Maurer e De Lucchi, una conversazione: il design serve per raccontare

Dietro a ogni progetto c’è la tensione tra straordinario e ordinario, tra vita quotidiana e teatro. Una conversazione tra Ingo Maurer e Michele De Lucchi sui processi di contaminazione e fecondazione che sono alla base del processo creativo. 

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1027, settembre 2018.

Michele De Lucchi: Quello che distingue l’uomo dagli altri animali è il fatto di progettare e creare oggetti sempre nuovi. Gli animali producono sempre gli stessi oggetti e, se sbagliano, ricominciano daccapo. Questa diversità è la scintilla che porta all’evoluzione.

Ingo Maurer: L’evoluzione è come un fiume in piena, è un’energia inarrestabile, che mi ha sempre affascinato.

Rendering dell’auditorium Broken Egg, a Inhotim, Brasile, un parco di 400 ha che unisce la natura e una collezione d’arte moderna e contemporanea, dagli anni Sessanta in avanti. Commissionato nel 2013 da Bernardo Paz, che per accogliere la struttura ha fatto realizzare un lago artificiale, la costruzione del padiglione si è arrestata alle fondazioni nel 2014 e non è ancora stata completata.

Non c’è modo di fermarla. Anche ora, che abbiamo un drammatico bisogno di salvare la natura, non possiamo tornare al passato, ma guardare al futuro, trovando i sistemi di produzione giusti che ci rendano consapevoli di quello che abbiamo.

Sei sempre consapevole di quello che fai o ci sono momenti – consentimi di chiedertelo – in cui non sai cosa stai facendo? O perché lo stai facendo.....

Ovviamente seguo un mio percorso, ma provo sempre a fare qualcosa che non so dove mi porterà. Se conoscessi il risultato finale, vorrebbe dire che è già stato fatto. Invece, quello che mi interessa è scoprirenuove strade.

É quello che è successo con la serie di lampade Luzy che abbiamo presentato all’ultimo Salone del Mobile: è nata in modo del tutto imprevisto. Avevo finito di lavorare con Luzy Graf nel mio team a un’installazione lunga cinque metri e ci siamo ritrovati con tutti questi guanti di gomma tinti di blu. Erano appesi ad asciugare ed è stato un attimo: i guanti sono diventati una lampada.

Lampada Luzy, presentata al Salone del Mobile di Milano 2018, Formata da un guanto blu, o nero, e da una lampadina LED smerigliata sulla punta del dito, è realizzata con plastica, metallo e lampada a bassa tensione. Foto Hagen Szech. © Ingo Maurer GmbH, Munich

É un atteggiamento da esploratori, sempre pronti a lasciarsi sorprendere.

Non amo analizzare me stesso o il mio lavoro. Vorrebbe dire smetter di fare. Troppa autoconsapevolezza finisce per diventare una prigione. Quando comincio un progetto, mi capita di avere paura. Mi dico: “Coraggio, vediamo come funziona”. Questa tensione tra bellezza e bruttezza, tra straordinario e ordinario è per me molto importante. Con Mozzkito, diversi anni fa, ho trasformato in una lampada l’infusore a pinza, quello che usiamo tutti i giorni per preparare una tazza di tè.

E' meglio trovare un'idea per caso, piuttosto che organizzare se stessi in modo razionale per raggiungere un obiettivo?

Penso di sì: io non guardo mai nel mio archivio in cerca d’ispirazione. Guardo al futuro, cerco un modo sempre nuovo di concepire la luce. Sono sempre impaziente di tornare al lavoro per fare prove, prototipi. Questa è la parte eccitante: avere un'idea e costruire un piccolo modello. Lavorare in team, poi, è una cosa che mi piace moltissimo.

Procedi sempre attraverso i prototipi?

Sì perchè mi permettono di considerare tutti gli aspetti tecnici. Quando ho un’idea nuova e la spiego al mio team, di solito mi sento rispondere: “No, Ingo, non si può fare”. L’unico ad avere una mentalità aperta è un ragazzo californiano (con me da 25 anni), che mi dice sempre: “Vai Ingo, facciamolo”. Quando tutti rifiutano di seguirmi, mi rivolgo a lui.

Questo è un aspetto che mi interessa: cosa produce una mentalità aperta e libera, e cosa invece una mentalità chiusa? È una questione culturale? Ambientale? La mentalità californiana è tipica di chi vede  la parte facile e dimentica la complessità.

Non hanno paura di sbagliare. Fare errori è una parte essenziale del processo creativo.

Ci sono due aspetti nel tuo lavoro, il progetto delle luci e quello delle installazioni ambientali.

Sono due lati del mio lavoro che convivono. Ora stiamo lavorando a un concorso per il memoriale della strage avvenuta a San Bernardino, in California, nel 2015. Non so ancora come sarà, ho in mente i cimiteri italiani pieni di monumenti, come quello di Staglieno, a Genova. Di sicuro, ci saranno movimento e tante lacrime. Sarà un’altra sfida.

