Il ponte elicoidale di Rehberger

Il ponte pedonale ideato dall'artista tedesco sul canale Rhein-Herne invita a riflettere sui confini disciplinari tra architettura e arte. Novità: sposta il mouse sulle immagini, per vedere i video.

La conversazione tra Nikolaus Hirsch e Tobias Rehberger in occasione del completamento del ponte a spirale di Rehberger a Oberhausen è stata pubblicata in versione ridotta su Domus 950, settembre 2011. Di seguito, la versione completa dell'intervista.

Nikolaus Hirsch: Tu sei un artista, io un architetto. Ciò che mi interessa, in questo contesto, è il modo in cui una disciplina definisce una prassi professionale e ne estende e rinegozia il territorio. Attualmente stai lavorando sempre più fuori dai musei e dalle gallerie, in spazi e contesti che forse, più tradizionalmente, sono occupati da architetti e ingegneri: cioè nel mio territorio. Tra le professioni a quanto pare crescono sempre più gli spazi ibridi. L'esempio più recente di questo fenomeno è il tuo nuovo lavoro Slinky springs to fame (Molle giocattolo per la celebrità), un ponte pedonale a Oberhausen. È una spirale lunga sette chilometri, forse la tua opera di maggiori dimensioni.
Tobias Rehberger: Di gran lunga l'opera più grande che abbia mai realizzato e forse la più grande che mai farò.

Racconta com'è nato il progetto.
Da un invito aperto a una mostra intitolata Emscher Kunst (Arte sul fiume Emscher). Faceva parte del programma delle manifestazioni per la Capitale europea della cultura 2010 nella regione della Ruhr. Florian Matzner, curatore del progetto Emscher Kunst, invitò alcuni artisti per un paio di giorni alla ricerca di spazi per possibili opere d'arte. A un certo momento mi ritrovai dove oggi sorge il ponte. Alle spalle avevo il castello, che oggi è un museo, e dall'altra parte c'era un centro sportivo degli anni Trenta, due siti separati dal canale Rhein-Herne. Me ne stavo lì e pensavo che sarebbe stato bello poter andare a piedi dal punto in cui ero fino all'altra sponda.

Quindi l'idea del ponte è stata tua, non un incarico urbanistico? In certo qual modo hai inventato il brief del tuo progetto.
Certo, non si è trattato di un incarico. Ho detto al curatore che sarebbe stato bello farci un ponte. Non so perché, ma mi sono sempre piaciuti i ponti, il modo in cui funzionano, il loro aspetto, il modo in cui diventano punti di riferimento nel territorio. All'inizio non avevo preso sul serio la proposta, ma Matzner parlò a quelli del Comune e della Emscher Genossenschaft (una società che ha il compito di ristrutturare tutto l'Emscher, il fiume che attraversa la regione della Ruhr) e mi disse che volevano davvero che facessi un ponte. Mi ha detto: "Sai com'è, ci ho parlato e hanno detto che gli piacerebbe davvero che tu facessi un ponte e mi hanno chiesto degli schizzi

L'opera nasce da una coincidenza. Ti sei inventato l'incarico per un'infrastruttura. È un caso unico, dato che di solito un ponte nasce da riflessioni su un piano regolatore a lungo termine, mentre il tuo ha il ritmo più stretto del mondo dell'arte di cui adotta le forme espositive.
Proprio così. E loro ne erano molto contenti, perché la possibilità di realizzare il ponte come progetto artistico voleva dire che potevano ottenere finanziamenti dall'Unione Europea e quindi risolvere un problema economico. Prima ho fatto un paio di schizzi sommari su carta, e poi ho parlato con l'architetto che lavora in studio da me e abbiamo realizzato un abbozzo digitale.

Concepire l'infrastruttura ingegneristica come un'opera d'arte ha reso possibile adottare una diversa economia.
Certo. Subito mi hanno chiamato per dirmi che era fantastico, stupendo, che gli piaceva, che lo volevano realizzare. E poi ovviamente tutto il processo è cominciato con l'ingegnerizzazione.

