Il mio amico Peter Smithson sosteneva che le grandi rivoluzioni che hanno segnato la storia dell’architettura occidentale sono il gotico e il Movimento moderno. Gli altri rivolgimenti sono sovrastrutturali e riflettono cambiamenti accaduti prima nelle arti figurative o nella moda o nella tecnologia del costruire. C’è del vero in quello che Peter diceva e siccome era molto intelligente sapeva argomentarlo. Ma nelle discussioni che avevamo all’ILAUD, quando ci capitava di discutere della storia dell’architettura alla luce del suo assunto, non potevo fare a meno di associare al gotico il romanico (soprattutto quello italiano) anche perché mi è più congeniale e perché credo che la sua forza di rinnovamento sia stata almeno altrettanto sconvolgente. Del resto nella loro stessa epoca si stava per scoprire, con pari sgomento in tutti i versanti del mondo occidentale, che la Terra non era più piatta e che i pianeti non giravano più intorno alla Terra ma intorno al Sole. Stava dunque accadendo una radicale trasformazione nella concezione dello spazio siderale e quindi del governo dell’universo. L’architettura come organizzazione e forma dello spazio terrestre non poteva non assumere impegno diretto nella definizione di una nuova concezione dello spazio fisico, forte abbastanza da metabolizzare lo sconvolgimento delle basi precedenti. Il gotico e il romanico sono stati potenti risultati di questo impegno. Il gotico ha eluso i modelli classici ormai insostenibili e li ha compensati lanciando abbaglianti metafore verso il cielo della più impenetrabile trascendenza; il romanico ha egualmente eluso le rappresentazioni di un ordine che non aveva più possibilità di reggere e si è radicato alla terra con contrapposizioni di potenti masse murarie, bilanciamenti sicuri di pieni e vuoti, corrispondenze rassicuranti di luci e ombre, che descrivono simulacri di solida immanenza ai quali la società umana può rivolgere la sua speranza. Il Movimento moderno non è stato né parte strutturale né frutto di alcuna rivoluzione, ma uno sbocco di energia concomitante a quella dei moti saint-simoniani e utopisti del suo tempo. La rivoluzione vera era quella di base economica e sociale, chiamata ‘industriale’, che dalla fine del Settecento alla fine dell’Ottocento ha sovvertito le fondamenta della società occidentale. L’architettura del Movimento moderno è stata affascinata dalle grandi migrazioni che hanno fatto crescere in modo smisurato le città, da come incidevano sul territorio i nuovi sistemi di produzione e di consumo, dalla urgenza e dalla novità della domanda di abitazioni, luoghi di lavoro, servizi, ecc… Ma non aveva espresso posizioni che andassero al di là di una adesione alle proposte politiche delle correnti rivoluzionarie più innovatrici e non poteva essere diverso, dal momento che artisti e architetti non potevano esprimersi se non con gli strumenti tratti dai loro mestieri. Avevano inventato strutture spaziali del tutto inedite e un linguaggio formale immediato, spoglio, diretto allo scopo, di qualità compositiva e espressiva così esplicita come non si era mai vista prima. Ma non si può dire che avessero rivoluzionato il mondo perché i veri cambiamenti stavano avvenendo nella struttura, che sostanzialmente era politica ed economica. Si poteva forse stabilire in quell’epoca qualche programma comune, se non alleanze? Forse sì, tra correnti politiche e movimenti artistici consapevoli dell’ingiustizia e del disagio sociale: ma quali correnti e quali movimenti, essendo le prime in regresso burocratico e i secondi sulla via di essere fagocitati dal mercato? Comunque nei movimenti gli artisti si sono progressivamente chiusi in loro stessi e, nelle correnti, tra gli illuminati riformatori saint-simoniani e gli impulsivi utopisti sono prevalsi i primi, che hanno raggiunto risultati mirabili per forza di invenzione e per energia innovativa, ma poi sono degenerati nel conformismo e nella perversione burocratica, approdata oggi nel culto del consumo e del profitto, dove stiamo affogando. Travolta dalla decadenza, l’architettura non ha potuto salvarsi dall’essere processata