Il design custode dell’appagamento

Ispirata dall’antica mitologia giapponese, Kazuko Koike vede il design come “una sorta di performance” che illumina il mondo.  

Io sono un’amante dei verbi. Penso che l’essenza dell’uomo si trovi nell’azione, compresa l’immobilità che non è altro che una sua forma. Pertanto, si potrebbe dire che i verbi incarnano la natura umana stessa. Molto probabilmente, mi trovo a fare questa riflessione poiché, mentre scrivo, sono in autoisolamento per il Covid-19.

Un numero infinito di verbi scandisce la nostra giornata, dal momento in cui ci svegliamo la mattina a quando andiamo a letto la sera: aprire gli occhi, alzarsi e, per prima cosa, bere un bicchiere d’acqua. Sono tutti verbi che indicano azioni quotidiane e ognuno di essi è legato a un oggetto.

Da che cosa ci siamo alzati? Dove abbiamo dormito? Nell’edificio che chiamiamo casa o in una stanza? In un letto o su un futon? L’acqua l’abbiamo bevuta da un bicchiere. Se incominciassimo a elencare tutte le nostre azioni, ci renderemmo conto che il verbo è in realtà la madre di tutti gli oggetti. Inoltre, potremmo dire che il design contribuisce alla nascita di un oggetto e lo rende più piacevole a noi umani.

Cos’è il design? Questa è la domanda ricorrente posta in tutto il mondo dai media o dai progetti. È stata centrale in un workshop in cui sono stata coinvolta nel 2019 all’Atelier Muji, in occasione dell’inaugurazione del negozio di Ginza. Le risposte alla domanda su cosa fosse il design rivolta a 103 persone erano state raccolte ed esposte in galleria creando un mare di parole fluttuanti.

Eccone alcune, incluse quelle di alcuni dei miei amici più stretti. Il design è: “Sia non design sia design” (Ishan Kohsla, artista visivo, designer); “Ridefinire una relazione tra forme e significati” (Taro Igarashi, critico dell’architettura); “Il design penetra profondamente nella nostra mente” (Mika Kuraya, direttore del Yokohama Museum of Art); “Tutto ciò che riusciamo a immaginare” (Konstantin Grcic, designer); “Aiutare l’utente” (Reiko Sudo, designer di tessuti); “Come l’acqua” (Kenya Hara, designer); “Nell’integrità delle cose” (Naoto Fukasawa, product designer).

Il design contribuisce alla nascita di un oggetto e lo rende più piacevole a noi umani

La mia risposta è stata: “Il design è Ame-no-Uzume, lo spirito che nell’antica mitologia giapponese illumina il mondo”. Penso all’episodio in cui, mentre le miko (giovani donne al servizio di altari e templi shintoisti) danzano e cantano per fare apparire la Dea del Sole, l’ingresso della grotta (iwato), dove secondo la leggenda lo spirito si è nascosto, si libera dalla roccia che la ostruisce facendo uscire la luce. Nella mia risposta il design è una sorta di performance che porta la luce nel mondo.

Il rapporto tra verbi e oggetti è anche il tema cardine di un progetto a cui sto lavorando. Si tratta di un libro commemorativo per il quarantesimo anniversario di Muji. Non l’ho strutturato come una tradizionale rassegna di oggetti, l’ho diviso in capitoli, dove ogni titolo è un verbo. Anche i concept dei prodotti s’identificano, quindi, con una serie di verbi. Muji non è un’azienda nata per produrre oggetti di design, ma piuttosto per soddisfare le necessità quotidiane delle persone comuni. Per raggiungere questo obiettivo, senza ovviamente arrecare danni all’ambiente, Muji ha stabilito tre punti fermi nello sviluppo del prodotto: selezione dei materiali; razionalizzazione dei processi di produzione; e semplificazione degli imballaggi. In questo modo, è diventata l’antitesi del mercato, guidato dalla bolla economica.

Tra i verbi scelti per l’organizzazione del volume c’è ‘Omettere’. Questo capitolo presenta le camicie prelavate e stropicciate. Per godere al meglio la consistenza del cotone attentamente selezionato, sono state omesse due azioni: inamidare e stirare.

Poi c’è ‘Domandare’. Questo capitolo include i calzini ricavati da filati tessili di scarto. Mescolando i colori e intrecciando i fili, si creano texture e motivi in modo del tutto casuale. Questi fili di cotone avanzato trasformati in un calzino chiedono: “È giusto buttare via tutto questo?”.

Un altro capitolo s’intitola ‘Rannicchiarsi’ e illustra la continua ricerca ergonomica sulle cinghie degli zaini che ha portato a realizzare tanti prototipi per gravare il meno possibile sulle spalle. Qui si tratta di mettersi al servizio delle persone e dare vita a un prodotto che si rannicchia sul corpo dell’uomo. Da questa ricerca sui possibili verbi legati alla realizzazione degli oggetti è scaturita una riflessione: le persone sono felici se riescono a provare un senso di appagamento in un senso o nell’altro, quello di chi crea l’oggetto e quello chi lo utilizza. Il punto fondamentale è capire quale oggetto ci dia un senso di appagamento.

Il disegno pubblicato in queste pagine rappresenta la vita dei civili nel Giappone del XVII secolo. Guardando la raffigurazione di due genitori che si godono il fresco della sera con il figlioletto, vedo un’estrema soddisfazione. Non sono presenti brama di possesso, restrizioni sociali, convenzioni o pregiudizi.

A chi mi chiede cosa sia il design, mi piacerebbe rispondere: “Il custode del senso di appagamento”.

Kazuko Koike (Tokyo), dopo la laurea in Letteratura presso la Waseda University, nel 1983 ha fondato Sagacho Exhibit Space, di cui è stata curatorial director fino al 2000. Tra le sue pubblicazioni c’è il volume Where Did Issey Come From? The Work Of Issey Miyake (HeHe, 2017). È stata premiata con l’Avon Award of Merit (2017) e il Japan Media Arts Festival Special Achievement Award (2019). Koike fa parte dell’advisory board di Muji ed è professore emerito alla Musashino Art University.

Immagine di apertura: Kusumi Morikage, dipinto del periodo Edo, XVII secolo, inchiostro e colore su carta, Tokyo National Museum. Fonte: ColBase (colbase.nich.go.jp)

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