Fascismo abbandonato

All'Accademia Britannica di Roma, fra il 14 e il 29 maggio, una mostra propone un viaggio tra gli edifici delle ex-colonie fasciste degli anni '30 fotografati dall'inglese Dan Dubowitz.

Dalla ricognizione realizzata da Dubowitz sul campo, emerge un paesaggio desolante, gli edifici delle ex-colonie fasciste costruite negli anni '20 e '30 sui litorali toscano e adriatico sono attualmente in uno stato di grave degrado, in qualche caso di riuso (spesso con serie alterazioni). Cosa si può fare di un edificio fascista abbandonato? Se lo chiederanno in una tavola rotonda il giorno di apertura della mostra (venerdì 14 maggio dalle 15.00 alle 17.30), Dan Dubowitz, Arne Winkelmann (già collaboratore del Deutsches Architekturmuseum), Joseph Grima (direttore editoriale di Domus) e l'architetto inglese Patrick Duerden (Twentieth Century Society).

Nel presentare questa mostra, cogliamo l'occasione per ripubblicare il testo che Fulvio Irace scrisse su Domus 659/1985 a proposito dell'architettura delle colonie, un'esaustiva introduzione agli ideali estetici e politici incarnati dai progetti:


L'utopie nouvelle: l'architettura delle colonie
Costruite negli anni del trionfo dei miti dell'Igiene e dell'Ordine, le colonie estive dell'Opera Nazionale Balilla costituirono per gli architetti degli anni trenta un impegnativo tema di lavoro. Formidabili macchine propagandistiche dell'impegno del regime per i ceti popolari, esse costituirono nondimeno un laboratorio di sperimentazione per quei giovani architetti desiderosi di misurare nella realtà del progetto l'efficacia dei loro ideali etici ed estetici: offrendosi, infatti, come occasione irripetitiva di total environment, il disegno delle colonie sembrò incarnare le istanze pedagogiche e riformatrici dell'archietttura moderna.

