L'architettura può davvero cambiare il mondo o in realtà è solo uno strumento dei ricchi e dei potenti per imprimere permanentemente il segno della loro ricchezza e del loro potere nella memoria dell'umanità? È la grande domanda sottesa al libro Testify! The Consequences of Architecture, presentato in occasione di una mostra al Nederlands Architectuur-instituut (NAi) di Rotterdam.
Il critico berlinese Lukas Feireiss ha riunito 25 progetti di tutto il mondo dedicati a trasformare ex novo il loro contesto. Un museo in Giappone, un palazzo d'appartamenti a basso prezzo a Città del Messico, delle scuole in Sudafrica, in Afghanistan e in Cina, delle biblioteche in Mali, in Germania e in Tailandia. Questi progetti spesso sono collegati a contributi per lo sviluppo e quasi tutti richiedono la collaborazione di partner locali, popolazione e gruppi d'iniziativa.
L'Ahmed Baba Center di Timbuctu, progettato dallo studio sudafricano DHK Architects, è un caso esemplare. Conserva manoscritti storici arabi a partire dal XII secolo, testimonianza della storia intellettuale africana, che trattano di medicina, astronomia, teologia e giurisprudenza. L'edificio, costruito in collaborazione con artigiani locali, è stato in gran parte realizzato con mattoni d'argilla; l'organizzazione degli interni si fonda sull'urbanistica tradizionale di Timbuctu: percorsi interni ombrosi garantiscono il condizionamento naturale degli ambienti e anche il magazzino sotterraneo degli insostituibili manoscritti è mantenuto fresco, per quanto possibile, con mezzi naturali. L'idea è che l'Ahmed Baba Center diventi un attivo luogo d'incontro e di comunicazione, nonché un centro di formazione profondamente radicato nella storia locale.
Feireiss parla anche del progetto d'arte Inujima dello studio giapponese Hiroshi Sambuichi Architects. In un'isola giapponese, sull'area di un'ex impianto metallurgico, è stato costruito un museo la cui realizzazione non ha richiesto nessun carburante fossile. Il progetto prevedeva la costruzione dell'edificio esclusivamente con materiali locali e con i resti dell'impianto metallurgico. Per di più la gestione quotidiana dell'edificio è stata concepita in modo da non utilizzare energia che non possa essere prodotta autonomamente. Infine anche i contenuti sono ecologici: il museo educa i visitatori a reciproci rapporti rispettosi dell'ambiente.
Un'altra qualità del libro è che la prospettiva, di solito così centrata sugli edifici, è integrata dall'attenzione per le persone. Agli inquilini, agli utenti, ai vicini, ai committenti e ad altre figure coinvolte nel progetto viene permesso di far sentire la loro voce, cosa che molto raramente è consentita agli architetti. In brevi interviste il libro analizza l'evoluzione dei progetti dopo il loro compimento e la misura in cui sono stati in grado di soddisfare i requisiti sociali, politici, economici e culturali dei loro obiettivi. Al centro dell'attenzione qui non c'è la qualità estetico-spaziale dell'architettura, ma la prova che essa dà di sé giorno per giorno.
"A quanto pare gli architetti in generale imparano pericolosamente poco dai loro edifici", commenta Feireiss nella prefazione. "La maggior parte degli architetti non ritorna mai sugli edifici che ha progettato una volta che sono stati costruiti, e quindi sa molto poco della loro vita successiva. Scoprire che cosa accade realmente dopo che un edificio è compiuto, pare non interessi a nessuno." Una critica d'architettura degna di questo nome deve perciò occuparsi proprio di questo: degli edifici non bisogna parlare il giorno dell'inaugurazione, quando sono vuoti e privi di segni dell'uso, scintillanti al sole; è meglio discuterne un anno dopo, quando utenti e visitatori possono essere intervistati su come hanno concretamente funzionato i concetti spaziali e su come l'edificio è stato capace di cambiare ciò che gli sta intorno.
Al centro dell'attenzione qui non c'è la qualità estetico-spaziale dell'architettura, ma la prova che essa dà di sé giorno per giorno.
"Questi progetti", scrive Feireiss, "sono tutti collegati da una generale attenzione per i rapporti complessi tra contesto e intervento spaziale, e da una profonda conoscenza del potere di cambiamento dell'architettura nel tempo". Se quindi presumiamo che l'architettura determini il modo in cui viviamo insieme e sia in grado di cambiare il modo in cui lo facciamo, dobbiamo anche chiederci se l'architettura debba limitarsi soltanto agli edifici. Oppure esistono imprese architettoniche che affrontano i loro obiettivi con una strategia che si permette di chiedersi se, per raggiungere tali obiettivi, sia davvero necessaria una costruzione? Ai bisogni di una comunità spesso si risponde in maniera molto più duratura attraverso un cambiamento politico, sociale, giuridico o culturale che non attraverso un edificio.
Di conseguenza l'insieme presentato in Testify! è suggestivo quanto colorito e audace. I lettori sono invitati a far di più che limitarsi a ripensare le loro opinioni su che cosa potrebbe e dovrebbe proporsi l'architettura; si chiede loro anche di pensare ai mezzi di cui l'architettura potrebbe servirsi. In ogni caso ritornare agli edifici per intervistare chi ci vive è un punto di vista estremamente interessante. Non sono solo gli architetti a poter imparare molto da questo atteggiamento.
