Bijoy Jain, of Studio Mumbai Architects, special mention at the 12th Venice Biennale, describes the creative context of the atelier where a piece of architecture is conceived

Would you like to tell us the meaning of your contribution to this Biennale dedicated to architecture and people?
Basically, what we have set up here is our studio. We turned the space given to us into a work place. In many ways, the studio is an atelier where artisans, architects and people all live together.

How many people are in the studio?
Almost a hundred in all and that is because we are also involved in the building process, the act of constructing the projects. We not only design them, we build them too. These one hundred people are very much involved in the process, drawing things and making mock-ups, models, maquettes…
Essentially, all the work comes from a community of people who are involved in the building trade. It is not just a matter of giving instructions; it is discussion, dialogue and gestures that get a lot of these things made and developed. So, the idea comes from the whole and then objects are made to test the ideas.
This is really like a laboratory or research facility, where the process of making the building takes place.
Again, crucially, all of this can only happen via people; it is not the work of one person alone. It is a collection of people who come together with the same spirit and values to produce work. That is how is our work is linked to the theme of the Biennale.



Bijoy Jain di Studio Mumbai Architects, menzione speciale alla 12. Biennale di Venezia parla del contesto creativo dell'atelier in cui nasce l'opera d'architettura

Vuole raccontarci il significato del contributo di Studio Mumbai a questa Biennale dedicata all’Architettura quale luogo di incontro?
Semplicemente quello che abbiamo allestito negli spazi dell’Arsenale è il nostro studio. Abbiamo deciso di usare lo spazio che ci è stato dato per destinarlo a luogo di lavoro dove produrre, costruire, realizzare l’architettura.
Alludendo all’immagine che tradizionalmente gli europei hanno dell’Atelier questo è un luogo dove convivono architetti, artigiani… ossia tutti coloro che partecipano alla processo dell’architettura.

Quante persone siete nel vostro studio?
Siamo un centinaio circa di persone perché siamo coinvolti anche nel processo costruzione in se stesso. Noi non ci limitiamo al design, al progetto, ma tutte le persone che lavorano nello studio sono coinvolte nel processo, disegnando i singoli elementi, costruendo dettagli, modelli, ….
Fondamentalmente tutto il lavoro viene fatto da una comunità di persone che partecipano nel mestiere della costruzione. Non si tratta però solamente di eseguire delle istruzioni quanto di partecipare attraverso la discussione, il dialogo, i gesti, in modo da rendere possibile la costruzione di ogni singolo elemento. L’idea è di un insieme indivisibile, un’ambiente totale, grazie al quale le idee sono messe alla prova della costruzione. Si tratta realmente di un laboratorio o, per così dire, di un luogo di ricerca che riguarda il processo della costruzione di un edificio.
Fondamentalmente tutto questo è possibile solo lavorando con le persone: non è l’opera di un singolo. È piuttosto l’insieme di uomini che condividono lo stesso spirito e gli stessi valori a produrre il lavoro. È questo, nella sostanza, il significato del nostro contributo al tema proposto dalla Biennale.