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OMA Public Works: elogio del burocrate

Alla Biennale di Venezia, lo studio OMA svela un ritratto segreto di Koolhaas e soci in veste di architetti degli architetti e mette in secondo piano il marchio OMA/Koolhaas, privilegiando l'anonimato burocratico.

Alla vigilia dell'inaugurazione della Biennale 2012 Wolf D. Prix, avanguardista in servizio permanente di Coop Himmel(b)lau, ha diffuso un comunicato stampa. Rimproverando i curatori per la banalità dimostrata di fronte alla crisi, la dichiarazione di Prix evoca colorite immagini di architetti imprigionati in gondole che affondano, metafora dell'"impotenza" e dell'"irrilevanza" della disciplina. E la sua uscita pungente ha un bersaglio. "Sono i politici e i responsabili di progetto, gli investitori e i burocrati che da lungo tempo prendono le decisioni sul nostro ambiente costruito", afferma, "non gli architetti". Intanto, nel cuore della Biennale, Public Works: Architecture by Civil Servants ("Opere pubbliche: l'architettura dei funzionari"), contributo di OMA al tema del Common Ground, fa da contraltare alle lamentazioni dell'austriaco.

Public Works è un elogio del burocrate. La mostra presenta quindici edifici pubblici, dai tardi anni Cinquanta ai primi anni Settanta, progettati da architetti dipendenti dagli uffici delle opere pubbliche di varie città d'Europa. Le scelte politiche di queste amministrazioni municipali coprono una gamma che va dal "progressismo di sinistra" al socialismo e al comunismo. Perfino il titolo di ciascun progetto è un piccolo spettacolo teatrale: la County Hall Island Block Extension (1970) del Greater London Council Department of Architecture and Civic Design; il Centre Administratif di Patin (1973) degli Architectes-Conseils del ministero francese della Ricostruzione e dell'Urbanistica; l'Akademie der Künste (1959) dello Stadtbaurat, la ripartizione municipale dell'Architettura di Berlino.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini. Foto di apertura: Gaia Cambiaggi
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini. Foto di apertura: Gaia Cambiaggi
Dato l'arco cronologico si può ben capire che un filo conduttore brutalista corra attraverso i grandi disegni e le foto in bianco e nero che illustrano ciascun progetto. Queste immagini di massicci edifici di calcestruzzo (già oscurati dalle avversità atmosferiche) sono collocate sullo sfondo di un murale digitale che riproduce a grandezza naturale l'attuale interno di una di queste strutture, vistosamente segnato dai graffiti. Risultato: un sublime brindisi all'architettura bruttina e pedestre dell'epoca. Il curatore, Reinier de Graaf, accostando le immagini storiche alla turpe bellezza del trompe-l'oeil, sottovaluta l'idealismo utopico cui i progetti si ispiravano. Ovvero, secondo la sua definizione della corrente sul sito web di OMA, "una breve, fragile epoca di ingenuo ottimismo prima che la brutale legge dell'economia di mercato divenisse il denominatore comune".
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Lo spazio assegnato a OMA si trova sul retro del padiglione centrale dei Giardini e obbliga i visitatori a superare le mostre di quasi tutti i nomi noti della produzione architettonica contemporanea prima di raggiungere la galleria. La collocazione rivela un accostamento di portata più ampia. Il contrasto critico è tra l'impronta collettiva di Public Works e quella individuale di molte delle installazioni, le quali – per altruistici che siano i tentativi di corrispondere alla visione di Common Ground proposta da David Chipperfield – sono ancora fondate su un modello autoriale più tradizionale. E in particolare sulla corrispondenza univoca tra architetto e opera esposta. Il testo dell'opuscolo che accompagna la mostra coglie il punto: "Nell'epoca delle 'archistar' l'idea di subordinare la conduzione di uno studio privato a un'ideologia condivisa appare remota e insostenibile. E tuttavia, visto il numero degli architetti che hanno scelto questa strada, quarant'anni fa mettersi al servizio di una causa pubblica rappresentava una potente fonte di ispirazione… Lo si potrebbe addirittura definire un 'terreno comune', un Common Ground".
