Gunnar Asplund , Peter Blundell Jones, Phaidon, London 2007 (pp. 240, € 75,00)
La ricezione dell'architetto svedese Erik Gunnar Asplund (1885-1940) non ha mai coinciso con la sua "fortuna", ma ha dato piuttosto l'impressione di un flusso di corrente alternata: a intervalli irregolari gli si dedicano pubblicazioni che non hanno invero un legame con recenti scoperte – l'intensità massima è stata raggiunta una ventina d'anni fa, intorno al centenario della nascita –, raramente fanno capo a mostre celebrative. Ma questo è il punto: a un Asplund che non faceva parte dei circoli intorno al CIAM (a differenza del forse altrimenti meno noto collega e rivale Uno Ahréns) e che costruì solo in Svezia, mal si attagliava l'uniforme prefabbricata di certo stereotipato stile internazionale. Opere quali la Biblioteca di Stoccolma dal tamburo imponente e il delfico Gnÿthi seauton all'ingresso lo avevano poi marchiato con un ineludibile classicismo tutt'al più scosso da un 'dilemma'.
Per qualsiasi metamorfosi della sua poetica, ecco pronta un'etichetta. Ma è possibile classificare opere quali la cappella nel bosco del 1920, che è letteralmente la quadratura (all'esterno) del cerchio (all'interno)? Nonostante la passione nutrita dall'erudito svedese per i Paesi del Sudeuropa, al pubblico italiano, poi, Asplund risulta poco familiare – né la riedizione di sedie e poltrone da parte di Cassina (1983-1985) ha contribuito a colmare il divario tra noi e lui, che realizzò occasionalmente mobili nella più tradizionale maniera scandinava ma sul taccuino schizzava la poltrona in tubolare metallico di Mies.
Dinanzi al pregiato volume dell'affermato Blundell Jones ci si chiederà dunque: "Ancora un libro su Asplund" oppure "Manca ancora un libro su Asplund"? Superata la perplessità della mancanza di introduzione (che ha un pendant nell'epilogo troppo romanzato) di questa monografia, sono evidenti alcune indubbie qualità, prima fra tutte la contestualizzazione storica in cui Asplund ebbe a formarsi e visse e che rende tangibile una sorta di osmosi non solo tra il Movimento moderno e quella Swedish Grace che arrivò a Stoccolma dalla Germania. Si può anzi dire che sia intento fondamentale dell'autore cercare di conciliare aspetti apparentemente contrastanti. Non prescinde dagli attributi adoperati in precedenza: modernità, Romanticismo, stile vernacolare, ma li concilia sotto la singolarità dell'architetto, che per principio non ripeteva mai anche un solo dettaglio adoperato in un precedente edificio. Blundell Jones supera poi con la traduzione di alcuni articoli di Asplund apparsi negli Anni Dieci del secolo scorso su riviste specializzate un altro ostacolo, quella lingua svedese che permeò oltre confine solo col manifesto di adesione alla modernità scandito ad alta voce, "Acceptera!", che esortava alla standardizzazione nel processo industriale.
La struttura del libro dai confini fluidi acquisisce ulteriore snellezza concentrandosi in prevalenza sui progetti realizzati; fotografie eccellenti cercano di mostrare gli edifici davvero sotto un'altra luce, e pregevole è anche l'uso dei disegni d'archivio, ormai non più consultabili in versione originale. Poco approfondito è invece il capitolo sulla ricezione dell'architetto da parte delle generazioni seguenti: possibile che, oltre alla risaputa eredità confluita nell'opera di Alvar Aalto, la Storia avesse poi ratificato il semi-isolamento di Asplund? Al lettore rimane perciò l'impressione di un protagonista discreto e rigoroso, talora fuori dal coro al limite del démodé e sfuggente, come se qualsiasi tipo di intermediazione non sia riuscita finora a rendercelo vicino. In realtà questo volume segna ben chiara la linea di demarcazione che può raggiungere una pubblicazione su Asplund. Non è banale l'avvertimento finale: "[…] photographs and drawings, though they prepare one for a visit, are no substitute for a direct experience" (p. 229). Ci approssimiamo al mistero intorno ad Asplund, che, inafferrabile a parole, comunica con la sua architettura una sensazione, prima ancora che di insuperatezza vista dall'esterno, di immediatezza e protezione per chi, all'interno, vi si abbandona.
Donatella Cacciola, Storica dell'arte, Bonn