Soft-Cell. Dinamiche nello spazio in Italia
a cura di Andrea Bruciati, Damiani Editore, Bologna 2008 (pp. 320, € 30,00)
L'esperienza dello spazio nelle nuove generazioni è qualcosa di complesso e poco chiaro che ha a che vedere con la propria identità o riflette una condizione astratta non sempre in relazione a una concreta fisicità. Del resto è proprio l'approccio fisico alla realtà a essere ormai fuori moda in nome di un desiderio aponderale che sembra segnare la percezione di ciò che è intorno a noi e i confini del proprio agire, relegandoli spesso in una solitudine priva di contatti. Eppure vi è una zona di incontro in alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea che si pongono ancora il problema del fare, di un creare attraverso le cose e gli oggetti o mediante situazioni: emblemi forse più immediati rispetto alla pittura, sistemi atti a generare molteplicità di sensi, seppure a livello simbolico, in rapporto ad altre pratiche legate all'immagine.
È forse questo il destino della scultura? Cosa significa per un artista oggi "fare spazio"? Basta un gesto per interagire plasticamente? A queste domande il volume di Andrea Bruciati Soft-Cell. Dinamiche nello spazio in Italia, edito da Damiani, intende offrire alcune risposte riferite allla produzione estetica delle ultime generazioni di artisti in Italia. I giovani scelti da Bruciati a rappresentare questa linea sembrano aver metabolizzato l'anti- spazio dell'Arte Povera, quella sorta di area di progetto o dispositivo di tensioni, per cui il campo di energia si faceva attraverso oggetti e materie che l'artista accuratamente disponeva: una pratica che dalla fine degli anni Sessanta è giunta a oggi come il portato più vivo di un approccio estetico legato all'immaginazione, a una temporalità scandita spesso in termini processuali. Per esempio, il riferimento alla nota performance di Jannis Kounellis dei cavalli trasportati alla galleria L'Attico nel 1969, nell'opera Interesting (2006) di Paola Pivi (Milano,1971), che prevedeva la deambulazione nel medesimo ambiente espositivo di animali dal pelo bianco (cavalli, mucche, oche, un lama, delle colombe), evidenzia il carattere di questa avvenuta metabolizzazione: non si tratta di una citazione di Kounellis ma, verrebbe da dire, una sorta di filiazione genetica, che conduce ormai gli artisti a impiegare energie animali o meccaniche non solo come termini provocatori in sé, bensì come un patrimonio linguistico assodato, su cui innestare una concezione certamente più visiva, non più tesa alla provocazione, volta semmai a delineare situazioni improbabili e inattese. Dei nati nella seconda metà degli anni Sessanta Bruciati include in questa bella antologia di artisti, rappresentati da buone riproduzioni a colori e da una sintetica analisi dell'opera, nomi noti per una ormai consolidata esperienza come Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) da anni impegnato intorno alla forma e a materiali come elementi di una grammatica tesa a rivelare una consistenza molecolare, in grado di concentrare e disperdere energia; Vanessa Beecroft (Genova, 1969), le cui performance di modelle incorporee, ormai note in tutto il mondo, rappresentano una sfida alla fisicità attraverso gli emblemi più alti della femminilità; Loris Cecchini (Milano, 1969), da sempre impegnato in una ricerca legata all'esperienza dello spazio e ora attivo a scala urbana, come nell'installazione di 5.000 sfere in metallo saldate per la città di Shanghai, una sorta di nucleo cellulare di alta suggestione; Italo Zuffi (Imola, 1969), la cui poetica appare incentrata sulla dislocazione. Dei nati negli anni Settanta, la maggior parte degli artisti presi in considerazione nel volume, la ricerca di Sandrine Nicoletta (Aosta,1970) è specificamente dedicata alla metafora di equilibrio, fisico, percettivo, attraverso materiali e installazioni sempre più raffinate; Diego Perrone (Asti, 1970) muove da uno spazio surreale e visionario dando vita a un universo simbolico in cui spesso la macchinosità del dispositivo o l'estrema semplicità di una situazione mettono in scena paradigmi universali; la grande sfera di riso impanata e fritta nell'opera Z (2008) di Pietro Roccasalva (Modica, 1970) rievoca solo formalmente la nota sfera in cartapesta fatta rotolare per la città di Torino da Michelangelo Pistoletto nel 1969; i telai da ricamo messi in scena da Anila Rubiku (Durazzo, 1970) o le sue case di cartone ricamate e illuminate dall'interno rappresentano un modo per riflettere su convenzioni e stereotipi della femminilità; così come i ricami di Claudia Losi (Piacenza, 1971), spesso creati in collaborazione come nella nota Balena Project (2002).
Tra le opere illustrate nel volume le macchinose installazioni di Lara Favaretto (Treviso, 1973), sapientemente concettuali, le dune di Christian Frosi (Milano, 1973), le affollate accumulazioni di Dacia Manto (Milano, 1973), le più note strutture trapuntate di Perino & Vele (New York, 1973; Rotondi, 1975), il bus schiacciato per entrare negli spazi di una galleria dell'illusionista Piero Golia (Napoli, 1974), le ironiche microstrutture di Gabriele Picco (Brescia, 1974), leggere come la polvere da lui utilizzata in quanto materia plastica. Il volume, che rappresenta una coerente antologia di artisti operanti in Italia ma spesso più noti all'estero, fino ai giovanissimi nati negli anni Ottanta, è arricchito da alcuni saggi di approfondimento di Lorenzo Bruni, Barbara Casavecchia, Chiara Leoni e Paola Nicolin, Marco Tagliafierro che riflettono, ognuno da un punto di vista differente, su una possibile "linea italiana" degli ultimi quindici anni e sull'identità del fare scultura, termine apparentemente desueto in rapporto alle pratiche contemporanee: un tentativo di porre in evidenza un percorso alternativo al 'realismo' di tanta diffusa pittura di immagine così come alle pratiche attive nel sociale, nel raccordo, invece, all'azzeramento e ai radicali mutamenti proposti dalle esperienze degli anni Settanta e prima ancora dagli illustri precedenti italiani (Lucio Fontana e Piero Manzoni).