C'è nella mostra un esplicito sapore 'archivistico': vetrine colme di registri, diagrammi e documenti cartacei, dove ogni pezzo è meticolosamente commentato con un'etichetta scritta a mano.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Per di più, forse in ulteriore ossequio alla consapevolezza sociale del tema della Biennale, Rem Koolhaas ha delegato le sue funzioni di curatore al suo vice, de Graaf, associato di OMA e direttore di AMO, il settore dello studio che si dedica alla ricerca. E c'è nella mostra un esplicito sapore 'archivistico': vetrine colme di registri, diagrammi e documenti cartacei, dove ogni pezzo è meticolosamente commentato con un'etichetta scritta a mano. In ciò OMA e de Graaf sono andati ben più in là del ruolo dell'architetto e del curatore, verso un ruolo archivistico o, più prosaicamente, impiegatizio. La parabola che porta dall'archistar all'impiegato si delinea negli ultimissimi anni di attività. Nel 2006 la 24-Hour Interview Marathon ospitata da Koolhaas e da Hans Ulbrich Obrist alla Serpentine Gallery collocava l'architetto nella posizione dell'investigatore culturale: un giornalista non soggetto a controlli. Poi nel 2010 la mostra Cronocaos, che debuttò alla Biennale di Venezia per arrivare al New Museum di New York, affrontò la conservazione con un taglio polemico e, per altro, ridiede lustro al profilo interventista di Koolhaas. E l'anno scorso Progress, ideata e progettata dal collettivo belga Rotor e presentata al Barbican Centre, fu un esempio di testimonianze sul modello del reality-show. Ribaltando i contenuti – le foto conservate nei dischi rigidi rese visibili, la massa della produzione in mostra – lo studio OMA svela un ritratto segreto di Koolhaas e soci in veste di architetti degli architetti: capi progetto, disegnatori, modellisti. Infine Public Works mette in secondo piano il marchio OMA/Koolhaas, privilegiando l'anonimato burocratico.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
L'intenzionale sottovalutazione delle 'archistar' da parte di OMA è strategica in un clima architettonico ed economico in cui gli edifici firmati (insomma, la sede della CCTV) sono la prova a carico del reato di eccesso. L'avvento di commissioni di ricerca urbanistica o la realizzazione di interventi minori illustrata in molti dei padiglioni di Common Ground è rinvigorente, è un Alka Seltzer architettonico per una sbronza ancora non del tutto smaltita. (Forse per Prix il fine settimana è ancora una perdita di tempo.) Public Works, rivisitando il passato, parla del futuro. "Una professione alternativa, in cui l'architettura è al servizio della società", recita il testo sulla parete. La ridefinizione da parte di OMA della prassi dell'architettura non è né una battuta cinica né un semplice cambio generazionale all'interno dello studio. Se la critica di Prix, con tutta la sua citazione delle Pussy Riot, viene letta come un sentimentale ritorno alla rivoluzione, va allora ricordato che Koolhaas (di cui si dice che sarà il direttore della Biennale 2014) ha le sue radici critiche nella stirpe delle sobrie opere pubbliche selezionata dalla mostra. L'archivio di OMA è stato costruito sull'edilizia sociale e sui suoi programmi, come la ristrutturazione di Bijlmermeer del 1986, che ripensava un complesso di Amsterdam del 1970 ispirato ai principi del CIAM e si schierava a favore del pluralismo della vita urbana. Il contributo dello studio a Common Ground anticipa nella forma più utopica il ritorno contemporaneo a una posizione collettiva, ma anche una magistrale adesione al quotidiano.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
<i>Public Works: Architecture by Civil Servants</i>, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.
Public Works: Architecture by Civil Servants, l'installazione di OMA nel padiglione centrale dei Giardini.

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