Modern Ruins

L'idea di retrofitting urbano nasce da un prestito: mutua il termine usato per indicare i dispositivi che si applicano a sistemi o organismi obsoleti per potenziarli e adeguarli alle tecnologie del presente. Cyprien Gaillard parla della sua idea di 'rovinismo' contemporaneo.

Francesca Picchi
In un arco molto ristretto di tempo, direi negli ultimi cinque anni, sono stati demoliti molti di quegli organismi residenziali in cemento armato costruiti negli anni Sessanta e Settanta come soluzione universale al problema dell'abitare: opere che oggi rappresentano un fallimento. Ti sei occupato di documentare queste demolizioni a partire dall'opera di architetti brutalisti inglesi: puoi parlarci di com'è nata questa tua fascinazione per il tema della demolizione?

Cyprien Gaillard
Penso risalga a molto tempo fa, molto prima di incominciare a pensare di fare arte. Sono cresciuto in California, a San Francisco, e da ragazzino passavo le mie giornate in skateboard. Ho molto chiara nella memoria l'immagine di tutti quei posti che frequentavano gli skater. Molti sono stati demoliti, come è successo per esempio al Justin Herman Plaza più conosciuto come Embarcadero. Era la Mecca dello skatebording, e per quanto mi riguarda, il più iconico skatespot della storia. Quando hanno deciso di demolirlo – di 'rigenerarlo' come è stato detto – quello è stato il mio primo contatto con questo tipo di architettura "in negativo".
In un certo senso era la prima volta che mi trovavo di fronte a qualcosa che sarebbe diventata una questione centrale del mio lavoro. Fin da allora mi era molto chiaro che si trattava di una forma di vandalismo di stato per sradicare un processo di appropriazione spontanea da parte della città. All'inizio però, ancor prima di incominciare a pensare di farne l'oggetto di un lavoro d'arte, ero attratto piuttosto dall'idea di rovina moderna.
C'è un lato del mio lavoro che si occupa di stabilire collegamenti tra piani diversi e di mettere tutto sullo stesso livello. Non vedo, infatti, alcuna differenza tra una torre in cemento armato di Glasgow, o un castello scozzese. Sono entrambe rovine. Se da una parte, però, ci troviamo di fronte a quella che può essere considerata una rovina non ufficiale, qualcosa di cui si pensa sia meglio fare piazza pulita, dall'altra, invece, abbiamo a che fare con un'opera protetta per legge, inserita in un elenco di opere da tramandare ai posteri. In questo senso mi interessa mettere in discussione il criterio per cui un certo tipo di opera diventa archeologia e si decide di preservarla, e capire quando si forma la consapevolezza delle nostre rovine. Ci sono casi come quello di Owen Luder, l'architetto brutalista. Nel giro di pochi anni verrà cancellata ogni traccia del suo lavoro – le sue torri in cemento sono in corso di demolizione –, un destino che lo accomuna ad altri intellettuali del movimento moderno.
Non si tratta però tanto di un'attenzione per il Modernismo o per il contesto sociale. Ne faccio piuttosto una questione di paesaggio, e di tensione all'interno di quel paesaggio.

FP
Il programma delle demolizioni sembra essere solo all'inizio. Si direbbe un piano di demolizione programmata che tocca Europa dell'Est e dell'Ovest.

CG
Credo che per me sia stata una forma di ossessione. Quando avevo 21, 22 anni ho incominciato a girare per le città dell'Europa dell'Est e dell'Ovest: Varsavia, Kiev, Belgrado, Glasgow, Sheffield, Newcastle… o altri posti di cui non ho idea di come sia il centro, mentre ho una buona conoscenza della periferia.
La prima volta che sono stato a Roma, appena arrivato, sono andato subito al Corviale. Andavo in tutti quei luoghi dove esistevano edifici o interi quartieri abbandonati, svuotati di ogni realtà sociale o contesto economico: queste strutture possiedono una vita propria, sono luoghi molto più complessi e interessanti di quello che si può immaginare. A Glasgow, come a Detroit, a Cleveland, a Pittsburgh, puoi trovare interi quartieri vuoti: luoghi completamente derelitti. Se pensi che la popolazione di Detroit si è ridotta di circa la metà, e che oltre 200.000 case sono state demolite e altrettante lo saranno presto...
Nella mia vita ho assistito a più di 30 demolizioni. Demolire significa inoltre un enorme spreco, anche soltanto in termini di denaro. Esiste una potente ritualità nelle demolizioni e non si può sottovalutare il lato spettacolare… Quando lo Stato arriva e demolisce cosa ha costruito solo trent'anni prima, si sollevano delle proteste – a Glasgow ci sono state – quando arriva il momento in cui l'edificio viene demolito però, lo spettacolo è così intenso, e violento, che rimane prepotentemente impresso nella memoria di chiunque al punto da legittimare l'intero processo. C'è un momento di euforia di fronte allo spettacolo della demolizione. Si alza una nuvola di fumo e quando svanisce appare una visione del tutto nuova che fa dimenticare il motivo per cui avviene il crollo.
A Glasgow mi è capitato di filmare una demolizione notturna, fissata per mezzanotte in punto. Erano obbligati a demolire questo edificio di notte a causa della sua vicinanza ai binari della ferrovia Glasgow-Edimburgo: non potevano interrompere il traffico durante il giorno. L'intera struttura era illuminata a giorno. Per oltre venti minuti è rimasta sotto i riflettori accesi, nel silenzio più assoluto. Sembrava un monumento. Per quel breve lasso di tempo, la torre di Sighthill guardava il Castello di Edinburgo, entrambi illuminati. Poi, all'improvviso, in un istante, è caduta demolita.
In generale, il momento che preferisco sono proprio gli ultimi venti minuti di vita, l'ufficialità che circonda l'edificio prima di essere distrutto. In genere c'è più polizia che di fronte a una qualsiasi ambasciata americana del mondo... Tutto questo ha a che fare con due temi centrali del mio lavoro, il primo è che io lavoro per lo più all'aria aperta, "en plein air". Ho speso così tanto tempo in questi luoghi, che l'edificio stesso lo sento come materia del mio lavoro. In secondo luogo c'è il fatto che, malgrado si pensa che subisco una profonda fascinazione per le rovine del moderno, in realtà a me interessano i fallimenti. L'umanità si è costruita fallimento su fallimento. A me interessa che gente come gli urbanisti o gli architetti continui a produrre fallimenti. Mi piace particolarmente l'idea di fallimento a scala monumentale, un fallimento a scala del paesaggio: l'errore di un sindaco compiuto negli anni Sessanta accanto all'errore di un sindaco fatto negli anni Novanta… Questa è la ragione per cui ciò che vediamo così orribile e monumentale, in realtà è profondamente umano.

FP
Il tuo lavoro potrebbe essere scambiato per una sorta di opera di documentazione di luoghi di cui presto non resterà più traccia. Visto che ora vivi a Berlino, faccio l'esempio del muro: Rem Koolhaas dice che "la prima cosa a scomparire dopo la caduta del muro è stata ogni sua traccia". E questo malgrado sia la demolizione che ha segnato l'inizio di una nuova epoca della nostra storia recente.

CG
Il mio lavoro non vuole dare soluzioni, si limita a sollevare la domanda: "Chi decide del futuro del paesaggio urbano?" È una questione che mi preoccupa anche perché oggi l'architettura è orribile. È un'unica Potsdamer Platz che si diffonde uguale ovunque ti trovi. Penso anche che sia una forma di arroganza verso la storia pensare che gli edifici che stiamo costruendo saranno migliori, o comunque invecchieranno meglio, di quegli stessi edifici che stiamo demolendo. Penso che bisognerebbe considerare la situazione dal punto di vista dell'entropia. Conosci la storia di Pruitt Igoe? Sono terribilmente affascinato da quello che è successo a quegli edifici. Si trattava di un piano ambizioso di edilizia pubblica: 33 edifici di 11 piani ciascuno. Oggi al suo posto c'è un'immensa foresta nel mezzo di St. Louis. Charles Jencks ha stabilito che il giorno in cui hanno demolito Pruitt Igoe, all'inizio del 1972, segna la fine dell'era moderna per l'architettura americana.

FP
Ci parli del tuo progetto di trasferire alcuni degli edifici demoliti in un parco quasi mutuando il modello dei "parcs aux ruines" del romanticismo?

CG
È un progetto solo allo stadio iniziale ma probabilmente occuperà il mio lavoro per i prossimi anni. Dato che è molto difficile ottenere i finanziamenti per trasferire gli edifici interi, ho incominciato a trasferirli sgretolati, allo stato di macerie. In questo modo sono riuscito a trasferire un edificio di Glasgow a Londra. Era un'opera che avevo in mente da molto tempo. Con le 30 tonnellate di cemento che sono riuscito a trasportare a Londra ho realizzato un obelisco intitolato Cenotaph to 12 Riverford Road, Pollokshaws, Glasgow dal nome dell'edificio di Glasgow demolito l'estate scorsa. Quando un edificio viene demolito, per la coscienza ecologica che si è ormai diffusa tra la gente, chi si occupa della demolizione ha il problema di come riciclare tutto il materiale prodotto. Così incominciano con lo smontare gli ascensori, i serramenti, le porte... quando poi quest'opera è completata, si procede alla demolizione vera e propria: l'edificio crolla. Si producono piani e piani di macerie. Arrivano le ruspe, cominciano a frantumare i detriti fino a ridurli in piccolissimi frammenti che sono rivenduti alle imprese di costruzioni. I nuovi edifici, le fondazioni, i parcheggi, le scuole, le strade... sono tutti costruiti con le macerie di quegli edifici modernisti.
In un certo senso si riproduce quello che avveniva nell'antichità, dalle piramidi d'Egitto ai templi dell'antica Roma che, una volta divenuti archeologia, erano usati come cave per estrarre i materiali di costruzione: dalle pietre di Giza rubate per le costruzioni del Cairo, ai templi romani smantellati per costruire le chiese. Ci sono moltissimi esempi, dai castelli bretoni smontati pezzo per pezzo per essere ricostruiti altrove. Pensa soltanto ai templi nubiani salvati dall'Unesco: intere strutture spostate per essere preservate. La mia idea è molto simile: costruire un parco dove trasportare gli edifici a rischio di estinzione. Si potrà trovare un edificio della periferia di Parigi, accanto a uno di Glasgow, Manchester o Sheffield. Tutti riuniti in un unico parco come nei giardini inglesi del Settecento: un capriccio, una raccolta di monumenti. Qualcuno pensa che sia una pazzia ma credo che sia il lavoro della mia vita.
<i>The Lake Arches</i>, 2007. 
Il film, assimilabile a un “ritratto con rovine”, racconta di una collisione: sullo sfondo l’architettura postmoderna di Ricardo Bofill di Saint-Quentin-en-Yvelines presenzia all’azione come un prigione medioevale protetta da un fossato ricolmo d’acqua. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
The Lake Arches, 2007. Il film, assimilabile a un “ritratto con rovine”, racconta di una collisione: sullo sfondo l’architettura postmoderna di Ricardo Bofill di Saint-Quentin-en-Yvelines presenzia all’azione come un prigione medioevale protetta da un fossato ricolmo d’acqua. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
<i>Desniansky Raion</i>, 2007.
Il video, composto di tre parti, alterna immagini sospese tra ordine e caos. Introdotto dall’immagine di una torre costruita negli anni Settanta all’ingresso di Belgrado quale monumentale arco di trionfo, il video si costruisce nella relazione tra intervento dell’uomo nel paesaggio, vandalismo, Romanticismo, Pittoresco e Land Art. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
Desniansky Raion, 2007. Il video, composto di tre parti, alterna immagini sospese tra ordine e caos. Introdotto dall’immagine di una torre costruita negli anni Settanta all’ingresso di Belgrado quale monumentale arco di trionfo, il video si costruisce nella relazione tra intervento dell’uomo nel paesaggio, vandalismo, Romanticismo, Pittoresco e Land Art. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
<i>Belief in the Age of Disbelief</i>, 2005. Nella serie Belief in the Age of Disbelief, Gaillard compie un‘operazione di decontestualizzazione a partire dalla rappresentazione del paesaggio. Edifici simbolo del fallimento delle utopie urbane e sociali sono integrati all‘interno di scene naturalistiche. Gaillard cita Rembrandt (Paysage aux trois arbres), Anthonie Waterloo (Arbre Incliné) e ancora Jan Hackaert e Hubert Robert. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
Belief in the Age of Disbelief, 2005. Nella serie Belief in the Age of Disbelief, Gaillard compie un‘operazione di decontestualizzazione a partire dalla rappresentazione del paesaggio. Edifici simbolo del fallimento delle utopie urbane e sociali sono integrati all‘interno di scene naturalistiche. Gaillard cita Rembrandt (Paysage aux trois arbres), Anthonie Waterloo (Arbre Incliné) e ancora Jan Hackaert e Hubert Robert. Courtesy Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
<i>Dunepark</i>, 2009. 
Il lavoro riguarda lo scavo di un bunker nascosto nel dopoguerra sotto una collina di terra prospiciente la spiaggia di Scheveningen: un’area toccata da un drastico processo di trasformazione urbana innescato dalla demolizione degli edifici industriali. Commento alla progressiva ‘gentrificazione‘ dei centri urbani ma anche al processo di rimozione dell’architettura, seppellita e nascosta alla vista sotto un nuovo strato di edificazione urbana.
Mentre equipara il lavoro di scavo a una forma di scultura in negativo, Gaillard guarda al bunker seppellito come a una forma di readymade restituito dalle viscere della terra grazie all’utilizzo di macchinari di scavo e alla collaborazione dei volontari della Foundation Atlantikwall Museum Scheveningen. Courtesy of Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris
Dunepark, 2009. Il lavoro riguarda lo scavo di un bunker nascosto nel dopoguerra sotto una collina di terra prospiciente la spiaggia di Scheveningen: un’area toccata da un drastico processo di trasformazione urbana innescato dalla demolizione degli edifici industriali. Commento alla progressiva ‘gentrificazione‘ dei centri urbani ma anche al processo di rimozione dell’architettura, seppellita e nascosta alla vista sotto un nuovo strato di edificazione urbana. Mentre equipara il lavoro di scavo a una forma di scultura in negativo, Gaillard guarda al bunker seppellito come a una forma di readymade restituito dalle viscere della terra grazie all’utilizzo di macchinari di scavo e alla collaborazione dei volontari della Foundation Atlantikwall Museum Scheveningen. Courtesy of Cosmic Galerie (Bugada & Cargnel), Paris

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