Un manuale di Studio-X NY per liberare nuove forme di dialogo

La documentazione di un originale spazio per laboratori, manifestazioni e mostre serve da manuale fai-da-te per l'allestimento di altri spazi aperti.

The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation. Gavin Browning, ed. GSAPP Books, 2011. (21 x 14 cm, 192 pp. PB, US $15)

Studio-X è un avamposto polifunzionale della Graduate School of Architecture, Planning and Preservation School (GSAPP), la scuola di perfezionamento in Architettura, Urbanistica e Tutela dei beni culturali della Columbia University, situato nella parte meridionale di Manhattan. Di volta in volta laboratorio per gruppi di ricerca della GSAPP (tra cui C-Lab, Netlab, Living Architecture Lab e Urban Landscape Lab), spazio espositivo e sede di manifestazioni, Studio-X per l'elasticità del programma è un luogo quanto mai imprevedibile, in cui gli intellettuali dell'architettura e dell'urbanistica entrano in contatto con il pubblico degli appassionati. Studio-X, che sta attualmente esportando il suo modello in altre città di tutto il mondo in cui la GSAPP è presente, tra cui Rio de Janeiro, Pechino e Amman, ha la sua prima pubblicazione in The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation. José Esparza ha intervistato Gavin Browning, curatore dell'opera ed ex responsabile della programmazione di Studio-X NY, insieme con Glen Cummings e Aliza Dzik dello studio di design newyorchese MTWTF, che del libro ha curato il progetto grafico.

Domus: C'è da tre anni, e ancora l'idea di Studio-X è fonte di confusione per molti (e anche per alcuni distratti allievi della GSAPP, la scuola di perfezionamento in Architettura, Urbanistica e Tutela dei beni culturali della Columbia University)… Ci può dire qualcosa di più su che cosa ha voluto dire rivolgersi da uno spazio del centro della città a un'università periferica?
Gavin Browning: Alla presentazione del libro, allo Storefront for Art and Architecture, Mark Wigley ha detto che si tratta di uno "Studio" perché è una stanza vuota, e che è una X perché non si sa minimamente che cosa vi succederà. Sta aprendo una serie di queste stanze vuote in giro per il mondo, ed è molto interessante.

In termini di attività ho pensato che, dato che si tratta di uno spazio di lavoro, non fosse necessario pretendere che fosse uno spazio assolutamente consacrato alle manifestazioni. Non ho mai tentato di nascondere la diversità o la commistione delle destinazioni d'uso e, in realtà The Studio-X NY Guide è un inno a questo aspetto in quanto, in qualche modo, portatore di novità. Volevo proprio che il programma delle serate dello Studio-X NY fosse un'occasione per elaborare e trattare le idee allo stesso modo in cui si affrontavano i progetti di ricerca durante il giorno. Penso che il carattere non ufficiale dello spazio (non è un auditorium o un'aula scolastica, come indicano i progetti in corso di elaborazione appesi alle pareti e le persone che lavorano sullo sfondo) mettesse le persone a proprio agio anche nel mettere in comune le idee che stavano elaborando. Non dico che questo fuori dal centro città non accada. Ma una lezione tenuta nell'Aula Wood della Columbia University è di fatto qualcosa di più ufficiale semplicemente perché ha luogo dietro un podio, in un auditorium, all'università. E naturalmente perché è una lezione.

<i>The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation</i>
The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation

Questo libro è pensato per documentare un biennio fittamente occupato da un programma di manifestazioni dinamico e stimolante, su temi che andavano dall'architetture e dall'urbanistica in senso stretto ai discorsi sull'alimentazione, ai dibattiti sull'editoria. Come primo direttore qual è stata la sua esperienza di lavoro in uno spazio così elastico?
GB: Bella domanda davvero! Ma, ripensando agli inizi, ricordo di averla considerata una cosa terribile. Come avrebbe fatto uno spazio anonimo, non conosciuto, al 16° piano di un palazzo per uffici di Soho, a diventare un luogo di riunione frequentato? E che cosa si poteva fare? Si doveva allestire una struttura adatta a ospitare le manifestazioni oppure si dovevano ospitare manifestazioni adatte a giustificare una certa organizzazione delle infrastrutture? Ho deciso di limitarmi a iniziare a fare qualcosa. Ho invitato chi lavorava al numero 180 di Varick Street a presentare le sue opere e ho invitato abitanti del 180 di Varick Street a fare da pubblico. Dato che si trattava di una manifestazione locale l'ho battezzata "Sorveglianza di quartiere". Questo interesse nell'esplorazione locale è rimasto nell'intero il programma. Ma c'erano ancora un sacco di domande. Di che cosa bisognava parlare e in che modo? Poteva essere uno spazio da performance? Poteva essere una galleria? E allora ho parlato con parecchie persone. Felicity Scott suggerì di far tesoro dell'assenza di un calendario di eventi stampato, sottolineando che lo spazio poteva ospitare manifestazioni estemporanee. Ho istituito "Risposta rapida", un forum per discutere di manifestazioni attuali una volta al mese, e la capacità di essere rapidi (con il carattere informale che questa rapidità implica) è diventata un'altra caratteristica dello spazio. Ho anche invitato alcune persone a rispondere alle condizioni dello spazio. Daniel Perlin ha presentato re:construction. Ha posto la domanda: "Qual è il suono degli edifici?" e con legno, martello, chiodi, microfoni e un computer portatile ha costruito una casa che racchiudeva il suono della sua stessa costruzione. Mi sono reso conto che un programma per il pubblico che sperimentava e lavorava sulle idee era anche un luogo di dibattito dove sperimentare e lavorare sull'idea di che cosa poteva essere Studio-X. Sì, poteva essere uno spazio da performance, e anche una galleria. E così nel tempo si sono costruite un'identità e un'infrastruttura.

The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation

In certo qual modo The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation è il riflesso di questa elasticità, perché si presenta come un manuale fai-da-te per allestire e gestire uno spazio per manifestazioni piuttosto che come una raccolta di saggi o come un annuario. È un'idea che già avevate in mente? Oppure in che modo è nata la scelta di questa strada?
MTWTF: A un certo momento, nel corso della seconda o della terza stesura, abbiamo deciso di orientare il libro in termini di valore d'uso. Ci siamo chiesti: "Può davvero il lettore servirsi di questi capitoli per fare qualcosa?" Uno dei risultati di questa idea sono i diagrammi del quinto capitolo: Stage. Benché i diagrammi documentino eventi trascorsi, hanno anche costituito un indice dei modi di sistemare un ambiente.

Mi sono reso conto che un programma per il pubblico che sperimentava e lavorava sulle idee era anche un luogo di dibattito dove sperimentare e lavorare sull’idea di che cosa poteva essere Studio-X. Sì, poteva essere uno spazio da performance, e anche una galleria. E così nel tempo si sono costruite un’identità e un’infrastruttura.
The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation

GB: Come dicono Glen e Aliza si è decisamente voluto che fosse una cosa utile. Mark Wigley e Craig Buckley ci hanno sfidato a bella posta a tuffarci negli archivi e a scovarvi gli insegnamenti comunicabili. È stata la vera molla del progetto, che è diventato più forte con il tempo e con le critiche fino a diventare, dall'annuario che era, il manuale che è oggi. Gli insegnamenti che abbiamo scoperto nascono da Studio-X NY, ma possono essere adoperati da chiunque e dovunque. Il manuale è suddiviso in sezioni differenti, come Stage ("Palcoscenico"), che indica i differenti modi in cui lo spazio può essere organizzato, e Locate ("Collocazione"), che affronta lo spazio da vicino in un modo che intende ricordare Powers of Ten ["Potenze di 10", il cortometraggio di Charles e Ray Eames, 1968], e che è un preciso inquadramento dello spazio di New York e del 180 di Varick Street in particolare.
Quanto all'elasticità di Studio-X NY, c'è una fortissima riluttanza da parte di chi sta in quello spazio a compiere gesti determinanti. Per esempio nel 2009 sono stati fabbricati un armadio e uno scaffale di compensato per rispondere alle esigenze di spazio di conservazione e di piani di lavoro. Ancor oggi il legno resta grezzo. Se fosse stato verniciato oppure tinto non sarebbe stato adattabile come è da grezzo: una superficie buona per qualunque significato le si possa assegnare al momento. Credo che questa riluttanza ad attribuire significati fissi sia stupenda. È ciò che permette a Studio-X NY di essere così aperto e di accogliere contemporaneamente tante persone e tanti usi differenti.
Invece The Studio-X NY Guide dà sostanza materiale alle idee. Sottolineando l'importanza dei mobili di legno grezzo, afferma che Studio-X NY non è più una tabula rasa: è stato messo alla prova, gli insegnamenti sono stati compresi, e queste sono le realizzazioni migliori. Comunque in realtà il dibattito è sempre aperto. Chi ora gestirà lo spazio può lasciar perdere queste indicazioni e, nello spirito di Studio-X, inventarne di nuove.

