraq, nel Bahrein, dove una pietra proveniente dalle rive del Nilo costituisce una nuova fonte d’ispirazione e di esperimenti.