Hai lavorato con lo studio Schlaich Bergemann & Partner di Stoccarda, tra i più esperti di ingegneria dei ponti.
Non li conoscevo affatto. Il mio contatto era Mike Schlaich, con il quale ho discusso la fattibilità tecnica. L'idea della spirale era ispirata alla Slinky, il giocattolo degli anni Quaranta. Fin dall'inizio i due elementi principali erano una spirale nera e una fascia colorata su cui camminare che attraversava la spirale. Abbiamo cercato di dare funzioni strutturali alla spirale stessa. Naturalmente era un paradosso, dato che avevo scelto la spirale proprio perché è un oggetto decisamente non strutturale. Malgrado i nostri sforzi, abbiamo dovuto rinunciare all'idea perché la spirale, per diventare strutturale, diventava un mostro. Insistetti sulla passerella che attraversa la spirale e Mike Schlaich, alla fine, trovò una soluzione strutturale: un sottile ponte pedonale a nastro (uno Spannbandbrücke) dello spessore di nove centimetri, una specie di ponte sospeso all'inverso. La spirale d'alluminio sembra elastica e significa che camminare sul ponte non vuol dire semplicemente andare da A a B. Ci sono altre possibilità. Si trattava soprattutto di collegare i due punti sulle rive opposte fornendo un'esperienza particolare.

Sposta il mouse sulle immagini, per vedere i video del ponte di Rehberger.
Come descriveresti il rapporto tra te, artista, e Mike Schlaich, ingegnere?
Come una specie di ping-pong in cui ero io a battere il servizio. Mike Schlaich mi rispondeva in una forma che riteneva sensata, quindi io la intercettavo, la cambiavo ancora, le imprimevo una traiettoria differente, insomma un colpo tagliato o una palla a effetto, per così dire. Entrambi agivamo sempre di rimessa rispetto a quello che faceva l'altro.

Presumo che questa giocosa collaborazione da ping-pong abbia dei vincoli: regole fisse come i calcoli strutturali e le caratteristiche dei materiali.
Se un ingegnere dice che una cosa non funziona, bisogna ripensarci. Si può insistere su certi punti ma su altri no. Abbiamo seguito un lungo percorso di vie senza uscita e di vicoli ciechi. Ma se si osservano i primi schizzi e poi il risultato finale, sono quasi esattamente la stessa cosa.

Lavorare su un ponte in un ambiente urbano complesso richiedeva di affrontare esigenze e soluzioni strutturali di ogni tipo. Ci sono più resistenze, più problemi pratici, in un progetto che sorge in un ambiente esterno rispetto a un ambiente sicuro e controllato come quello del museo?
Non direi che ci sono minori resistenze. In un museo da principio sembra che ci siano meno problemi ma alla fine ci sono gli stessi vincoli che altrove. L'idea del 'cubo bianco' suggerisce che nulla possa limitare l'opera d'arte, ma è falso.

Ciò significa che il cubo bianco è l'ingegnerizzazione delle possibilità?
Sì, in qualche modo influisce sull'opera d'arte. È la stessa cosa che succede con un paesaggio o con una spirale. Quando all'inizio dicevi che lavoro sempre più spesso in settori diversi da quello dei musei, non voglio dire che il museo non sia più uno spazio interessante. Il museo è uno spazio interessante perché ci sono dei problemi, non perché sia neutro.

Certi problemi nascono da criteri funzionali. In certe opere destinate a musei e a biennali, come per esempio il tuo Caffè alla Biennale di Venezia, ci sono degli aspetti funzionali. Mi chiedo che cosa pensi dei rapporti tra arte e funzione, della…
Dell'arte applicata?

