Le potenzialità delle città dense spiegate da Juan Alayo, l’architetto del “miracolo Bilbao”

Le città del mondo si stanno espandendo verso le periferie riducendo la loro densità. Ma per l’architetto spagnolo le città di cui abbiamo bisogno sono completamente diverse.

Andrea Bertuzzi: Stiamo costruendo le città nel modo giusto?
Juan Alayo: Per stabilirlo dobbiamo porci tre domande fondamentali: a cosa servono le città? Quanto funzionano bene? E a quale costo? Sebbene le città svolgano molte funzioni, quella essenziale, a mio avviso, è fornire ai cittadini un buon accesso ai servizi primari (istruzione, salute, lavoro, shopping, tempo libero, cultura...). Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di densità abitativa e di un buon mix di servizi. Ma la maggior parte delle aree urbane del mondo si sta estendendo, con sviluppi abitativi a bassa densità, lontani da altri usi, ovvero urbanizzando un sacco di terra, ma senza creare ambienti a misura di cittadino. Come funzionano queste nuove aree? Non bene. Con una minore accessibilità, le persone devono viaggiare di più per compiere le attività quotidiane. Ciò significa quindi che le famiglie devono spendere più soldi e tempo per la mobilità e, come dimostrano gli studi, le società con densità inferiori sono meno produttive dal punto di vista economico. Infine, i costi. Una minore densità richiede più risorse, più energia (per la mobilità e gli edifici) e molte più infrastrutture pro capite. Al punto che molte città non hanno risorse per mantenere le infrastrutture costruite di recente. La risposta è quindi negativa. Le nuove aree urbane costano di più e funzionano peggio.

Il modo in cui le città vengono progettate oggi è una conseguenza diretta della crescita demografica?
No, non credo. Guardando al passato, molte città spagnole, e altre in Europa, hanno pianificato una crescita massiccia nel corso del XIX secolo. Basti pensare a Barcellona, uno dei migliori esempi di espansione di una città. Le nuove aree pianificate erano enormi rispetto alle esistenti e potevano ospitare molta più popolazione del richiesto. Non sono state costruite in una sola volta, ci sono voluti molti decenni, ma sono state pianificate come “ambienti urbani”, con densità abitativa e altri servizi. Oggi, invece, la maggior parte della crescita urbana non è realmente “pianificata” nel senso in cui è stato pianificato l’“Eixample” di Barcellona. La maggior parte dei Paesi ha sviluppato norme e piani regolatori con criteri che non consentono di replicare le parti della città considerate migliori dai cittadini; quindi si identificano “aree per lo sviluppo” e gli sviluppatori producono “stock abitativo” (o occasionalmente altri servizi) in linea con le norme di pianificazione. Purtroppo, mi sembra che abbiamo perso di vista cosa significhi costruire città con una visione, città che siano davvero vivaci.

Barcellona, per Alayo “uno dei migliori esempi di espansione di una città”.

Può spiegare perché, secondo lei, le città vincenti sono quelle più dense? Quali sono gli aspetti positivi di questo approccio dal punto di vista dell’economia, dell’ambiente e della vita dei cittadini?
Gli studi dimostrano che la densità aumenta la produttività complessiva dei fattori; le città più dense fanno un uso più efficiente delle costose infrastrutture pubbliche (che i centri a bassa densità difficilmente possono permettersi); richiedono meno energia per funzionare e meno materiali per essere costruite, e i residenti devono spendere molto meno tempo e denaro per spostarsi e fare ciò di cui hanno bisogno. Siamo animali sociali che prosperano interagendo con gli altri. La densità rende tutto molto più facile. Detto questo, non sono sicuro che sia corretto parlare di “città vincenti”. Nonostante le narrative mainstream che oggi difendono questo postulato (la città compatta, la città in 15 minuti, la città circolare...), è difficile trovare dei parametri concreti. Città più dense? Sì, ma quanto? Uso misto? Sì, ma in quali proporzioni? Nel frattempo, se si analizzano i criteri di pianificazione, l’ideale della città densa e compatta è semplicemente proibito ovunque. Dobbiamo tradurre i “buoni auspici” in parametri reali.

In città come Milano, i prezzi delle case in centro raggiungono i 10.000 euro al metro quadro. L’espansione in periferia è stata anche una necessità economica...
Molte città europee hanno un’area centrale ad alta densità che ospita anche un numero significativo di servizi e attività non residenziali. Le abitazioni in queste aree sono costose, ma le persone non pagano di più per la densità in sé, bensì per l’attrattiva di avere tutti quei servizi e quelle opportunità a portata di mano (come dicono gli agenti immobiliari: location, location, location). E pagano di più anche perché queste zone sono poche. In Italia, meno del 5% della popolazione vive in aree occupate da oltre 15.000 abitanti per km2, che per me è il limite inferiore rispetto a una corretta densità urbana. Ma più del 50% vive in aree con densità inferiori a 2.500 persone/km 2 (tipica densità suburbana). La domanda allora è: se le persone sono disposte a pagare per vivere in aree che offrono un buon accesso ai servizi, perché non abbiamo esteso le nostre città seguendo uno schema simile per densità e mix di usi? Perché abbiamo scelto di estendere le nostre città a bassa densità con una separazione fisica degli usi del suolo, utilizzando molta più terra e molte più infrastrutture pro capite? Non perché fosse più economico. Probabilmente perché era più facile che costruire le città come sistemi integrati e complessi quali sono. 