per i suoi presunti trascorsi bolscevichi perché una buona parte dei suoi adepti aveva avuto simpatie per i costruttivisti russi o per i fabiani inglesi o per i razionalisti di Weimar; oppure per il suo avere svelato i trucchi con i quali un tempo l’Accademia e più tardi il Mercato hanno falsificato i valori autentici del processo architettonico facendolo decadere in un espediente che produce solo, e nel migliore dei casi, decorazione. Oggi l’architettura contemporanea è minacciata da alcuni pit-bull della critica e da numerosi codardi merinos della burocrazia: più ha valore e più la vorrebbero morta. Uno dei loro argomenti forti è che non può convivere con l’architettura dei centri storici perché il suo linguaggio non è corrispondente ai loro valori, è ignorante e non ha grazia. Può essere accettata solo in periferia – dicono – a meno che nei centri urbani non si adatti a essere giullare del potere contorcendosi in orrende risate e mostrando una volumetrica lingua, tanto più sinistra quanto più alto è il numero di esseri umani che ci staranno dentro a lavorare. Questo si è visto in occasione di recenti concorsi per il rinnovamento di alcuni centri di città italiane, e si è sentito che i feroci pit-bull, i codardi merinos della burocrazia, gli amministratori e i politici ne erano contenti. Noi invece, credo, dobbiamo organizzare difese; perché il pericolo, non tanto per l’architettura quanto per il genere umano, è grande: semplicemente si rischia di non avere riferimenti spaziali qualificati e di essere tramandati con rappresentazioni disonorevoli. La prima linea di difesa è discutere sul tema: ha l’architettura contemporanea diritto di essere visibile come le architetture delle epoche precedenti? La domanda è rivolta a tutti e in particolare ai lettori di questa rivista; per partire, offro un progetto per un ascensore ad Ancona, pubblicato nelle pagine che seguono.
Questione di paraventi
1. La Regione Marche è una delle più interessanti regioni italiane per assetto geografico, paesaggi, qualità dei suoi centri abitati, valore delle opere d’arte e di architettura.
Il suo territorio per metà si affaccia al mare Adriatico, per l’altra è articolato tra le catene montuose dell’Appennino. Essendo al centro della penisola italiana, la Regione è stata coinvolta dalle trasformazioni politiche e culturali che hanno agitato l’Italia. Il collegamento col mondo esterno è avvenuto soprattutto attraverso i porti della costa: quello di Ancona in particolare. La città di Ancona, che è la più popolata e anche la capitale della Regione, svolge un ruolo direzionale e di scambi con il retroterra agricolo, con le grandi città della penisola italiana, dell’Europa e, attraverso il porto, dell’intero bacino mediterraneo.
2. Il Porto di Ancona
Il porto di Ancona si sviluppa lungo l’arco di mare che gira intorno al versante orientale del Colle del Guasco. Sulla sommità del Colle è la splendida cattedrale romanica di San Ciriaco che è il riferimento urbano più significativo per i cittadini e i viaggiatori. L’arco del porto è segnato da tre vertici connessi con quello della Cattedrale, che segnano la conclusione, l’inizio e il centro della banchina portuale e dei suoi più importanti approdi. Il primo è il Lazzaretto, costruito da Luigi Vanvitelli nel XVIII secolo, il secondo è l’Arco di Traiano; il terzo è il Palazzo degli Anziani dove era una delle più frequentate discese alle banchine portuali. Il Palazzo è diviso in due parti: una medioevale che dalla Piazza Alighieri sale fino alla Piazza della Farina, l’altra barocca che sale per altri due livelli. I primi anni di vita medioevale devono essere stati difficili per l’edificio e difatti non si hanno dati precisi sui progetti e sui loro autori. Si sa solo dal Vasari di un rifacimento all’inizio del Trecento a opera di Margheritone d’Arezzo. Le varie componenti architettoniche sono di grande pregio ma quello che conta davvero è il fronte verso mare per la sua eloquenza architettonica: la perennità della costruzione fronteggia la mobilità del mare, ricordo memorabile per i naviganti che arrivavano o partivano dal Porto.