The Studio-X NY Guide to Liberating New Forms of Conversation

Se non era una cosa prevista, come avete fatto a recuperare le informazioni per realizzare una ricostruzione tanto meticolosa delle manifestazioni che avete ospitato? E qual è la ragione di questo bisogno di documentare tutto con tanta precisione?
GB: Non era una cosa prevista. Ma per fortuna ogni manifestazione era stata fotografata e per la maggior parte gli eventi, in un modo o nell'altro, erano stati registrati (a parte quelli definiti Free Speech Zone – "area di libero intervento"), di cui non c'era documentazione. Così tra immagini, registrazioni, posta elettronica e pubblicazioni varie avevo un sacco di materiale su cui lavorare. Quando mi veniva a mancare la documentazione intervistavo i partecipanti o chiedevo loro di scrivere della loro esperienza. Sukhdev Sandhu ha scritto un saggio speculativo sul ruolo delle finestre, delle stelle e del panorama urbano che facevano da sfondo a Studio-X NY quando nel 2008 presentò Night Haunts, al buio, insieme con il compositore Andrew Ingkavet. Wayne Congar e Troy Therrien hanno contribuito con un diagramma visto dal basso di Studio-X NY così come era organizzato durante la conversazione sul loro concorso del 2009 Imagining Recovery. E così, oltre a frugare negli archivi, il libro è stato l'occasione di commissionare nuovi lavori.
Le configurazioni di Stage sono state ricreate a memoria o osservando delle foto. Le ho buttate giù mentre viaggiavo in metropolitana, poi ho passato dei rozzi diagrammi con nomi, date, punti e frecce a MTWTF. Hanno fatto un gran bel lavoro traducendo queste informazioni in un linguaggio visivo chiaro e coerente. Abbiamo aggiunto le date di ciascuna di queste sistemazioni, che potrebbero essere inquadrate dall'Index alla fine, dalla sezione Enter all'inizio e da una serie di citazioni bizzarre che qua e là danno colore al testo: parole accese, provocatorie, ironiche ed eccentriche pronunciate dal pubblico.
Quanto al rigore della documentazione: una volta di più, la cosa è stata condotta nella speranza che il libro venga adoperato. Lo si può usare a vari livelli ma, se ci si vuole impuntare a ricreare Studio-X NY, è comunque possibile farlo. Transform, una guida passo per passo su come trasformare in mezz'ora uno spazio di lavoro in uno spazio per manifestazioni, elenca tutti gli oggetti che servono, compresi la marca, lo stile, le dimensioni e il prezzo dello spruzzatore di plastica e del detersivo liquido da usare per pulire le superfici prima delle manifestazioni. Lo stesso vale per le sedie, per i tavoli, per le tende, per i faretti a rotaia e per le 559 viti che tengono insieme l'armadio. Abbiamo battezzato "reperti" questi particolari, e sono decisamente ossessivi nel puntualizzare con esattezza quali sono gli elementi infrastrutturali che creano veramente un buon ambiente di dialogo e di scambio. Ma di per sé non servono a nulla. Devono lavorare in parallelo con le strategie organizzative di Classify ("Classificare") e con l'entusiasmo complessivo di Populate ("Popolare") che presenta un'istantanea in primo piano di ciascun personaggio e di ciascuno sponsor di Studio-X NY.

Si è osservato che mentre alcune delle "tipologie" di manifestazione ospitate da Studio-X sono nuove, molte erano "forme prese a prestito e tratte dai talk-show serali, dall'industria turistica e del tempo libero, o dalla comunicazione politica". Come mai?
GB: Insomma, il mondo è pieno di serbatoi, e non c'è che da scegliere quello che ciascuno trova più affine. Le tipologie di Studio-X NY mi piacciono per un sacco di motivi: sono divertenti e, come Neighborhood Watch, sono il riflesso della mia formazione nell'America dei quartieri residenziali suburbani. Credo che alcune nuove tipologie verranno in luce molto presto a Studio-X Mumbai e a Studio-X Rio, è sarà interessante osservare a che cosa si riferiscono.

