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Haus der Kunst. As long as it lasts

di Elena Sommariva

Una grande mostra di progetti per stimolare il dibattito e mettere all’ordine del giorno il futuro della Haus der Kunst. Sarà questo il punto di arrivo dell’ambizioso progetto del suo direttore, il belga Chris Dercon, in vista del settantesimo anniversario del monumentale e controverso edificio, voluto da Hitler per Monaco di Baviera futura capitale culturale del terzo Reich. A metà marzo si comincia: con l’inaugurazione degli spazi ridisegnati da Konstantin Grcic e, più avanti, le pareti flessibili pensate da Petra Blaisse. Si proseguirà con un concorso a inviti. Potrebbero esserci Adjaye, Allman Sattler & Wapner, Braunfels, Chipperfield, Domenig, Friedman, Hadid, Herzog & de Meuron, Hirsch, Hollein, Koolhaas, Kuhn Malvezzi. Nessuna previsione ancora invece sul destino dell’edificio. Chris Dercon racconta a Domus il suo progetto.

Quali sono le origini della Haus der Kunst?
Nel 2007 cadrà il 70mo anniversario della Haus der Kunst. A disegnare l’edificio fu chiamato Paul Ludwig Troost, un architetto e ingegnere navale, specialista in navi da crociera transoceaniche. Troost fu affiancato dalla moglie, progettista d’interni. Questo edificio fu commissionato dal partito nazista di Monaco negli anni Trenta, quando Hitler decise che voleva fare di Monaco la capitale culturale del Terzo Reich. Una città che amava per diverse ragioni: in primo luogo perché non era distante dalla sua città natale, poi perché qui le sue visioni (politiche e artistiche) furono subito accettate senza riserve. A Monaco il Fuhrer voleva realizzare una sorta di quartiere dei musei e la prima opera fu la Haus der Kunst. L’edificio fu realizzato in gran fretta e fu inaugurato nell’ottobre del 1937 dal Fuhrer in persona.

Lei è direttore della Haus der Kunst dal 2003, quali sono gli interventi apportati in questi anni e quali le condizioni attuali del museo?
La prima cosa che mi fu chiesto di fare, appena arrivato qui, fu uno studio per conoscere le reali condizioni dell’edificio. Quello che trovai fu un’architettura in condizioni povere e non parlo soltanto dell’aspetto tecnico. Da anni a Monaco si tenevano dibattiti su cosa fare delle vestigia naziste ancora presenti in città. Monaco è sempre stata piuttosto ipocrita nell’affrontare tali argomenti. Non è stata soltanto la capitale culturale del Terzo Reich, ma anche la capitale del “Verdrängung”, ovvero del tentativo di rimuovere il passato. Anche il modo in cui la città gestì il suo restauro fu unico nell’intera Germania: decise di ritornare nei minimi dettagli alla situazione antecedente alla guerra. Noi abbiamo chiesto ad alcuni architetti, come Herzog & deMeuron e Rem Koolhaas, di riflettere su questa “perfetta imperfezione”. Dobbiamo però pensare questo edificio anche al di fuori del suo passato perché i cambiamenti sono stati tanti, fin dagli anni Cinquanta, quando il ministro della cultura diede il via a un cosiddetto programma di “normalizzazione”.

L’obiettivo era renderlo più funzionale?
No tutt’altro. L’obiettivo era liberarsi dei simboli nazisti. Sui marmi e sulle svastiche della Haus der Kunst venne passata una mano di bianco. La città piantò parecchi alberi sul retro in modo da nascondere la vista dell’edificio. La definirei una seconda opera di mimetizzazione, per nascondersi dal passato. Negli anni Settanta e Ottanta si levarono le prime voci che chiedevano cosa fare dell’edificio. Stephan Braunfels, l’architetto della Cancelleria di Berlino e della Pinakothek der Moderne di Monaco, suggerì l’idea più radicale: distruggerlo. Ma non nessuna proposta fu presa sul serio. Ora è il momento giusto per pensare a cosa vogliamo fare di questa architettura: perché le sue condizioni sono critiche e, in secondo luogo, perché abbiamo la Pinakothek der Moderne. Dopo averne verificato le condizioni tecniche, la prima cosa che feci fu liberarlo da tutte le aggiunte degli ultimi cinquant’anni. Ora che abbiamo terminato è possibile vedere bene la struttura, percepire lo spazio. Nel frattempo, abbiamo lavorato con Konstantin Grcic per creare gli arredi adatti. Quando sono arrivato qui ho iniziato una serie di interventi sull’edificio, come l’installazione di Paul McCarthy con i fiori gonfiabili sul tetto. Questo è il tipo di interventi che mi piace. Anche Herzog & de Meuron faranno un intervento sul tetto. Per commentare questo edificio si può essere ironici, ma occorre anche essere precisi. Bisogna essere distanti, ma allo stesso tempo bisogna accettare il fatto che questo edificio è quello che è.

