Sara Marini, Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto, Quodlibet, Macerata 2010 (pp. 204, 17.00 euro)
Se parlassimo di personalità, potremmo chiamarle affinità elettive: corrispondenze difficili da definire logicamente che fanno risuonare nella voce di uno il senso dell'altro, e viceversa. Un'emotività condivisa o un ventaglio di suggestioni che accomuna alcuni spiriti, determinate persone. Ma qui parliamo di due libri, le cui affinità sono legate anche alla difficoltà di posizionamento in ambito disciplinare: due testi che sfuggono a una definizione precisa – suscitando nel lettore una curiosa fascinazione – sia per il metodo d'indagine sia per la natura del soggetto trattato. Il primo, quello di Sara Marini, Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto, è costruito come un potente collage intorno al tema dei luoghi rifiutati, marginali, abbandonati che attraversano, sfiorano e alimentano i territori contemporanei: invenzione di una scienza cartografica composta per racconti e preposta a rilevare disagi e fantasie della nostra civiltà.
Sara Marini ritorna a trattare un tema che esplora ormai da diversi anni con esiti decisamente positivi. Il suo "qui e ora" riguarda un soggetto difficilmente arginabile e tendenzialmente sfuggente poiché residuale, parassitario, elusivo e imprevisto. Lo scarto appartiene al sistema dei vuoti, delle omissioni, è un rimosso dal reale che rivendica una propria fisicità: un fantasma che parla attraverso le voci, perfettamente accordate all'interno del libro, di molti filosofi, architetti, intellettuali, critici e artisti.
