Nei libri di Josè Saramago accadono prodigi. In uno, La zattera di pietra, la penisola iberica si stacca dalla terraferma e comincia a navigare. Tra attacchi di uccelli migratori e tremori terrestri e, come sempre, grandi figure di donne, alla ricerca di approdi. Un viaggio magico e vorticoso tra l'Europa (addio) e nuovi mondi. Ecco, mi è sempre piaciuto Saramago e l'idea di un ponte mobile lanciato verso sponde lontane. Esigenza tutta umana di andare oltre i confini. Forzare i limiti. La sortita verso la scoperta. Il richiamo del lontano. E poi non è un prodigio rifiutare lo scontato del mondo e soltanto immaginare un collegamento tra terre fedi e culture così distanti?
Per questo preferisco le idee di "percorsi" naviganti. Non il solito improponibile ponte. Fisso e impossibile. Tappe, insomma. Come è ogni cammino. Dove ciascun segmento può divenire un microcosmo di nuova vita. Fino a trovare valore più nel percorso che nella meta. Stiamo parlando di esperienza. È poi così importante la sicurezza della meta?
Collegare due sponde estreme attraverso un arcipelago di frammenti può essere il modo più concreto per superare l'impossibilità di distanze troppo grandi per l'uomo.
Attraversare confini è una possibilità.
Cartolina #113. [immagine in alto] Il titolo è riuscita sintesi delle intenzioni progettuali: tra le due sponde un nuovo territorio. Flutuante e artículado, come scrivono i progettisti. Fatto di siti e relazioni paralleli e integrati al percorso (pur troppo definito). Un'idea di pluralità futura.
Mi è sempre piaciuto Saramago e l'idea di un ponte mobile lanciato verso sponde lontane. Esigenza tutta umana di andare oltre i confini. Forzare i limiti.