3. Il Palazzo degli Anziani e il Progetto del 1961
Il Palazzo è fatto di due parti sovrapposte: una inferiore di poco sopraelevata sulla piazza Dante Alighieri e una superiore accessibile dalla piazza Stracca. La prima è di potente linguaggio medioevale, la seconda di linguaggio tardo-rinascimentale e barocco. Ciascuna delle due parti ha sue scale, che però non sono incolonnate e perciò non sono connesse una all’altra; per cui, per scendere dai livelli più alti a quelli più bassi, e viceversa, si deve passare per strettoie tortuose che attraversano la giunzione precaria tra il corpo gotico e il corpo barocco. Non c’è modo di eliminare le barriere architettoniche se non con squarci che sfonderebbero varie volte e altererebbero profondamente gli spazi. Contro questo problema aveva cominciato a scontrarsi l’Università di Ancona quando, negli anni Sessanta, aveva iniziato a sistemarsi nel Palazzo degli Anziani. Vari tentativi erano stati fatti per trovare una soluzione all’interno della fabbrica, ma poi si era arrivati alla conclusione che non si poteva, se non a prezzo di gravi danni architettonici; ed era stato deciso di progettare una scala-ascensore esterna che, senza danni, potesse collegare tutti i vari livelli della fabbrica. Mi era stato chiesto di tradurre in architettura il programma e io avevo progettato un sistema di tre cilindri tangenti – uno conteneva la scala, il secondo l’ascensore, il terzo i pianerottoli – che avrebbero dovuto essere in cemento armato rivestito di lastre di alluminio. La ragione di fondo di queste scelte era di ‘staccarsi’ dal Palazzo degli Anziani per sottolineare la sua perennità e di avvicinarsi invece alle strutture portuali per dichiarare la provvisorietà della nuova costruzione. Il progetto, che era stato approvato dall’Università, era piaciuto anche alla Soprintendenza di allora, ma non aveva persuaso il Ministero e perciò non se ne era fatto di niente.
4. Trent’anni dopo
Più di trent’anni dopo il Comune – che aveva deciso di sistemare nel Palazzo la sua sede di rappresentanza, al posto dell’Università che si trasferiva altrove – si è subito scontrato con lo stesso problema: come connettere i vari livelli del duplice Palazzo con un sistema di movimento verticale continuo e quindi confortevole anche per i disabili. Di nuovo l’ufficio tecnico comunale si era cimentato con la ricerca di una soluzione all’interno dell’edificio e quando aveva constatato che ogni soluzione era impossibile perché implicava gravi distruzioni delle volte, era tornato a considerare la possibilità di costruire un sistema di movimento verticale esterno, sul fianco settentrionale del Palazzo. Così, quasi come per un miracolo, il Comune di Ancona è tornato a chiedermi dopo 30 anni un progetto per l’inserto di un solo ascensore, il meno possibile ingombrante. Lo scopo immediato del progetto era di disegnare una Torre che contenesse un ascensore destinato a servire tutti i livelli del Palazzo in modo da consentire, anche ai disabili, di raggiungere ogni spazio interno. Questo scopo doveva affrontare il problema del come un’architettura contemporanea possa confrontarsi con una antica per aiutarla a superare le difficoltà che ha nel presente. La questione è ben più ampia e variegata di come si presentava nel caso in questione. Il problema del confronto tra il contemporaneo e l’antico esiste infatti qualunque sia il rapporto dimensionale, sia che il vecchio e il nuovo siano separati o uniti, sia che il secondo debba avvolgere o penetrare o venga introiettato dal primo. Tuttavia il caso Palazzo degli Anziani di Ancona è così “al limite” da poter essere presentato come paradigmatico. Il contrasto tra le due parti sovrapposte della fabbrica è totale. Come dunque si può partire da questo contrasto ineludibile per pervenire a una situazione nella quale il Palazzo degli Anziani, oltre ad acquistare la capacità di corrispondere alle esigenze del presente – e quindi di sopravvivere – diventi più eloquente, venga riscattato dalla noia e dall’oblio nei quali è caduto, grazie alla presenza di un terzo manufatto, contemporaneo, che gli corrisponda e attraverso questo suo essergli corrispondente lo rianimi?