È l’inizio di una serie di cambiamenti per il museo?
Si, la mostra inaugura il 15 marzo e si intitola “Konstantin Grcic design on off”. Off sono tutti gli spazi che abbiamo trasformato e che saranno permanenti: il foyer, il golden bar (il bar dei nazisti) e la libreria. A questo punto dovremo rivolgere la domanda ai nostri politici: sappiamo che se non interveniamo, tempo 40-50 anni e questo edificio non sarà più in piedi. Come il Pergamon di Berlino e molti altri edifici europei degli anni Venti e Trenta, anche questo museo è “malato” (il cemento, il metallo). La prima domanda, da rivolgere a tutti è: “Vogliamo conservarlo? O dovremmo seguire l’idea di Stephan Braunfels?”. La seconda questione è: se decidiamo di conservarlo, cosa dobbiamo riparare e come? Mantenendo la morfologia o cambiandola? Se invece si decide di abbatterlo, come utilizzeremo questo luogo chiave della città? Vogliamo girare queste domande, formulate in modo molto preciso – ci stiamo ancora lavorando – prima di tutto ai politici e alla popolazione, ma anche agli architetti. Nell’ottobre 2007 metteremo in mostra le loro proposte. Convolgeremo architetti tedeschi delle nuove generazioni (come Kuhn Malvezzi e Nikolaus Hirsch) e delle vecchie generazioni; architetti che conoscono l’edificio e che lo amano; progettisti che si sono già espressi in merito (come Braunfels e Günther Domenig, autore del Centro di documentazione sul nazismo di Norimberga), architetti che sono abituati a confrontarsi con strutture di questo tipo e hanno fatto cose interessanti in questa direzione (penso a David Adjaye). Non escludo di chiedere anche ad alcuni artisti, come per esempio Olafur Eliasson o Vito Acconci. Sarà un gruppo molto vario. Non pagheremo la Biennale di architettura di Venezia, non sarà un concorso per il Guggenheim. La Haus der Kunst, nel dopoguerra, ha portato avanti un interessante programma di architettura: la prima mostra europea dedicata a Frank Lloyd Wright del dopoguerra si tenne qui, così come una delle più vaste esposizioni dedicate a Le Corbusier, nel 1953. Anche noi stiamo lavorando con alcuni architetti, come Rem Koolhaas che introdurrà la mostra di Konstantin il 15 marzo. Stiamo lavorando con Herzog & deMeuron e in maggio, in occasione dei mondiali di calcio, ospiteremo la loro esposizione “n. 250”. Abbiamo ospitato Zaha Hadid, Yona Friedman e Hans Hollein.

È possibile cambiare il significato di questo simbolo?
No, il significato non può essere cambiato. Questo edificio non è ancora architettura nazista, è stile internazionalista, neoclassico. Ma con un chiaro programma nazista. Non è ancora Speer – a Speer fu chiesto di disegnare un museo di architettura e arti applicate ispirandosi alla Haus der Kunst – è disegnato da Troost che si documentò sulle guide del periodo, guardando attentamente a Schinkel e Mies. Inoltre questo edificio ha delle caratteristiche incredibili al suo interno. La trasparenza degli spazi. È molto amato dagli artisti che vi lavorano. Potremmo farne un centro di documentazione, come ha proposto Peter Zumthor, o un edificio in rovina come ha fatto Günther Domenig a Norimberga. O, ancora, farlo implodere come ha suggerito Stephan Braunfels. Dimentichiamo spesso che la Haus der Kunst si trova vicino al castello dove Hitler riceveva Mussolini, il castello di Strauss e vicino al parlamento della Baviera. È un luogo chiave della città e sul retro si trovano uno dei più grandi parchi e una delle più grandi discoteche.

A che punto è il progetto?
Stiamo cominciando a contattare i primi progettisti, ma prima vogliamo essere certi di avere formulato le domande nel modo più chiaro possibile. L’elenco non è ancora definitivo. Vorremmo arrivare a un gruppo di 15 e pagarli bene in modo che possano sviluppare al meglio le loro idee. Nel frattempo Lawrence Weiner scriverà sul tetto della Haus der Kunst una frase che mi piace molto, sarà enorme: “As long as it last”. E questo sarà anche il titolo del concorso.

Organizzerete anche un sondaggio tra la cittadinanza?
Useremo il ritorno promozionale di questo concorso per creare un dibattito tra gli abitanti di Monaco e per coinvolgere l’intera città. Non vogliamo sentire solo gli architetti, né solo le star internazionali, perché questo vorrebbe dire chiudere la discussione.

Alla fine ci sarà un vincitore? Una proposta sarà realizzata?
Forse sì, forse no. Può darsi che alla fine i politici saranno così entusiasti che potremo dare il via a un piano di costruzione. Il primo obiettivo è creare un dibattito. Vedere cosa è possibile fare. Spero anche che emergeranno tre o quattro proposte realizzabili. Al momento stiamo formulando domande molto precise, ma il concorso sarà il più aperto possibile. Ecco la mia “wish list”: David Adjaye, Olafur Aliasson, Vito Acconci, Herzog & de Meuron, Zaha Hadid (perché ha perso la chance di realizzare un museo proprio qui a Monaco), Rem Koolhaas, Kuhn Malvezzi, Allman Sattler, Uwe Kiesler, Stephan Braunfels, David Chipperfield, Günther Domenig, Yona Friedman, Hans Hollein, Nikolaus Hirsch. Diciamo che vorrei sentire la loro voce.
Un discorso di Adolf Hitler nell'ex Salone delle Onorificenze, 1939 circa
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Maurizio Cattelan, <i>Him</i>, alla Haus der Kunst nel 2003. Courtesy Marian Goodman
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Poster della mostra <i>Utopia Station</i> alla Haus der Kunst, 2004. Grafica M/M
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Parata per l'inaugurazione della mostra di Paul McCarthy "La La Land and Parody Paradise" alla Haus der Kunst, 2004
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