Les années AUA

La prima retrospettiva sul lavoro di AUA racconta l’utopia concreta del gruppo francese, con una mostra ricca e intensa, un inno a un’epoca in cui politica e cultura camminavano mano nella mano.

I collettivi d’architettura oggi sono molto di moda. Lo studio londinese Assemble ha sorpreso tutti quando, in dicembre, ha vinto il prestigioso premio Turner per il lavoro trasversale ai settori dell’arte, del design e dell’architettura e per la creazione di progetti in tandem con le comunità.
Les années AUA
In apertura: Georges Loiseau, Jean Tribel e Jean-François Parent, Quartier de l’Arlequin, Villeneuve de Grenoble, 1968-1973. Photo © Archives Jean Tribe. Qui sopra: Paul Chemetov e Jean Deroche, Atelier d’urbanisme et d’architecture, Bagnolet, 1968. Annie Tribel (in primo piano) e Jean Perrottet (sullo sfondo). Photo © Fonds Fabre Perrottet. SIAF / Cité de l’architecture & du patrimoine / Archives d’architecture du xxe siècle
Sull’altra sponda dell’Atlantico il Canadian Center for Architecture ha rivolto le sue attenzioni a “The Other Architect” (“L’altro architetto”, vedi Domus 998, gennaio 2016 Ventitrè modi di essere architetto) presentando lavori di gruppi come Urban Innovations Group, ILAUD (International Laboratory of Architecture and Urban Design), AMO, IAUS (Institute for Architecture and Urban Studies), CUP (Center for Urban Pedagogy), ARAU (Atelier de recherche et d’action urbaines), Architecture Machine Group, Forensic Architecture e Multiplicity, tutti alla ricerca di “modelli operativi differenti, centrati su strategie collettive, che presentano idee insolite e sperimentano un nuovo strumentario”.
Les années AUA
Georges Loiseau, Jean Tribel e Jean-François Parent (in collaborazione con Henri Ciriani, Michel Corajoud e Borja Huidobro), strada pedonale nel Quartier de l’Arlequin, Villeneuve de Grenoble, 1973. Photo © Fonds DAU. SIAF / Cité de l’architecture & du patrimoine / Archives d’architecture du xxe siècle
E tuttavia il lavoro in collaborazione – persone che condividono non solo il lavoro ma anche la vita e la sorte, al di là del semplice gesto architettonico, viaggiando, vivendo, giocando e mangiando insieme – non è una cosa nuova. AUA, l’Atelier d’urbanisme et d’architecture – singolare gruppo di professionisti di grande reputazione sulla scena architettonica francese degli anni Sessanta e Settanta, tra gli inizi della Quinta Repubblica e l’ascesa al potere di François Mitterrand – era molto più che una semplice studio d’architettura. Con la mostra “Une architecture de l’engagement 1960-1985”, a cura di Jean-Louis Cohen con Vanessa Grossman, la Cité de l’Architecture et du patrimoine di Parigi ne celebra l’opera con la prima retrospettiva. Multidisciplinarità, pratiche collaborative, nuova sensibilità materiale, tendenze di sinistra e pensiero utopico sono al centro di questa mostra, aperta fino al 29 febbraio 2016.
Les années AUA
Jacques Berce, Henri Ciriani, Michel Corajoud, Borja Huidobro, Georges Loiseau, Annie Tribel e Jean Tribel, Tétrodon, 1969-1972. Photo © Fonds DAU. SIAF / Cité de l’architecture & du patrimoine /Archives d’architecture du xxe siècle
Studio multidisciplinare comprendente oltre 15 persone, per la maggior parte ancora in vita, provenienti da esperienze professionali completamente differenti (architetti, ingegneri, arredatori, urbanisti, ma anche designer d’arredamento, architetti paesaggisti e sociologi), il gruppo fu fondato nel 1960 da Jacques Allégret in una ex tipografia del XX Arrondissement parigino. Provenienti in parte dal filone formativo Beaux-Arts, certi membri di AUA erano fortemente contrari all’idea di uno studio basato su un singolo maestro. Finirono con il diventare un gruppo molto ampio, una specie di famiglia.
AUA si fondava su un saldo modello cooperativo di sinistra, con stretti rapporti politici e culturali. In Francia il gruppo viene ricordato soprattutto per alcune collaborazioni con i cosiddetti “sindaci rossi”. Più tardi, negli anni Ottanta, l’ascesa del Postmoderno fu fatale per AUA, come accadde per il comunismo.
Les années AUA
Paul Chemetov e Jean Deroche, Atelier d’urbanisme et d’architecture, Bagnolet, 1968. Photo © Fonds Fabre Perrottet. SIAF / Cité de l’architecture & du patrimoine / Archives d’architecture du xxe siècle
Insieme con l’Atelier de Montrouge, altro collettivo fondato nel 1958, i membri di AUA venivano classificati nell’ambito del Neobrutalismo francese. Altri vedevano affinità con il movimento neorealista italiano, con il quale condividevano l’interesse per l’industrializzazione e per le competenze artigianali, come il desiderio di dare nobiltà a materiali poveri. Furono anche tra i primi architetti a criticare i grands ensembles (sulla rivista Forum, creata anch’essa in seno al gruppo) in funzione di una continuità del tessuto urbano, là dove l’architettura del Modernismo aveva fallito.
Les années AUA
Centro amministrativo di Pantin, Jacques Kalisz e Jean Perrottet, 1962-1973. Photo © Gérard Guillat. Fonds Kalisz. SIAF. Cité de l’architecture et du patrimoine. Archives d’architecture du XXe siècle
Tutto questo, è molto di più, apprendiamo dalla mostra “AUA – Une architecture de l’engagement 1960-1985”. Per chi non ha familiarità con il gruppo (come sono convinta sia il caso di molti architetti fuori di Francia) la mostra costituisce un meraviglioso viaggio in un’epoca speciale e una prospettiva singolare sulla pratica professionale. È anche una microstoria della Francia tra gli anni Sessanta e Ottanta. D’altra parte il pubblico francese ha modo di scoprire, aggirandosi per la mostra, più percorsi specifici del gruppo: AUA era un collettivo formato da una serie di individui che mantenevano la propria firma personale e lavoravano a progetti specifici. La ricca collezione di racconti orali presentata nel percorso della mostra aiuta tra l’altro il visitatore a individuare le molteplici personalità che costituivano questo gruppo in fluttuante evoluzione.

 

Cohen e Grossman suggeriscono che il fascino di AUA – e di altri analoghi gruppi dell’epoca – stia nell’utopia che rappresentano: un’utopia concreta, per usare la definizione del filosofo tedesco Ernst Bloch. Ma, come ogni famiglia, quella di AUA era piena di vitalità e allo stesso tempo profondamente disfunzionale. Questo è quanto traspare dalla prima retrospettiva mai dedicata al suo lavoro: una mostra ricca, densa e intensa, un inno a un’epoca in cui politica e cultura camminavano mano nella mano. E tuttavia, benché la mostra sveli un’abbondante messe di materiali d’archivio, modelli, disegni, fotografie e interviste originali, si sarebbe voluto che si lasciasse più spazio per respirare e assorbire quella che appare come una mostra da cinque sale condensata in un unico, limitato spazio espositivo. Ma per fortuna, dopo la chiusura della mostra, resta il catalogo. “AUA. Une architecture de l’engagement 1960-1985”, è un volume ben concepito e curato con intelligenza, che presenta una straordinaria collezione di saggi scritti da alcuni dei migliori storici dell’architettura francesi di oggi. E perciò mostra e catalogo danno un contributo immenso alla recente storia francese.

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