5. I principi compositivi del Palazzo degli Anziani applicati alla torre-ascensore
Il progetto è partito dal cercare di conoscere l’essenza compositiva dell’edificio antico al quale la torre-ascensore doveva accostarsi, e le scoperte sono state singolari e risolutive. Esplorando le fronti si è scoperto che il loro sistema compositivo è fondato su una sequenza ritmica di rapporti aurei. C’era da aspettarselo, si potrebbe dire, trattandosi di facciate storiche disegnate con notevole perizia architettonica. Però è sorprendente la coerenza e anche la flessibilità con la quale il metodo è stato applicato, legando insieme le parti fino a ogni minimo particolare in un sistema di corrispondenze ritmiche. Sul sistema di corrispondenze identificato nelle fronti del Palazzo è stata disegnata una griglia, che è diventata la base per la definizione fisica del nuovo inserto, sulla quale sono stati stabiliti con facilità i diametri, le altezze, le cadenze delle modanature del nuovo inserto.
6. La prima versione del Progetto
La prima versione del Progetto prevedeva una torre snella di sezione circolare che conteneva un ascensore e veniva posta nell’ansa che è sul fianco orientale del Palazzo. La comunicazione tra il Palazzo e l’ascensore avveniva tramite passerelle che, ad ogni livello dell’edificio lo penetravano attraverso alcuni vani finestra già esistenti nella facciata. Tutti i livelli dell’edificio erano serviti, dal più alto sotto la copertura al più basso del corpo gotico; al disotto del quale l’ascensore scendeva ancora fino a raggiungere un interrato dove erano la centrale termica e un ingresso diretto dalla piazza Dante Alighieri ristrutturata. La struttura della torre-ascensore era in acciaio e il suo involucro esterno era chiuso da un sistema di cristalli di varia dimensione e diverse inclinazioni, che doveva riflettere il panorama circostante come in un caleidoscopio. L’inviluppo di acciaio e cristalli era stato modulato riprendendo i ritmi delle modanature del Palazzo che, in sequenza di rapporti aurei, segnano la suddivisione dei pieni e vuoti e dei partiti decorativi e costruttivi delle facciate.
7. Le proposte di risanamento del tessuto storico circostante
Il tessuto urbano sopra l’arco portuale che scendeva verso le banchine con sequenze di piccoli edifici a gradoni è stato devastato prima dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e poi da una massiccia ricostruzione paternalistica realizzata con i soliti edifici ampollosi e ingombranti, di cui in genere l’amministrazione pubblica e del credito fanno dono alle zone depresse dopo i disastri. La questione del Palazzo degli Anziani ha dato occasione alla formulazione di una serie di proposte che potrebbero ridurre il danno. È stata infatti revisionata la rete viaria, in modo da consentire un migliore collegamento tra il Centro città e il Guasco. È stato proposto un disegno adeguato per la piazza Dante, sono stati previsti alcuni risarcimenti del tessuto edilizio per riportarlo al rispetto del modello originale, sono state ricostituite alcune rampe di discesa al porto, è stato previsto il recupero di due zone archeologiche che – una volta eseguiti gli scavi – sono state abbandonate al destino di immondezzai.
8. Le traversie del Progetto
La prima versione del progetto era stata accolta dal Comune ma avversata dal Soprintendente ai Beni Culturali che aveva chiesto di sostituire la Torre con un ascensore tutto interno al Palazzo. La virtù di non essere visibile dall’esterno compensava, per il Soprintendente, il fatto che venissero distrutte numerose volte compromettendo l’integrità architettonica e strutturale del Palazzo. Ma questo evitava che segni architettonici contemporanei venissero accostati a quelli antichi; e lo scopo supremo era raggiunto. La questione, diventata ideologica, era a questo punto degna del giudizio di un Organo superiore. Il Comitato di Settore del Ministero BBCC, dopo lunga attesa, dichiarava infatti di non avere pregiudizi sull’inserimento di architetture contemporanee nei contesti storici, però ingiungeva che l’ascensore fosse suddiviso in due tronchi: uno esterno e l’altro interno, e posto dentro qualche cavità che si doveva pur trovare nella fabbrica barocca. La cavità veniva trovata infatti dai tecnici comunali. Ma come si poteva accettare di decapitare la torre per più di un terzo della sua altezza, senza battere ciglio architettonico, per compiacere un gruppo di funzionari, ansiosi di scaricarsi della patata bollente e di rinviarla al Soprintendente di Ancona (che non era più quello di prima ma uno più incline al temporeggiamento)? Che la raccoglieva, confidando che si sarebbe raffreddata dandole tempo. Il tempo veniva infatti trovato, complicando il progetto e cioè applicando un vecchio trucco nel quale la più aggiornata burocrazia italiana sembra maestra. Si confermava che il primo tratto dell’ascensore doveva essere incastrato nell’interstizio della fabbrica barocca e si proponeva di comprendere il secondo tratto in un sistema di cunicoli da scavare sotto la piazza Stracca, col compito di ventilare il dorso umido del Palazzo. Il Sindaco dichiarava che mai il suo Comune avrebbe accettato di costruire un sistema di cunicoli del tutto inutili; tanto più che, come sapevano tutti, lo scavo avrebbe incontrato un banco di reperti archeologici e imposto subito l’arresto del cantiere per un tempo indeterminabile. Quelli che avevano partecipato alla redazione del progetto avevano, come il Sindaco, mangiato la foglia e deciso di abbandonare l’avventura per proseguire con un’ultima versione dimostrativa, a proprie spese.
