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Dal Brompton Design District al Sir John Soane’s Museum. Nuove collezioni, installazioni urbane, mostre collettive: il meglio del London Design Festival 2017.

Si è conclusa l’edizione 2017 del London Design Festival. La manifestazione britannica che in 15 anni ha presentato più di 20.000 progetti – tra esposizioni, eventi e incontri tematici – ha dimostrato nel tempo una vocazione sempre più vicina ai temi del design di ricerca. Sperimentazione scientifica, grandi installazioni capaci di reinventare lo spazio urbano, oggetti da collezione, progetti in via di sviluppo: le nuove idee non mancano.

 

Da questo punto di vista, il Brompton Design District quest’anno si è dimostrato particolarmente effervescente. Un programma di mostre pop-up firmato dalla curatrice Jane Withers ha messo insieme designer emergenti o già noti nel tentativo -  in alcuni casi particolarmente riuscito - di “aggiungere significato e valore alla nostra vita di tutti i giorni”. Nelle stanze delle case vittoriane di Cromwell Place, destinate a diventare a breve gallerie e spazi culturali, Martino Gamper ha presentato la sua nuova collezione di arredi in legno, “Round & Square”. “Sono tutti pezzi che riusciamo a realizzare internamente, nel mio studio di Hackney. Per questo sono anche personalizzabili”, spiega il designer. Il progetto ruota attorno allo speciale incastro delle componenti in legno, chiaro simbolo della passione artigiana di Gamper.

Vista dell’esposizione The Trade Show, presentata da Faye Toogood per il London Design Festival 2017
Vista dell’esposizione The Trade Show, presentata da Faye Toogood per il London Design Festival 2017
A pochi passi, un altro nome italiano ha ottenuto un ottimo successo con un allestimento tanto semplice quanto bello: “Practice Practice Practice” dello studio Zaven è un omaggio al maestro Nino Caruso, artista e attivista politico italiano. In questo lavoro che gioca con i temi della scala e della ripetizione, come sottolinea Withers, si indaga il potenziale della ceramica in una maniera non scontata, che permette di ragionare su questo materiale di cui tanto si parla da un nuovo punto di vista. Nella stessa zona spicca “Objects of Refinement” by Okolo, un atlante fotografico costruito in dieci anni da Adam Štěch, che mette insieme dettagli di architetture e interni che vanno dal 1900 al 1990. Oltre alla grande collettiva “The Trade Show” presentata da Faye Toogood, che occupa due piani di un vecchio garage. Una cinquantina di artisti e designer più o meno conosciuti: da Goshka Macuga a Francis Upritchard, Fernando Laposse, Marcin Rusak, Arabeschi di Latte. In un ambiente rarefatto, profumato con bastoncini d’incenso, l’esposizione alla maniera di Toogood racconta una parte importante della scena londinese attuale.
Adam Nathaniel Furman, Gateways, in collaborazione con Turkishceramics per designjunction. Foto Gareth Gardner
Adam Nathaniel Furman, Gateways, in collaborazione con Turkishceramics per designjunction. Foto Gareth Gardner
Una menzione speciale per il progetto “The Roman Singularity” di Adam Nathaniel Furman (visibile fino al 10 dicembre). Nella cornice suggestiva del Sir John Soane’s Museum, Roma diventa una visione immaginifica composta da modellini coloratissimi in ceramica realizzati attraverso stampa 3D e tecniche artigiane, un video ipnotico e stampe psichedeliche: souvenir irriverenti che non si lasciano intimorire dal peso della città eterna. La ricerca sul colore è uno degli elementi fondanti del lavoro di Furman, co-direttore di Saturated Space, Colour Research Cluster dell’Architectural Association School of Architecture. I suoi portali Gateways in ceramica policroma, installati in Granary Square nell’ambito di Designjunction e realizzati in collaborazione con Turkishceramics, sono stati smantellati con un giorno di ritardo rispetto al programma su richiesta dei visitatori entusiasti.

 

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