I simboli e l'invisibile. Figure e forme del pensiero simbolico
Elio Franzini, Il Saggiatore, Milano 2008 (pp. 280, € 20,00)
Sempre più l'arte si scontra con i limiti entro i quali essa è stata modernamente confinata. Nelle forme più variegate la filosofia del Novecento, a partire dalla fenomenologia, da Heidegger e dall'ermeneutica, per venire a episodi più recenti come il postmoderno, ha fatto sentire la necessità di riconoscere la peculiare verità dell'arte, una verità che non merita di essere compressa entro i confini dell'apparenza. La certificazione di questa verità si accompagna a un importante riconoscimento: l'arte è in grado di dare luogo a un mondo e non si limita a stare ai confini di questo.
Confini nobili e 'alti' quanto si vuole, scrigni della memoria come il museo, ma pur sempre luoghi di segregazione. Si tratta di un punto cruciale nell'ambito della riflessione estetica contemporanea che, a più riprese e nel quadro di tradizioni anche profondamente diverse le une dalle altre, ha riproposto il problema. Sia la tradizione fenomenologica sia quella ermeneutica hanno rimesso in questione la relazione dell'arte con il suo mondo, il suo valore di rivelazione di un certo essere del mondo. Queste considerazioni costituiscono probabilmente un utile sfondo per intendere l'importante studio comparso di recente, I simboli e l'invisibile di Elio Franzini. Franzini ci indica un affascinante percorso fenomenologico che si avvia con quella che Husserl definisce "intenzionalità fungente", e cioè con quella zona consapevole/inconsapevole ma condivisa del sapere che si radica nel vivente e ci illumina circa la genesi delle sue forme. È attraverso l'intenzionalità fungente che ci è per altro consentito di inoltrarci nel sapere dell'immagine e, in particolare, in quel capitolo della vicenda dell'immagine che concerne l'arte. I due ambiti si congiungono se diamo loro un nome: e questo nome è simbolo. Esso costituisce, fra l'altro, anche un preciso modello epistemologico. Procediamo comunque con ordine. In che cosa consiste il simbolo e il sapere che in esso deposita? Il simbolo - avverte Franzini - è un luogo di intersezioni: è il luogo di congiunzione del concetto e della rappresentazione, dell'evidenza e del nascondimento, del senso e della rappresentazione. Il cammino della conoscenza simbolica è dunque un nostos, mentre il simbolo costituisce il termine di un cammino avviato nel segno della nostalgia: analogamente al viaggio di Ulisse esso rappresenta un ritorno all'origine, laddove l'origine non va tuttavia intesa né come un primo principio né come un inizio. Origine significa, in questo caso, il luogo di una significazione integra e, per così dire, totipotente che viene a perdersi a causa dell'affermarsi di un modello razionalistico di ragione che divide l'immagine dal concetto, la forma dall'essere.
Interrogare l'immagine significa dunque, da questo punto di vista, anche sviluppare un lavoro critico sull'episteme nel suo complesso. 'Vedere' l'invisibile dietro l'immagine significa anche interrogarne il lato oscuro e, proprio in quanto celato, scaturigine di nuove significazioni.
Questo prezioso percorso di Franzini - che qui ci è dato restituire solo molto parzialmente - ci aiuta fra l'altro a intendere come l'arte appartenga all'estetica in quanto disciplina dedita allo strutturarsi originario del senso del tutto indipendentemente dalla sua configurazione più recente che la definisce come filosofia dell'arte. L'arte appartiene all'estetica più di ogni suo altro oggetto di indagine in quanto è l'arte il luogo che esibisce nel modo più esemplare il coagulo e l'articolarsi del senso. Essa incarna in modo eminente quel sapere 'sintetico' che si coagula nel simbolo.
