Città da giocare

A Bristol, il recente convegno “Making the City Playable” svela che essere smart non è l’unica qualità cui una città dovrebbe aspirare: le attività ludiche pubbliche sono infatti in grado di dare un futuro più allegro, di maggior coesione e perfino efficienza.

Nove pali su dieci lo confermano: i lampioni di Bristol si divertono di più. Che intraprendano uno scambio di messaggi dialogando con i cittadini oppure catturino le ombre dei passanti per riproiettarle davanti ad altri parecchio tempo dopo che i proprietari se ne sono andati, queste fedeli sentinelle di recente si sono trovate ripetutamente alla ribalta. 

Tutto fa parte della Playable City, la “città da giocare”, un movimento emergente promosso da Watershed, l’apprezzatissimo polo del cinema e della creatività digitale di Bristol, che vuol essere la risposta creativa a un ambiente urbano la cui crescente efficienza tecnologica spesso lo rende freddo e anonimo.

In apertura: Park and Slide. Photo Luke Jerram. Sopra: Matthew Rosier, Jonathan Chomko, Shadowing

La Playable City non intende contrapporsi alla più nota cugina, la Smart City, ma vuol ricordare che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (l’ITC) vanno benissimo per condurci a destinazione in luoghi che non conosciamo grazie a uno smartphone e per collegarci istantaneamente con gli amici in luoghi mai visti. Ma così facendo spesso ci scollegano da ciò che ci sta immediatamente intorno. Anche se le due tendenze adottano entrambe tecnologie pervasive, lo fanno in modo diverso: la Smart City mette in primo piano la qualità e i consumi, la Playable City predilige la quantità e l’esperienza vissuta.

Dalle scale di Stoccolma che suonano come una tastiera di pianoforte ai mimi-vigili urbani di Bogotà, fino a Park and Slide, lo scivolo acquatico lungo 95 metri installato in una delle principali strade commerciali di Bristol, le città stanno rendendosi conto sempre meglio che queste attività ludiche pubbliche sono in grado di dare alla città un futuro più allegro, di maggior coesione e perfino di maggiore efficienza. Ma, così come la Smart City non vuol farsi etichettare come un’utopia esoterica da maniaci della tecnologia, la Playable City vede invece se stessa come qualcosa di più che non semplicemente l’ultimo pallino dei fan di Instagram.

Matthew Rosier, Jonathan Chomko, Shadowing

“Non dobbiamo essere dei provocatori che fanno cose strane per la strada”, spiega Clare Reddington, direttrice creativa di Watershed. Al di là dei giochi in sé, i promotori della Playable City sostengono che il gioco ha la capacità di mettere insieme in modo egualitario persone di età e di esperienze differenti, permettendo ai cittadini di mettersi in rapporto tra loro e con la loro città in modo diverso. Dato che le città si sono storicamente strutturate come un assemblaggio di parti autonome per quanto interdipendenti, il gioco fornisce una cornice creativa e permissiva orientata a un maggior senso della collettività e dà modo di analizzare e migliorare luoghi e servizi che determinano l’esperienza urbana. “Non è solo un fatto di arte e di cultura, ma anche di vita e di istruzione, di salute e di benessere, tutte cose che permeano complessivamente questi dialoghi”, afferma Reddington.

In base a questi concetti Watershed ha istituito il Playable City Award – oggi alla seconda edizione – per finanziare nuove opere d’arte che adottino una tecnologia creativa per esprimere il concetto di città come piattaforma d’interazione duttile, ha promosso in Brasile un’edizione di Playable City a Recife nell’aprile 2014, e più di recente ha ospitato il convegno Making the City Playable che, ai primi di settembre, ha visto urbanisti, funzionari di amministrazioni locali, artisti, designer, educatori e imprese di tutto il mondo riuniti a Bristol per analizzare le crescenti potenzialità del movimento. Con interventi come quelli di Tom Uglow – direttore del Creative Lab di Google – e di Usman Haque – architetto, artista e fondatore di Umbrellium – l’affollatissimo convegno è stata la prova evidente della capacità naturale del gioco di gestire situazioni caratterizzate dalla molteplicità degli interessi in gioco mitigandone la pressione per consentire nuovi dialoghi e nuovi risultati.

