Scott Bollens è ormai un'autorità in fatto di città divise: dopo oltre 17 anni di ricerca sul campo, più di 250 interviste condotte in 9 diverse città attraversate da conflitti e fratture, diversi articoli e monografie sul tema, ha deciso di riunire il lavoro fin qui fatto e di restituircelo attraverso questo libro.
Sin dall'inizio, però, ci si accorge di essere alle prese con qualcosa di diverso da una raccolta di articoli accademici o di studi di caso, perche Bollens introduce il libro chiarendo subito che non si tratta soltanto di un viaggio attraverso le nove città divise, né soltanto attraverso le sue accurate analisi e interpretazioni, ma che il lettore si troverà faccia a faccia con le emozioni e le sensazioni di chi si trova a vivere o a fare ricerca in contesti di conflitto e divisione.
L'autore si mette in primo piano sia come etnografo sia come essere umano che attraversa storie e paesaggi segnati da grande sofferenza e da un conflitto che lascia le sue tracce sia sullo spazio sia sulle anime, delle persone e delle città stesse.
L'anima del titolo è quel livello della vita urbana formata dalle storie, le memorie, quelle che Bollens chiama le narrazioni epiche culturali (epic cultural narratives), e che definiscono valori collettivi nazionalistici e costituiscono il bagaglio culturale dei diversi gruppi che abitano la città. In situazioni di conflitto come quelle studiate dall'autore, questa anima collettiva si porta dietro un trauma attraverso la costruzione della memoria e dell'identità e si crea un forte legame tra questo trauma e lo spazio fisico che ne porta i segni.
Bollens affronta gli aspetti storici, teorici e concreti delle divisioni urbane, ma mette anche in risalto la continua sfida rappresentata dal governare e vivere quotidianamente in città frammentate e politicamente instabili.
La seconda parte raccoglie invece gli studi di caso delle nove città: Gerusalemme, Belfast, Johannesburg, Nicosia, Sarajevo, Mostar, Paesi Baschi, Barcellona e Beirut. Lo spazio dato ai singoli casi non è uniforme, così come l'approfondimento delle diverse situazioni che privilegia Sarajevo e Beirut mentre è meno ricco nei casi di Nicosia e Mostar.
I due capitoli della parte finale hanno un taglio più chiaramente accademico, e intendono sintetizzare il lavoro di comparazione delle città e sottolineare l'importanza dei contesti urbani nei più ampi processi, nazionali o regionali, di risoluzione del conflitto. Inoltre, il libro contiene anche un'analisi di opzioni e strumenti utili a policy maker e decisori interessati a promuovere tolleranza interetnica e soluzioni alternative alla separazione fisica e ideologica di gruppi in conflitto.
Lo stile narrativo mescola analisi accademica e giornalismo investigativo, mettendo sempre in evidenza la soggettività dell'autore nell'esperienza etnografica e nell'interpretazione delle situazioni, uno stile che viene definito come auto-etnografia. Bollens sottolinea che il pubblico a cui si rivolge è composto da accademici, specialisti che si occupano di pianificazione urbana e governance, ma anche da una più ampia gamma di lettori interessati a capire meglio i processi di costruzione del consenso e del vivere collettivo. L'aspetto innovativo dell'approccio di Bollens a questo tipo di tematiche è dato dalla sua capacità di unire l'analisi politica e sociale del conflitto con un'attenzione sempre presente agli aspetti concreti, fisici della configurazione urbana. L'urbanismo e gli urbanisti sono chiamati in causa come importanti attori che possono contribuire al miglioramento o al peggioramento del vivere comune in città multietniche.
il ruolo dell'urbanista, secondo Bollens, è quello di anticipare e preparare il futuro delle "comunità urbane", avendo ben chiaro che gli interventi urbanistici possono aiutare o al contrario intralciare le relazioni tra i diversi gruppi