Ce n'è una che ha trovato particolarmente illuminante? E perché?
GB: Ho constatato che le tipologie erano tanto più convincenti quanto più venivano applicate in combinazione tra loro. Prenda per esempio il laboratorio diurno sull'inchiostro condotto da Michelle Fornabai e da Karen Finley. È una "mostra" in cui la mostra Ink di Michelle, del 2010, forniva a lei e a Karen una base per discutere dell'uso dell'inchiostro in arte e in architettura; un "laboratorio" in cui studiosi di entrambe le discipline realizzavano disegni a inchiostro giapponese su pergamena con la tecnica dei cadavres-exquis; ed è anche una "testimonianza d'artista" in cui Michelle e Karen discorrevano tra loro dei fili conduttori comuni delle loro opere. Oppure guardate la discussione sul futuro del quartiere della moda di New York. Ha avuto luogo nel 2009, all'epoca di una proposta di ristrutturazione che molti temevano avrebbe avuto un effetto negativo sul settore della moda newyorchese. Dopo qualche insistenza, a Studio-X NY si incontrarono rappresentanti dell'assessorato comunale all'Urbanistica, della Economic Development Corporation, del Council of Fashion Designers of America, del Manhattan Community Board 5 e del Fashion Center Business Improvement District. Vishaan Chakrabarti fece da moderatore al dibattito. Fu una specie di Consiglio comunale, perché riunì tutti gli attori interessati in un dibattito pubblico, su un terreno neutrale e con un moderatore imparziale; fu un momento di attenzione alle condizioni di un luogo, perché prese in esame un quartiere che non era quello di tutti gli spettatori (cioè l'opposto di Neighborhood Watch); fu una terapia di gruppo, perché era solo la seconda volta che tutte le parti si sedevano allo stesso tavolo, e perché penso fosse un momento catartico.

Avete mappato le configurazioni spaziali delle manifestazioni di Studio-X e avete documentato il flusso del pubblico per ciascuna di esse. Da una rassegna così accurata sono emerse idee interessanti?
MTWTF: Sì, "emergere" è la parola giusta. La continua alternanza di ricordo e rappresentazione. Gavin ha cercato di ricordare tutte le configurazioni dell'ambiente e noi abbiamo cercato di riprodurle in diagrammi. Ovviamente quando si vede la rappresentazione ci si rende conto di quello che manca. È diventato un processo ricorsivo che era davvero divertente. Il rapporto tra ricordo e rappresentazione è sempre sorprendente, specialmente quando si sintetizza una lunga scia di manifestazioni in 37 sezioni distinte.

Secondo voi il progetto grafico arricchisce l'esperienza della lettura?
MTWTF: Diciamo che il progetto grafico crea particolari esperienze visive. The Studio-X NY Guide ne è un buon esempio. Il libro è prima di tutto un repertorio di documentazione su Studio-X NY, ordinata secondo una narrazione. Certi documenti sono visivi (le configurazioni spaziali di Stage, i primi piani di Populate), altri sono testuali (l'elenco delle manifestazioni realizzate di Index). Sono tutti tentativi di collegare ciò che è accaduto in modo utile.

Potete dirci qualcosa di più sul colorato sistema di classificazione che compare sullo sfondo in tutte le pagine della guida?
MTWTF: Juan Astasio, che stava svolgendo uno stage estivo, ha lavorato con Gavin alla creazione di icone per la classificazione di ogni manifestazione. La "testimonianza d'artista", due artisti che parlano tra loro, è rappresentata da due punti; la "tavola rotonda", tre persone che parlano tra loro, è rappresentata da tre punti. Il "concorso" introduce una gerarchia, la "performance" aggiunge una distinzione tra performer e pubblico, e così via. Le icone sono assegnate alle manifestazioni a mano a mano che si realizzano. Quando per una manifestazione si sovrappongono due categorie, la manifestazione reca le icone di entrambe.

Di quale altra esperienza vissuta nella realizzazione di questo libro vorreste parlare?
MTWTF: Non è possibile mappare una realtà creativa qualsiasi a priori, e perciò la creazione del libro per noi è stata anche un momento di razionalizzazione a posteriori, insieme con Gavin, degli aspetti più intuitivi del suo programma. Dato che siamo grandi tifosi del progetto a rete di Studio-X e dello stile organizzativo di Kevin, è stato un vero piacere passare del tempo a rifletterci sopra.

GB: Il libro non avrebbe avuto successo senza l'incredibile progetto di MTWTF. Sono certo in futuro usciranno parecchie pubblicazioni su Studio-X, ma credo sia corretto affermare che la prima è un punto di riferimento. Come in tre popolari mostre di Studio-X NY (Safari 7 Reading Room, che svelava la vita selvatica lungo la linea ferroviaria n. 7 della Metro-North Railroad; TRANS SIBERIA, che delineava l'espansione del comunismo attraverso le tipologie degli edifici statali tra Mosca e Pechino; e Listening There: Scenes from Ghana, che riscopriva il Modernismo nell'Accra di oggi) il pubblico viene invitato all'esplorazione.