Esatto, questa espressione forte, 'arte applicata', e tutti i luoghi comuni sull'estetica relazionale. In architettura il rapporto funzionale è molto presente come brief e come valore d'uso – per quanto si possa sostenere che questi dati di partenza siano solo pretesti di fronte all'autonomia dell'architettura. Qual è la tua opinione sull'autonomia dell'arte?
Prima di tutto, che l'arte sia davvero autonoma mi pare un mito, perché è talmente legata, e coinvolta in tante questioni. Ha sempre una funzione: anche la più astratta delle sculture nel più bianco cubo di uno spazio museale. Se c'è l'esigenza di realizzarla, allora c'è anche una funzione, è inevitabile. Non credo all'autonomia dell'arte, secondo me non esiste. In secondo luogo per me è importante anche non pensare che un oggetto sia arte perché ha in sé qualcosa di artistico. Non è che ci sia un nucleo che si cerca di svelare e che poi permette di capire che si tratta di 'arte'. Credo che l'arte sia un punto di vista. Un oggetto è arte perché si vuole che lo sia, perché lo si giudica secondo certi parametri di qualità che identificano ciò che viene classificato come arte: quindi è una proiezione. Potrei descrivere il registratore che ci sta davanti come una scultura. Il punto è come funziona in un certo sistema qualitativo, ma se lo usiamo come registratore è solo perché le sue qualità di registratore appaiono maggiori delle sue qualità di scultura. Mi piace avere la possibilità di cambiare prospettiva, o di rendere evidente che cambiare punto di vista trasforma anche un'opera d'arte in qualcosa di differente. E quindi ovviamente il mio interesse in generale va alla natura della scultura contemporanea. È la mia prima prospettiva, ma per parlarne devo realizzare la possibilità di non vederlo come una scultura. Mi piace sempre il momento in cui le persone riescono ad affrontare la cosa senza alcun parametro e senza pregiudizi sull'opera d'arte.

Attivare e disattivare l'aspetto funzionale diventa un potenziale. Ritenere che un oggetto sia funzionale spalanca anche una certa dimensione di libertà disfunzionale – non in senso negativo, ma nel senso di equivoco produttivo.
L'atto stesso di introdurre una funzionalità è già qualcosa di disfunzionale al contesto concettuale dell'autonomia dell'opera d'arte. Quindi sono tutti equivoci produttivi, perché a partire da essi possiamo continuare a pensare da dove venga o che cos'altro possa essere. Per fare un esempio: un paio d'anni fa, in una caldo giorno d'estate, ero di fronte alla Neue Nationalgalerie di Mies a Berlino. C'è un pezzo di Richard Serra, un cubo di metallo ossidato. La giornata era calda e stavo aspettando una persona: saltai sul cubo e mi ci sedetti sopra. Era proprio fresco e improvvisamente considerare il pezzo di Serra con le chiappe invece che con gli occhi mise la questione in termini completamente diversi. Era ancora una scultura ma esprimeva una qualità che non mi sarei aspettato, ed era in qualche modo funzionale.

Il ponte di Oberhausen è il frutto della collaborazione tra un artista e un ingegnere. Forse si piò ampliare il dibattito dalla prassi della collaborazione al problema della relazione tra le discipline e a ciò che le contraddistingue. Ha senso che esistano? Sei arrivato a un punto critico in cui tutto si scioglie in un generico territorio transdisciplinare che potrebbe rappresentare una zona di compromesso totale? La domanda cruciale è: come collaborare senza scendere a compromessi? La collaborazione ha due facce: l'unione in una specifica pratica professionale e la connotazione negativa del tradimento, collaboratore come "collaborazionista", nel senso della fraternizzazione con il nemico.
Credo che le discipline siano importanti perché forniscono un modello strutturale. C'è bisogno di un certo tipo di terreno d'azione, che io definisco come un punto di vista, cioè di usare determinati parametri per definire le qualità di un oggetto. Mi piace descrivere questo territorio come una gomma da masticare: ha dei limiti, ma rimane sempre elastica. La frontiera è il mondo contemporaneo. Dove la gente tira di qua e di là e cerca di farne automaticamente qualcosa di diverso. E mi pare che sia proprio una specie di descrizione di un certo sistema.

Quindi l'arte e l'architettura sono sistemi, visioni sistemiche che si differenziano in continuazione e reinventano i rispettivi confini.
Esattamente. È per questo che non credo che negli oggetti ci sia qualcosa che li rende arte, è solo il modo in cui li si guarda, sono i parametri personali, è così che il cervello concepisce che cosa è arte e che cosa è architettura. Se ne può parlare secondo certi parametri, ma anche secondo altri. Posso sicuramente pensare a me stesso come a un artista che crea un contenitore di cartone più interessante in quanto tale che come opera d'arte. Ma posso anche pensare a me stesso come a qualcuno che crea una casa più interessante come scultura che come pezzo d'architettura. Mi definirei scultore solo perché questo è il mio punto di vista, è quello che mi interessa e le domande che mi pongo vengono di qui, e questo è il sistema che cerco di tirare di qua e di là.

