"In quell'impero, l'arte della cartografia giunse ad una tal perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una città, e la mappa dell'impero tutta una provincia. Col tempo, queste mappe smisurate non bastarono più. I collegi dei cartografi fecero una mappa dell'impero che aveva l'immensità dell'impero e coincideva perfettamente con esso."
Luis Borges, Del rigore nella scienza, in L'artefice
Sembra proprio che "Street View" di Google Maps stia compiendo il paradosso borgesiano: mappare – in misura 1:1 o quasi – il territorio reale. Tra scrivere e descrivere sembra che oggi la scelta video-fotografica, con quel suo appello alla "verità" documentale delle cose, stia realizzando l'incompiuto. Restano zone cieche, territori ancora non descritti, certo. Esattamente come agli albori della cartografia, quando la mappa d'invenzione, quella della scoperta, colmava il vuoto visivo inventandosi un confine, un'isola, "l'altro": hic sunt leones. Che la possibilità di vedersi dall'alto e da lontano, poter dire "noi siamo qui" sia insieme conoscenza e identità, lo si deduce dal paziente lavoro dei cartografi che hanno da sempre messo a disposizione del potere le mappe come luoghi, ridotti, della propria e altrui condizione. Ma lo si evince anche dal troppo pieno della mappatura dei dati, dal digitale contemporaneo, che necessita conoscenza specializzata: la forma geografica infatti spesso scompare e bisogna saper leggere segni e misure che non corrispondono alle tradizionali coordinate geografiche.
Insomma, sembra proprio che gli autori abbiano deciso che la mappa sia punto di vista, e in due sensi: quello proprio della posizione rispetto all'oggetto e quello traslato, dell'opinione.