Playable City Recife Brazil: Aquatic Pathways by H.D. Mabuse

Come si può dar modo alle persone di trasformare la propria città? È un problema con cui a Umbrellium Usman Haque si cimenta quotidianamente.  Dopo gli studi di architettura, l’interesse di Haque per la psicologia dello spazio pubblico lo ha portato alla creazione professionale di ambienti sensibili, di installazioni creative e di eventi partecipativi di massa progettati per favorire il senso di una creativa proprietà collettiva. Con lavori come Burble (in cui il pubblico costruisce collettivamente un’imponente struttura gonfiabile fatta di palloncini contenenti dei LED controllati da sensori, che emettono decorazioni luminose a increspare la struttura) e Assemblance (che di recente ha riempito il Barbican, il celebre polo londinese della cultura e dello spettacolo, con un ambiente immersivo di strutture luminose tridimensionali che invitano le persone a lavorare insieme per scolpirne e manipolarne la forma), Haque usa le tecnologie della creatività per analizzare il panorama delle scelte che favoriscono la cooperazione. “Non è inevitabile che la tecnologia ci isoli”, sostiene, e la considera invece come un invito ad analizzarne attivamente la capacità di collegarci reciprocamente. “Quello che vorrei veder crescere è il senso di appartenenza, dell’ ‘è qualcosa di nostro e ci possiamo fare grandi cose’”, conclude: “Vorrei veder diffondersi maggiormente questo senso di proprietà, e tutto quel che lo favorisce e lo rafforza”.

Usman Haque

Come il recente convegno Making the City Playable ha messo in luce, per favorire e rafforzare questo senso di proprietà e di coinvolgimento occorre il concorso di molti fattori. “La vera rinascita riguarda le persone, non gli edifici; le iniziative, non i grandi affari finanziari”, afferma il sindaco di Bristol – nonché ex architetto – George Ferguson. Sostenitore della buona urbanistica, Ferguson ha avuto un ruolo fondamentale in alcuni dei maggiori progetti di trasformazione urbanistica di Bristol ed è uno strenuo sostenitore del movimento della Playable City. Il suo appoggio non solo ha aperto la strada a parecchi recenti interventi ludici della città – da Park and Slide a un gioco di caccia agli zombie per tutta la città, con le strade temporaneamente chiuse per permettere ai bambini di partecipare, al progetto Hello Lamppost and Shadowing (di cui si parla all’inizio di questo articolo) del Premio Playable City – ma ha anche messo in luce i vantaggi che si possono ottenere dalla (spesso inevitabile) collaborazione delle amministrazioni locali.

Vale comunque la pena di notare che gli interventi ludici possono realizzarsi in ogni dimensione e a qualunque livello. Lo prova il fatto che, pur essendosi Bristol guadagnata la fama di città che ama gli esperimenti non ortodossi, non sempre l’ha fatto nella parte del buffone della classe. Come dimostrano entrambi i progetti del Premio Playable City la casualità e la sorpresa hanno lo stesso peso del gesto esplicito. “Prima c’è un’iniziale reazione di eccitazione, con gente che fa cose strane e invita gli amici a riprenderli”, spiega Matthew Rosier di Shadowing, l’illuminazione stradale che cattura le ombre che, con Jonathan Chomko, ha recentemente inaugurato in otto zone di Bristol. “Ma ci interessa di più vedere come funziona dopo qualche settimana, quando è diventata parte delle abitudini della gente e si può vedere che effetto ha sulla vita quotidiana delle persone”. È qualcosa di più di qualche buontempone che scherza per le strade.

La Playable City dovrà affrontare delle inevitabili crisi di crescita. Uno dei problemi principali – in quanto movimento e non particolarmente in rapporto con l’incidenza economica e i cambiamenti dei comportamenti collettivi – è provvedere a misurazioni quantitative. Le dimensioni relativamente modeste di Bristol e l’orientamento progressista dell’amministrazione cittadina offrono un terreno di coltura davvero senza paragoni, che non si può replicare facilmente. Inoltre il concetto di gioco non è una costante in ogni cultura. Ciò nonostante Watershed è decisa a costituire una rete globale di playable city che comprenda dieci o venti città di tutto il mondo disposte a partecipare al movimento. “Vorremmo davvero istituire un “Premio Playable City” internazionale molto più significativo, per premiare con dei finanziamenti un’altra città che dia vita a qualcosa a cui ispirarci, da condividere e da cui imparare”, afferma Reddington a nome di Watershed. Con Hello Lamppost in procinto di trasferirsi ad Austin, in Texas, a quanto pare il movimento della Playable City sta guadagnando terreno. Detto tra me, voi e il lampione, mi piacerebbe far parte della squadra.

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