Vorrei fare una riflessione disciplinare su arte, architettura e ingegneria. L'architettura si colloca in un certo punto tra le altre due. Il progetto di Oberhausen è un caso di collaborazione tra un artista e un ingegnere che annulla la posizione piuttosto sfumata dell'architetto. Mi chiedo se, nel XXI secolo, si possa pensare di fare a meno degli architetti in favore di un territorio negoziato da artisti e ingegneri.
Non credo, perché c'è bisogno di qualcuno che faccia architettura. Non significa che si debba costruire un ponte e neppure una casa, ma che si debba fare architettura: bisogna discuterne, bisogna tirare di qua e di là la gomma da masticare. Anche se non avessimo più bisogno che gli architetti costruissero nulla, credo che avremmo bisogno di architetti che discutessero i temi dell'architettura. L'architettura ha inizio nel momento in cui l'edificio o quello che è (un contenitore di cartone oppure un foglio di carta) riflette sul suo statuto disciplinare, sui suoi limiti e sulle sue possibilità. Lo stesso vale per l'arte.

È una questione interessante perché la nozione culturale dell'architettura sta forse nell'idea che l'architettura esprima qualcosa in più del semplice valore d'uso. È quel che si potrebbe definire la differenza tra fare architettura e costruire.
Esattamente, ed è quel che si dovrebbe fare.

Il punto interessante è l'idea dell'in più', cioè di andare oltre la costruzione. È molto diverso dal genere di 'in più' che si crea nel settore dell'arte.
Credo che nel XX secolo ci sia stato un momento in cui c'era l'idea che si potesse separare l'in più' da qualunque cosa, in modo da ottenere solo l'in più' che l'avrebbe resa arte delle più pure. Cosa che non credo, perché, si sa. Un esempio classico è il minimalismo con la sua idea che dall'arte si può togliere tutto, il più possibile, e poi fa la sua comparsa la vera arte, l'essenza dell'arte; ed è l'idea dell'in più'. Ma poi a guardar bene, se va sul mercato o se viene appesa in un museo perché c'era un direttore di museo cui piaceva, e poi la tolgono perché a qualcun altro non piace e così via di volta in volta, insomma, ha perlomeno una componente funzionale. L'unico modo di riuscirci è fare qualcosa che nessuno vede mai, che nessuno mai capisce e nessuno si accorge nemmeno che esista. Allora si otterrebbe davvero una specie di oggetto completamente non-funzionale. Secondo te in che cosa consisterebbe l'in più' dell'architettura?
Forse l'architettura è già qualcosa 'in più'. Qualcosa che oltrepassa la costruzione. La funzionalità può essere un punto di partenza ma alla fine sono in gran parte i discorsi e i conflitti che fanno l'architettura.
Il momento in cui una costruzione diventa architettura o qualcosa fatto da un architetto o che entra a far parte di un sistema è il momento in cui prende coscienza del sistema stesso. Altrimenti è, come dicevi, una costruzione. Ma il punto di partenza dell'architettura è quando la costruzione, o quel che sia – potrebbe essere un contenitore di cartone o un foglio di carta, non importa –riflette sulla propria disciplina, sui propri limiti e sulle proprie possibilità: allora diventa architettura. Con l'arte è la stessa cosa. Nel momento in cui un'opera d'arte riflette sulle sue possibilità e sui suoi limiti, diventa arte. E non c'entra nulla col fatto che sia funzionale o meno.

È anche il motivo per cui le discipline e perfino le loro denominazioni sono ancora produttive, anche se si tratta di un equivoco produttivo.
Esattamente. Occorre un inquadramento, altrimenti non si può riflettere su nulla. Non si tratta di qualcosa di assolutamente definito: nel momento in cui si introduce un nuovo elemento, questo cambia il sistema. Per poter parlare di qualcosa occorrono questi vincoli ma, nel momento in cui se ne parla, cambiano contemporaneamente anch'essi.

Sodales purus vel vero possimus temporibus venenatis

Sodales purus vel vero possimus temporibus venenatis

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram