Le utopie abitative di Tomas Saraceno e Marjetica Potrc, con il laboratorio di luce di Olafur Eliasson, inaugurano la nuova sede di Portikus, un laboratorio eccentrico. Testo di Daniel Birnbaum A cura di Loredana Mascheroni.

Utopie galleggianti

Il sole sorge tra gli alberi, dietro un’ampia vetrata, e la luce splendente si riflette sull’acqua. In aria, si librano grandi palloni aerostatici, alcuni trasparenti, altri illuminati dall’interno. Centinaia di persone, la notte, si raccolgono sulla piccola isola verde. Che strano posto è mai questo? Immaginate un’isoletta al centro di un fiume che scorre nel cuore di una grande città europea. Il fiume è attraversato da un vecchio ponte – antico, per la precisione – il quale deve la propria stabilità proprio a un basamento che poggia sull’isola. Celate nella struttura, vi sono alcune sale occupate da una società di canottaggio. Ecco poi che a un architetto viene commissionato il rifacimento del ponte, secondo un progetto che valorizzi l’importanza storica del sito. La costruzione medievale, che in origine presentava due torri (la più antica riproduzione risale al 1405), sarà nuovamente dotata di due strutture verticali che si innalzeranno tra gli alberi della minuscola isola. Queste nuove torri non sono intese quali semplici elementi decorativi: una di esse diventerà infatti uno spazio per l’arte contemporanea. È il 2006. Che si tratti solo di un’eccentrica fantasticheria?

No, si tratta del nuovo Portikus. Quella che vedete qui, infatti, è una delle due torri del ponte, progettata da Christoph Mäckler, l’architetto di Francoforte responsabile del rifacimento dell’Alte Brücke, uno dei più vecchi e importanti ponti d’Europa. La struttura è oggi la sede dello spazio espositivo della Städelschule Art Academy di Francoforte, una delle scuole d’arte più sperimentali d’Europa fondata da Kasper König nel 1988. Strana sede per una kunsthalle? Decisamente sì, soprattutto quando si nota che nel basamento la Ruderverein (la più antica società di canottaggio cittadina) ha ricavato un ricovero per le proprie eleganti imbarcazioni in legno – c’è abbastanza spazio per qualcosa come sessanta barche. Portikus è sempre stato una specie di parassita: celato dapprima dietro la facciata neoclassica della vecchia biblioteca comunale di Francoforte, bombardata nel corso della Seconda guerra mondiale, si è trasferito nel 2003 in uno spazio progettato dall’artista Tobias Rehberger all’interno di un edificio storico del centro cittadino. I tempi, però, erano maturi per una terza fase: così, il 6 maggio, l’artista slovena Marjetica Potrc e l’artista argentino Tomas Saraceno hanno inaugurato la nuova sede con la mostra “Personal State/Infinite Actives”, centoquarantesimo evento nella storia dell’istituzione. Contemporaneamente, la prima opera nella serie Light Lab di Olafur Eliasson è stata installata sul tetto vetrato della galleria, visibile di notte da tutta la città. Nei prossimi due anni, altri lavori con la luce modificheranno il look notturno dell’edificio. Questa sezione dell’edificio è intesa come un laboratorio solare mentre tutte le opere che ospiterà presenteranno dei collegamenti al concetto di eliotropismo.

Sia il lavoro della Potrc sia quello di Saraceno sono molto vicini all’architettura, e indagano le possibilità di strategie di vita alternative da realizzarsi sia individualmente sia a livello collettivo. Potrc presenta disegni, dipinti murali e sculture architettoniche che fungono da studi tipologici per quegli edifici improvvisati ed endogeni che possiamo trovare in tutto il mondo. Il suo lavoro esplora lo spazio urbano visto come organismo vivente in continua mutazione, capace di adattarsi alle necessità e alle richieste di comunità transitorie. Per questo progetto l’artista slovena, che si concentra solitamente sulle condizioni di grandi città contemporanee, ha delineato un legame tra Francoforte e Pristina. La sua Prishtina-House unisce uno stile personale a stilemi modernisti, creando così una nuova tipologia architettonica; rappresenta un esempio di quello che l’artista definisce “orientalismo personale”. Saraceno, dal canto suo, è più interessato all’ipotesi di vivere nel cielo: indaga le possibilità di un’edilizia aerea quale possibile soluzione ai problemi della crescita della popolazione urbana e del rapido mutamento climatico (vedi Domus 883, luglio/agosto 2005). Il suo Flying Garden fa parte di un progetto a lungo termine chiamato Air-Port-City, il cui punto di partenza è lo sviluppo di piattaforme abitabili sospese in aria come nuvole, e unite a formare differenti configurazioni. Collegato a idee quali le cupole geodetiche di Buckminster Fuller e a Walking City – il visionario progetto urbano di Peter Cook – il lavoro di Saraceno si presenta inizialmente come qualcosa di decisamente utopico; tuttavia, esso è inteso molto realisticamente quale progetto di pianificazione collettiva e di cooperazione.

L’interno di Portikus è un grande spazio bianco. Torna in mente l’ormai classica descrizione della galleria a “cubo bianco” fatta da Brian O’Doherty: “Una galleria è costruita secondo leggi tanto rigorose quanto quelle usate per erigere le chiese medievali. Il mondo esterno non deve penetrarvi, quindi di solito le finestre sono ermeticamente chiuse. Le pareti sono dipinte di bianco. Il soffitto diventa l’unica fonte di luce”. E ancora: “Nella classica galleria modernista, così come nelle chiese, non si parla ad alta voce; non si ride, né si mangia, o si beve, o ci si stende; non è dato sentirsi male, infuriarsi, cantare o ballare, né fare all’amore”. In breve: il cubo bianco è una struttura di esclusione, che produce uno spazio interno “assoluto”. Portikus è un’istituzione che punta tutto sulla sperimentazione e sullo sviluppo, ed è molto probabile che questo luogo così inusuale e questo generoso spazio espositivo spingano gli artisti invitati a produrre progetti inattesi. L’intervento di Saraceno ha già chiarito che non esiste una precisa delimitazione tra interno ed esterno. Durante il primo anno sull’isola, Portikus metterà in cantiere progetti di Dan Perjovschi, Francis Alÿs, Paul Chan, John Baldessari, Paulina Olowska, e altri ancora. Arriveranno sull’isola in barca, attraverso gli alberi, in mongolfiera o, più tradizionalmente, in bicicletta attraverso il ponte? Lasceranno mai l’isola?