9. Le basi del nuovo progetto-paravento
I cambiamenti dell’ultima versione si possono riassumere dichiarando i suoi assunti più significativi. Il primo è che se la torre venisse accorciata di un terzo, la sua configurazione non sarebbe più quella originale; e allora dovrebbero cambiare anche le figure delle sue varie parti, che altrimenti si troverebbero estraniate dentro un involucro cui hanno smesso di corrispondere. In altre parole: se un evento architettonico deve essere commisurato alle esigenze che lo generano e allo stesso tempo contribuire a dare significato al contesto nel quale si trova, le sue dimensioni e i suoi rapporti interni non possono essere variati a caso. Se per qualsiasi ragione variazioni si rendono necessarie, allora tutto l’insieme deve essere variato. Il secondo si riferisce alla struttura della forma, che nel progetto originale si svolgeva su una sequenza di impronte circolari concentriche: la distribuzione dei pilastri, gli orizzontamenti della struttura principale, la struttura secondaria di sostegno delle lastre di cristallo, la cabina dell’ascensore. Questa coerenza geometrica non sarebbe più necessaria se cambiassero i rapporti dimensionali, e quindi visivi, tra la torre-ascensore e il palazzo. Il terzo assunto è che, osservando con attenzione, anche dal largo del Porto, la fronte del Palazzo e immaginando che tutto si concentrerebbe nella qualità dei riflessi che l’incastellatura produrrebbe, si è visto che la dimensione dei cristalli avrebbe dovuto essere più grande di come previsto: così la sua immagine variegata sarebbe stata percepita e decifrata, con chiarezza e sorpresa, anche dai natanti del Porto. Inoltre, cristalli più grandi avrebbero prodotto un gioco di riflessi che avrebbe ‘smaterializzato’ l’inserto rendendo chiaro il suo essere altro dal Palazzo. L’inserto avrebbe con discrezione occultato il Palazzo come accade con i paraventi che coprono ma non intersecano. Il paravento avrebbe potuto anche cambiare o essere oscurato o messo altrove a ‘paraventare’ altre situazioni giudicate inconciliabili col loro contesto. Ma per ottenere questa mobilità d’uso il paravento deve avere una sua indipendenza e tuttavia sopravvivere nel tempo e nello spazio: quindi una sua identità che gli consenta di conservarsi integro a ogni cambiamento.
10. Post Scriptum
I disegni dell’ultima versione spiegano gli aspetti funzionali e costruttivi. Si può aggiungere che il paravento di cristalli è interamente riflettente e perciò copre quanto gli sta dietro. Non è più dunque necessario che la struttura portante sia a pianta circolare, né che lo sia la cabina dell’ascensore. I cristalli sono fissati alla struttura dell’ascensore con sistemi normalmente in uso, rinforzati opportunamente per resistere alle sollecitazioni del vento. La cabina dell’ascensore scende in basso fino al locale interrato dove è l’accesso da piazza Dante, e sale in alto fino al livello della Sala del Consiglio Comunale; dopodiché, per salire ulteriormente dentro la fabbrica barocca, si andrà a prendere il piccolo ascensore che, ci si augura, troverà posto nell’interstizio tra due grossi muri; senza dovere sfondare le volte.
Progettista: Giancarlo De Carlo
Associato: Antonio Troisi
Collaboratori: Greta Pasquini, Patricia de Isidoro Martin
Strutture: Ernesto Olmeda
Fotografie dei modelli: Andrea Martiradonna