Domus sta lanciando un Manifesto per sostenere il design, che nella nostra prospettiva non è solo un settore dell’economia ma un modo di vedere e operare nel mondo che ha formato l’identità italiana, dal rinascimento a oggi. Cosa ne pensa?
Sostengo da sempre che il Made in Italy, e quindi anche il design, siano l’unione di qualità e bellezza. Non solo numeri che alimentano le statistiche economiche del nostro Paese, ma uno stile di vita che va difeso e protetto perché è alla base del successo dei nostri prodotti sul mercato internazionale. Ciò non vuol dire sottovalutare i numeri di un’industria con 29mila aziende in tutto il Paese, 48mila addetti e un fatturato di circa 4,3 miliardi di euro all’interno della più ampia filiera della moda, del manifatturiero di qualità e della sempre più ampia gamma del Made in Italy.
Quali sono le iniziative che il Governo attuerà per il rilancio del Made in Italy dopo la pandemia? Mi indichi le tre che ritiene prioritarie.
Il Made in Italy è stato tra le priorità del governo, insieme a quella sanitaria, fin dall’inizio della crisi. Già a fine febbraio, quando la pandemia sembrava contenibile e relegata fuori dai nostri confini nel territorio cinese, la prima risposta del governo è stata quella di sostenere un grande piano di promozione del Made in Italy. Un investimento di oltre 700 milioni di euro, realizzato in sinergia tra l’Istituto del Commercio Estero e Sace-Simest basato su tre cardini principali: il sostegno al credito per le imprese che operano sui mercati esteri, una campagna straordinaria di comunicazione a sostegno dei prodotti Made in Italy e un rafforzamento della presenza dei prodotti italiani nella grande distribuzione organizzata (GDO) sia dei mercati maturi (Stati Uniti, Germania, Giappone, ecc.) sia di mercati emergenti non interessati dall’emergenza Coronavirus. A questi primi interventi, si affiancano quelli recentemente previsti dal decreto liquidità. In particolare, è stato potenziato ulteriormente il Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese, che diviene così strumento a supporto della piccola e media impresa, a tutela di imprenditori, artigiani, autonomi e professionisti, nonché a salvaguardia dell’export e di tutti quei settori che costituiscono con le eccellenze del Made in Italy. Con l’intervento di Sace, inoltre, si forniscono garanzie al 100% – fino a 200 miliardi di euro – a tutte quelle imprese che vogliono investire nel potenziamento dei processi di internazionalizzazione e di export. Credo sia questo il percorso lungo il quale proseguire, senza trascurare gli effetti in termini di impatto reputazionale che questa crisi potrebbe generare: se il Made in Italy è qualità e bellezza, come ho già sottolineato, è alla tutela del nostro stile di vita, dei nostri valori identificativi che dobbiamo puntare per determinare la ripresa economica di cui abbiamo bisogno.
Sostengo da sempre che il Made in Italy, e quindi anche il design, siano l’unione di qualità e bellezza. Non solo numeri che alimentano le statistiche economiche del nostro Paese, ma uno stile di vita che va difeso e protetto perché è alla base del successo dei nostri prodotti sul mercato internazionale
Si parla di nuovi e inediti scenari, di nuova normalità. Come la vede? E come vede il ruolo dell’Italia in questa nuova fase?
In questi giorni, sentiamo tutti la necessità di riprendere in pieno le nostre vite, di rilanciare le attività produttive, di riaprire le città. Il governo, insieme alle regioni, agli enti locali e alle diverse cabine di regia, sta operando in questo senso e per giungere alla definizione di un piano di riapertura, orientato dalla scienza e dalla medicina e dal necessario principio di precauzione. Credo che, come successo nella fase di gestione della crisi sanitaria, l’Italia potrà rappresentare un punto di riferimento nella comunità internazionale. Siamo stati il primo Paese occidentale a essere investito dall’emergenza Coronavirus e, con il passare dei giorni e delle settimana, il nostro modello basato sul lockdown, il blocco delle attività economiche e il distanziamento sociale è stato adottato anche dagli altri Paesi europei. Siamo stati investi da una crisi economica e sanitaria che avrà anche ampi riflessi sull’assetto sociale e psicologico delle nostre società: dieci anni fa, all’indomani della recessione economica seguita allo scandalo dei mutui subprime sostenevo che ne saremmo usciti diversi. Per me diversi voleva dire migliori, non è stato, purtroppo, così. Mi auguro che ora non si generi quella dinamiche che ben ha descritto Papa Francesco quando, pochi giorni fa, ha parlato di crisi dell’egoismo indifferente. Dobbiamo avere la forza di ricostruire il mondo, e il nostro Paese, senza lasciare nessuno indietro.
Il nostro debito pubblico si aggraverà raggiungendo livelli da ricostruzione e mettendo in crisi gli equilibri dell’euro. Riusciremo a rimanere in Europa? E quale contributo potremo dare?
Non è assolutamente in dubbio la nostra permanenza in Europa. Come hanno detto prima di me autorevoli economisti, tra cui l’ex presidente della Bce Mario Draghi, l’unica risposta plausibile a questa crisi è l’aumento del debito pubblico. E questa risposta sarà tanto più efficace, quanto più reagiremo e agiremo in fretta. Per questo, sono incomprensibili le responsabilità di alcuni Stati, mentre la Commissione sta facendo delle scelte positive. Le armi usate finora, fino alla crisi del 2008, sono armi spuntate, perché siamo di fronte a un’emergenza inedita per confini e portata. Credo che il contributo che il nostro Paese sta dando, insieme agli altri otto che con noi sostengono l’esigenza dei Coronabond, è quella di riporre al centro del dibattito europeo l’origine sociale e non solo economica dell’Unione di cui siamo membri e orgogliosi fondatori.