Tra i numerosi, inediti temi progettuali proposti dalla cultura professionale degli anni 'trenta' dalla politica sociale di un regime impegnato nella costruzione del 'consenso', uno spazio particolare occupano le cosiddette colonie climatiche di soggiorno, a dispetto anche della loro relativa marginalità storiografica rispetto ai più frequentati esempi delle varie case del fascio, dei palazzi littori, degli edifici postali, ecc.
Prodotto, in realtà, di quell'igienismo sociale di matrice medico-positivista fiorito in Italia durante la metà del secolo precedente ad opera prima del provvidenzialismo statale e del filantropismo privato, la colonia dell'epoca 'umbertina' fu innanzitutto ospizio e luogo di cura di quelle malattie causate dal pauperismo e dalle miserie dell'urbanizzazione. Il regime mostrò di intenderne appieno il potenziale propagandistico e il valore di aggregazione attorno alle direttive del governo nella lotta per il "perfezionamento dello sviluppo fisico, intellettuale e morale degli alunni".
"Darete case, scuole, giardini, campi sportivi al popolo fascista che lavora" – era stato il monito di Mussolini in occasione della cerimonia di insediamento del governatore di Roma nel 1925. Albergo, scuola e clinica allo stesso tempo, la colonia permetteva il raggiungimento di un duplice obiettivo – terapeutico e sociale – in quanto rendeva possibile sperimentare una sorta di effimero ma rituale laboratorio di convivenza e un tentativo di apertura delle più giovani leve verso sollecitazioni ambientali tanto lontane, spesso, dai più tradizionali e consueti moduli dell'organizzazione familiare. "Per qualche tempo – scriveva Mario Labò – una piccola popolazione di adolescenti o di bimbi… deve sottomettersi alle esigenze della coabitazione… Il programma è la villeggiatura intensiva; che dia nella brevità del soggiorno il massimo risultato. Anche il riposo regolamentato diventa un lavoro. Tutto questo conferisce alla vita della riunione transitoria una unità, per la quale il nome di 'colonia' è stato scelto come proprietà".
Coordinate e dirette dall'Opera Nazionale Balilla e dall'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, le colonie furono regolamentate e finanziate dall'Ente Opere Assistenziali attraverso le diramazioni periferiche delle federazioni provinciali di partito: agli organi decentrati risultò pertanto affidata la selezione e lo smistamento dei giovani – perlopiù famiglie povere o piccolo borghesi, con particolare riguardo ai figli degli ex-combattenti e degli italiani all'estero. Le colonie, infatti, si differenziavano non solo in base alla tipologia del luogo di villeggiatura (marine, montane, fluviali, lacuali), ma anche in relazione alla qualità della stanzialità: aperte tutto l'anno, ad esempio, le 'permanenti' avevano un dichiarato carattere 'curativo' di malattie croniche, come la tubercolosi, che le rendeva più simili a un ospedale con lunghe degenze che a un transitorio luogo di ricreazione. Funzionanti solo per pochi mesi l'anno, invece, le 'temporanee' si distinguevano per la loro generica azione di profilassi e svago; analogamente operose solo durante i periodi di vacanze scolastiche, le 'diurne' ('elioterapiche') non prevedevano, però, il soggiorno: distribuite nei dintorni delle città, permettevano il ritorno serale dei giovani ospiti ai propri nuclei di appartenenza, realizzando, al contempo, considerevoli economie di gestione. Furono proprio queste due tipologie a svilupparsi maggiormente, e al loro modello si conformarono tutte quelle consimili iniziative proposte ai figli degli operai dal corporativismo assistenzialistico del capitale industriale (Montecatini, Agip, Piaggio, Dal mine, Fiat, ecc.). Capitale privato e intervento pubblico promossero pertanto una incredibile polverizzazione d'insediamenti grandi e piccoli, molti dei quali appaiono tuttora notevoli per perizia compositiva, efficienza d'impianti e qualità architettonica. L'imperativo mussoliniano di fascistizzazione delle masse, la mistica della forma fisica e la mitologia declamatoria della sanità della stirpe contribuirono inoltre a 'sacralizzare' la colonia.
E fu forse proprio questa 'centralità' politica e morale di rivoluzionaria adesione a quello che appariva un nuovo e più giusto 'ordine dei valori' che assicurò la convergenza delle forze più progressive dell'architettura italiana attorno al tema progettuale della colonia: assimilata dal pungolo della propria missione educativa, infatti, l'architettura razionalista non poteva non scorgere nel progetto di queste 'città dell'effimero' un felice terreno di prova per le sue piccole e grandi utopie. "L'importanza assunta da tutti gli organismi che riguardano la vita collettiva – scriverà ancora nel 1938 Piero Bottoni – è destinata ad aumentare giorno per giorno. La organizzazione di essa sarà certamente la fondamentale caratteristica e il maggior vanto dell'urbanistica di questo secolo".
"Architettura e urbanistica divengono il prolungamento dell'etica, della sociologia, della politica", aveva già annunciato (1993) Le Corbusier; e nelle "gioie essenziali" del "sole" del "verde", dello "spazio" che la colonia dispiegava – quasi "ville radieuse" in miniatura – come parti organiche del suo progetto i giovani razionalisti potevano tentare di scrivere segni e premonizioni di quel sogno urbanistico dalla realtà dei fatti sistematicamente smentito.
Nel 1937, la grande mostra delle Colonie Estive organizzata a Roma sotto la lirica regia di A. Liera e M. De Renzi sembrò trionfalmente suggelare la lunga marcia d'avvicinamento dell'architettura razionale ai suoi obiettivi sociali, tanto da strapare a Pagano un entusiastico e partecipato commento: "Il bianco delle costruzioni assume un valore simbolico e la semplicità strutturale diventa un motivo morale… il ricordo delle polemiche parlamentari per Sabaudia e per la stazione di Firenze è ormai molto lontano". L'architettura, dunque, come medium educativo, il soggiorno come avventura di formazione, il progetto come predisposizione armonica di un accordo con la società… È ancora una volta Labò a cogliere con acutezza questa pregnanza propagandistico-pedagogica dell'istituto-colonia: "tutto in esse dalle linee astratte e dai volumi agli svolgimenti delle piante, che tracciano gli itinerari dell'attività comune, dall'ampiezza e tipo di serramenti al disegno delle ringhiere, dagli intonaci ai pavimenti, colori e materie, tutto concorre, refettorio e locali di pulizia, dormitori e palestra, a comporre la forma plastica, l'immagine visiva, in cui si immedesimerà per sempre, nella memoria di questi ragazzi, il ricordo del soggiorno in colonia. I più, usciti da tuguri o da modeste case popolari… sentiranno qui per la prima volta, in una vita calma e per loro agiata, gli stimoli a lasciarsi sia pur passivamente penetrare dalla suggestione di un gusto, i primi stimoli all'apprezzamento di una forma architettonica, non veduta solo dal di fuori, ma adoperata per viverci dentro. È questo il punto sostanziale".
L'architettura moderna seppe cogliere in pieno la potenzialità espressiva del nuovo tema, sfruttandone con generosa dedizione l'insolita libertà concessa dalla mancanza di riferimenti tradizionali e della relativa semplicità del dettato funzionale e la straordinaria occasione di sperimentare quella ricerca sull'oggetto isolato nel paesaggio che costituì momento rilevante dell'intero razionalismo europeo. "Aria, luce, campi, pulizia si presentano come altrettanti capisaldi da informare la loro arte", scriveva Bardi nel suo "rapporto al Duce": e in effetti, l'inquietante e metafisica ispirazione "mediterranea" dell'ala purista seppe segnare con simbolica impressività l'architettura delle colonie, ricavandone la più estesa varietà d'accenti; dalla allusiva "architectute parlante" delle "navi" di Busiri Vici – dove al simbolismo diretto del ritorno in patria degli emigranti si sovrappone quello esoterico del "paquebot" lecorbusieriano e il ricordo di quella mitica nave in rotta verso Atene- all'intransigente ideologia dell'edificio "fabbrica" di Sotsas e Guaitoli, univocamente espressivo di un valore universale e intercambiabile della proposta razionalista, alla "elegante" soluzione del "monoblocco" (Vaccaro, Griffini, ecc.) dal repertorio finemente modulato di brise-soleil, pensiline, portici… "Architetture di pareti bianche, rettangole o quadrate, orizzontali e verticali: architettura di vuoti e di pieni, di colore e di forme, di geometrie e di proporzioni… geometria che parla", come aveva Peressutti definito le caratteristiche dello spirito mediterraneo.
Né sembra un caso, quindi, che con minore slancio inventivo la cultura architettonica seppe rispondere al tema della colonia montana, che, tranne poche eccezioni (le "torri" di Bonadè Bottino, la "Piaggio" di Daneri) si produsse in genere in meno convincenti performance edificatorie.