Ci sono la realtà e l’illusione, la vita quotidiana e il teatro. Aspetti diversi, e necessari, che si contaminano. Contaminazione è una parola positiva o negativa per te?

Direi negativa, senz’altro. La contaminazione è vicina all’idea di morte. Penso subito all’India, alle persone che bevono acqua contaminata.

Culturalmente parlando però, può essere produttiva...

E' un termine controverso, forse dobbiamo parlare di fecondazione invece che di contaminazione. La fecondazione può creare molta energia e attività. È senz’altro la parola più forte e provocatoria che puoi scegliere per la copertina del numero. Il computer stesso, per l'influenza che ha su di noi, sta “contaminando” le nostra mente, c’impedisce di pensare.

Verissimo.

É pratico e veloce, ma quando inserisci uno schizzo nel computer, finisci per perdere la tua idea iniziale. É pura seduzione.

Guardo al futuro, cerco un modo sempre nuovo di concepire la luce. Sono sempre impaziente di tornare al lavoro per fare prove, prototipi. Questa è la parte eccitante: avere un’idea e costruire un piccolo modello

Succede la stessa cosa con un oggetto prodotto da una macchina e uno creato in modo artigianale, dove senti la presenza dell’uomo.

Sono d’accordo. Sto lavorando al progetto per un’azienda vinicola a Tsinandali in Georgia. Ho disegnato la sala da pranzo del ristorante: è una specie di caverna che mi ha subito fatto pensare ai disegni delle grotte di Lascaux. Per questo, un anno fa, sono andato a Montignac, in Francia, per vedere di persona i famosi dipinti. E lì ho conosciuto le persone che hanno realizzato le copie che sono esposte per i visitatori [ il team francese Atelier des Fac-Similés du Périgord, ndr]. Ho chiesto loro di realizzare i dipinti per il ristorante.

I tuoi progetti più ibridi?

C’è la lampada Porca Miseria!, con la quale ho sviluppato molti approcci, tutti completamente diversi tra loro. Anche la lampada La T.T. Moon è molto ibrida. Purtroppo ne esistono solo pochi esemplari perché la realizzazione tecnica è stata difficile, ma è stato un passo verso qualcosa di davvero nuovo. Rompere il flusso dell'estetica convenzionale è una delle ragioni per cui l'ho fatta. C’è, infine, il progetto del Broken Egg, un padiglione lungo 25 metri e alto 5, a Inhotim, in Brasile, che prende spunto da una mia lampada. Bernardo Paz, il committente, ha realizzato un lago artificiale dal nulla per ospitarlo. Una sera, ero appena arrivato da New York, stanchissimo. Mi ha detto: “Ingo vieni a vedere, ho costruito un lago per te”. Quando siamo arrivati sul posto, c’erano ancora i macchinari per lo scavo, era tutto così incredibile che ho cominciato a piangere. Purtroppo, i lavori si sono fermati alle fondazioni. E rimasto bloccato per anni, ma ora forse la possibilità di ultimarlo c’è.

Non so mai se quello che creo è accettato e capito o se è inefficace. Ettore Sottsass, una volta, mi ha detto: “Non so per chi progetto”. Credo che si faccia per se stessi, perché si ha qualcosa da dire, ma si ha anche bisogno di essere parte di un contesto più ampio.

Sottsass era un uomo libero, almeno all’inizio, mentre io sento la pressione di dover produrre e vendere; e queste due cose insieme sono difficili. Sono sempre riuscito a fare quello che volevo, non posso lamentarmi, ma penso che sia fondamentale adottare una prospettiva diversa. Dico a chi lavora con me di girare sempre le cose sottosopra, di provare a pensarle non solo in modo fisico, ma anche spirituale. Questa è la cosa più importante.

Ingo Maurer (1932-2019) ha lavorato come tipografo in Germania e Svizzera prima di completare gli studi in graphic design a Monaco nel 1958. Dal 1960 al 1963 è attivo a New York e San Francisco come designer freelance e, nel 1966, è di nuovo a Monaco di Baviera, dove apre il suo studio Design M, diventato poi Ingo Maurer GmbH. Tra i primi oggetti, la lampada da tavolo Bulb (1966), inserita con altri progetti nella collezione del MoMA di New York. Il suo lavoro è stato esposto nei principali musei di tutto il mondo (Stedelijk, MoMA, Centre Pompidou) e, nella sua lunga carriera è stato insignito di numerosi premi, come il Lucky Strike Designer Award (2000), il Georg Jensen Prize (2002), Royal Designer for Industry (2005), il Compasso d’Oro alla carriera (2011), e il Kulturpreis Bayern (2015). www.ingo-maurer.com

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