Come ci si muove in una città densa? Come cambia il sistema di trasporto?
Se analizziamo una serie di densità all’interno delle città o delle aree urbane, scopriremo che, all’estremità più alta dello spettro, il principale mezzo di trasporto è costituito dalle nostre gambe, mentre all’estremità a bassa densità l’automobile la fa da padrona. A Barcellona quasi il 50% di tutti gli spostamenti avviene a piedi, mentre in luoghi come Houston oltre il 90% si compie in auto. Se considerassimo il trasporto pubblico, troveremmo anche una correlazione positiva con la densità. Le città più dense rendono infatti il trasporto pubblico più attrattivo e redditizio, mentre le aree a bassa densità non possono essere servite in modo efficiente dai mezzi pubblici. La ragione principale di queste statistiche è che la stragrande maggioranza degli spostamenti (oltre l’80%) inizia o termina a casa. Quindi, se la “casa” non ha strutture o servizi nel raggio di poche centinaia di metri, siamo costretti a viaggiare di più, limitando di gran lunga gli spostamenti a piedi. È importante notare che la mobilità è una conseguenza della forma urbana. Se una città deve affrontare problemi di mobilità, la causa principale sarà molto probabilmente la forma urbana che ha generato.

Il museo Guggenheim di Bilbao, simbolo della rigenerazione urbana della città.

Perché si parla di “Miracolo Bilbao”?
Vorrei suggerire tre ragioni per cui la trasformazione di Bilbao ha generato così tante lodi e ammirazione. In primo luogo, perché c’è della sostanza dietro questa storia: si tratta di uno degli esempi più impressionanti di rigenerazione urbana al mondo, con un’enorme quantità di investimenti e un miglioramento molto evidente. Poi, perché è un intervento molto bello esteticamente (basti ricordare le immagini del Guggenheim), il che lo rende attraente per le pubblicazioni, con frequenti articoli su riviste patinate e supplementi di quotidiani. E infine, perché l’intero racconto della trasformazione di Bilbao racchiude una storia a cui la maggior parte delle persone si riferisce: una città distrutta, messa in ginocchio dalla crisi industriale, dal terrorismo e dalle inondazioni, che si rimette in piedi attraverso una straordinaria trasformazione, con lo spettacolare Museo Guggenheim che porta gente da tutto il mondo. È l’Araba Fenice che rinasce dalle sue ceneri, lo sfavorito che vince inaspettatamente... storie che toccano il cuore. E non dimentichiamo che, prima della trasformazione, sotto tutto quel grigiume e quell’inquinamento, Bilbao era già una città meravigliosamente compatta e vivibile, con una buona densità, molti servizi e ottimi negozi e ristoranti. La rigenerazione ha contribuito a far emergere tutto ciò.

Può spiegare come è avvenuta la rigenerazione di questa città? È un modello replicabile?
Credo che ci siano cinque passaggi cruciali:
• La difficoltà come punto di partenza. Bilbao ha subito diverse crisi consecutive a livello amministrativo che, fortunatamente, hanno generato la volontà di cambiare. Le crisi sono spesso chiamate opportunità, ma la maggior parte di esse vengono sprecate perché non generano la convinzione di cambiare.
• Un piano strategico condiviso. Un buon piano è essenziale per un processo di questo tipo, ma senza un ampio e duraturo consenso, sociale e politico, non sarebbe stato possibile.
• Investimenti sostenuti e sostanziali. In un periodo di 20-25 anni l’area metropolitana ha previsto investimenti pubblici in infrastrutture pari a circa il 30% del PIL, da parte di tutti i livelli di governo. Raramente le città hanno accesso a questa mole di capitale, hanno bisogno del sostegno di amministrazioni di livello superiore.
• Nuovi strumenti per gestire la trasformazione urbana. Interventi eccezionali richiedono strumenti ad hoc, come Bilbao RIA 2000, la società di rigenerazione urbana che ha creato e gestito progetti per un valore di circa 1,3 miliardi di euro con meccanismi innovativi di funding.
• E infine, una buona dose di fortuna: il Museo Guggenheim. Il pensiero alla base dell’iniziativa era valido, con un serio business case, ma l’impatto è stato al di là di ogni immaginazione. È replicabile? La maggior parte del processo sì, ma la “fortuna” del Guggenheim è probabilmente unica.

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