Fulvio Irace, Domus n. 659, 3/1985


Colonia fluviale "Roberto Farinacci"
Colonia fluviale "Roberto Farinacci"
Colonia elioterapica fluviale "Maria Pia di Savoia"
Colonia elioterapica fluviale "Maria Pia di Savoia"
Colonia marina della federazione fascista di Novara
Colonia marina della federazione fascista di Novara
Milano Marittima/Cervia-Ravenna, Colonia marittima "Costanzo Ciano", Mario Loreti (1937-39)
Milano Marittima/Cervia-Ravenna, Colonia marittima "Costanzo Ciano", Mario Loreti (1937-39)
Milano Marittima/Cervia-Ravenna, Colonia marina della Montecatini, Ufficio tecnico Montecatini (1938)
Milano Marittima/Cervia-Ravenna, Colonia marina della Montecatini, Ufficio tecnico Montecatini (1938)
Rovegno, Colonia montana di Rovegno, Camillo Nardi Greco (1934)
Rovegno, Colonia montana di Rovegno, Camillo Nardi Greco (1934)
Cattolica/Forlì, Colonia marina "XXVIII ottobre", Clemente Busiri Vici (1932)
Cattolica/Forlì, Colonia marina "XXVIII ottobre", Clemente Busiri Vici (1932)

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram