Cino Zucchi. Portello/Milano

Le residenze e gli uffici progettati dall'architetto milanese sulle aree industriali dismesse nel nord-ovest di Milano, dove sta sorgendo un grande insediamento polifunzionale. Testo di Luca Molinari. Fotografia di Cino Zucchi. A cura di Rita Capezzuto.

Dialogo urbano
Luca Molinari

Alle porte della città, in un'area strategica in cui dagli anni Trenta a oggi Milano ha cercato di modellare l'immagine originale e contraddittoria di una propria modernità (dal progetto di Milano verde al QT8 e al Monte Stella di Bottoni, fino al recente concorso di CityLife e alla Fiera Rho-Pero di Massimiliano Fuksas) si sta lentamente costruendo un frammento architettonico e urbano, che potrebbe diventare importante per l'architettura italiana contemporanea e per gli sviluppi di un mercato immobiliare in forte crescita ma anche con molte zone d'ombra.

L'area dell'ex fabbrica Alfa Romeo al Portello, cuneo incastrato tra il QT8 e la Fiera, è stata ripensata verso la fine degli anni Novanta da Gino Valle che ha disegnato il masterplan generale su cui in seguito sono stati chiamati lo stesso Valle – che ha realizzato la prima opera, un centro commerciale – quindi Cino Zucchi e Guido Canali per la residenza e Charles Jencks con Andreas Kipar e Land per il parco urbano.

L'area – un grande trapezio tagliato a metà da una strada di scorrimento veloce – è stata organizzata da Valle in maniera molto elementare: quattro settori, di cui uno occupato dal parco, mentre i rimanenti, destinati alla residenza sia convenzionata che libera, sono collegati secondo diagonali pedonali che traguardano con un ponte l'asse attrezzato. Il primo nucleo residenziale realizzato, disegnato da Cino Zucchi, sorge alle spalle del centro commerciale, che con il suo portico centrale fuori scala lancia una delle traiettorie pedonali a definire il limite esterno dell'isolato verso il parco. La percezione immediata è quella di un insediamento denso, costruito attraverso il dialogo serrato tra edifici pensati come famiglie di individui autonomi legati da assonanze, rimandi, dettagli ripetuti, materiali che si rispecchiano.

Appare evidente l'intenzione iniziale del progettista di reggere e ricostruire una forma di dialogo urbano multiplo con i diversi frammenti di città su cui si affaccia in maniera schizofrenica: un fronte urbano tradizionale su via Traiano; un angolo quasi retto che guarda da una parte il retro del comparto commerciale e dall'altra il vuoto del nuovo parco; un quarto lato che invece si confronta con il rumoroso asse attrezzato di viale Serra. La scelta di Zucchi è quella di un racconto leggero e polifonico, il progetto non si impone ma costruisce nuove modalità di relazione con il contesto e all'interno del nuovo isolato, garantendo una condizione positivamente anomala per un progetto speculativo. Al centro del complesso domina per massa e densità l'ex mensa adibita a uffici: salvata la fetta della facciata originale su via Traiano, il resto del corpo che segue e che si incunea fino al centro dell'isolato è trattato con un rivestimento in Pietra del Cardoso a lunghi conci orizzontali e con serramenti in alluminio e vetro.

La mensa fa da baricentro su strada nella disposizione dei nuovi edifici, due torri e tre edifici bassi in linea di edilizia convenzionata, mentre sul versante opposto altre tre torri residenziali guardano verso il parco a definire il fronte meridionale dell'isolato. Tutte le facciate sono trattate con un doppio registro narrativo che viene ampliato in continue, abili variazioni sul tema: un fronte più duro e chiuso verso città, e un secondo che viene risolto con un sistema molto profondo e complesso di logge, che si aprono al parco e che trasformano un semplice trattamento delle facciate in un volume autonomo e poroso.

Gli scarti nel gioco delle aperture e degli infissi blu cobalto, l'impaginato attento delle facciate nei contrappunti tra il rivestimento in cotto decolorato e la pietra bianca di Trani, il trattamento sofisticato delle logge nei tagli che portano luce ai locali interni degli appartamenti indicano la volontà consapevole del progettista di affinare un linguaggio formale in cui la lezione milanese di Caccia Dominioni, Asnago e Vender, ma anche del Bottoni al QT8 e al quartiere Harar, si incontra con le più recenti esperienze residenziali olandesi e tedesche. Una strada seguita ossessivamente lungo tutto il percorso progettuale di Zucchi nel tentativo di ridare forma e dignità all'abitare borghese contemporaneo (basti osservare la qualità dell'edilizia sovvenzionata) e insieme risposte convincenti alla possibilità di lavorare sulla città attraverso interventi di media scala e al controllo dei suoi frammenti. Una lezione che abbiamo trovato nel progetto Junghans a Venezia e che in questa situazione si rafforza arricchendosi di un particolare fondamentale.

Tutto l'isolato mantiene una cura e un controllo dei dettagli e degli elementi al piano terra, dalle portinerie alle panchine, dai recinti delle diverse aree residenziali al rapporto verde-piano di calpestio, che sembra voler indicare una strada necessaria per l'architettura urbana residenziale che sia pubblica o privata: il risarcimento di quella drammatica cesura tra spazio interno della casa e abbandono della qualità dello spazio pubblico, che purtroppo ha segnato la crescita delle città italiane dagli anni Sessanta a oggi. Non si ha mai la sensazione di perdersi nell'intensa sequenza di spazi aperti cesellati tra un corpo di fabbrica e l'altro, ma costruiti sulla percezione continua del paesaggio urbano circostante e sul piacere della scoperta di nuovi scorci e prospettive inattese. Una lezione, un monito o semplicemente un modo di procedere normalmente, puntando solamente alla qualità dello spazio, alla sua forza, a dimostrare che si possono pensare architetture in cui buon disegno e rendita si possano incontrare a costruire città a misura d'uomo.

Luca Molinari, architetto e critico, è stato curatore della sezione architettura della Triennale di Milano (2000-2004). È professore associato di Storia dell'architettura contemporanea presso la Seconda Università di Napoli. Ha vinto il premio Ernesto Rogers alla critica della X Biennale di architettura di Venezia.

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