Dalla Francia delle eccezione culturali, dal Paese che decentra un grande museo come il Louvre a Lens, una regione economicamente depressa – quasi fosse una cura omeopatica – arriva Les Revenants, una nuova serie televisiva che sorprende. Intanto, per l’indistinta posizione tra la vita, la morte e il mondo. Poi, per il funzionamento architettonico che le è sotteso.
La storia comincia su una diga e deborda dalle acque del lago che regola. Les Revenants è prodotto da Caroline Benjo e Jimmy Desmarais che, con la casa di produzione Haute e Court, avevano già realizzato il film Palma d’Oro a cannes Entre le Murs di Laurent Cantet sulla densa relazione umano-geometrica nell’universo di una classe.




L’universo virtuale e l’universo reale sembrano coincidere come mai era successo prima. Era forse immaginabile, filosoficamente, agli albori della polis greca, con quella teoria peripatetica che nominava il mondo. Con cursori, touch screen e visione a 360° possiamo percorrere le strade, le piazze e i tunnel ed entrare negli alloggi delle case popolari di una cittadina della provincia francese grazie alla serie TV
Les Revenants, grande successo di audience dell’autunno televisivo di Canal +.
Ma ciò che più colpisce in questa esperienza di deriva controllata è che, da questo sistema, emergono Les Revenants, morti che abitano il “sistema-mondo” e noi lo percorriamo in loro compagnia come in una mappa emotiva, figlia dell’utopia del moderno.

Il prime-time televisivo degli anni ’80 e ’90, con l’offerta topografica già dalla sigla, ci aveva facilitato l’accesso a questi nuovi scenari. Il ranch texano di Dallas, la rete viaria di New York in NY Police Blues così come i porti e le autostrade di Miami Vice diventavano non solo intrattenimento, ma riempivano anche le agende emotive, non meno delle vicende umane dell’ospedale di ER o delle spiagge di Bay Watch, fino all’isola deserta di Lost o alla prigione di Prison Break.
Ora, però, la serie TV si rilocalizza, come il grande cinema quando migra nel formato compresso di Youtube. E presenta lo stesso grado di precisione e intrattenimento della griglia di utilizzo di uno smart phone. Non solo turismo televisivo, dunque, o cinematografico, ma più propriamente istruzioni per l’uso. Serie come Six feet under, Nip-tuck o Sex and the city ci hanno abituato a un sistema di competenze che assomigliano alla localizzazione geografica dell’esperienza emotiva, intrecciando un sistema di script e relazioni attraverso cui rileggere la quotidianità. Se un sistema satellitare è utilissimo, ma serve pur sempre a vendere telefoni, così l’universo iperrealistico delle serie TV di successo segna l’atto finale del ciclo nascita-vita-morte della TV commerciale. Paradossalmente, però, fu nella cittadina di provincia Twins Peaks (51.201 anime) che, collassando nel perverso e surreale minimalismo di un maestro come David Lynch, si ridisegnarono le linee del no-more-reality per il grande pubblico.
Confermata la disintegrazione del mezzo televisivo nel reality show negli anni ’90, la vita di questo villaggio alla frontiera tra Stati Uniti e Canada impose la vittoria degli spettri simil-esoterici e un modello di accesso e supremazia dello schermo. Oggi basta un doppio click e una visione full-screen.


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