J.J.P. Oud zwischen De Stijl und klassischer Tradition Arbeiten von 1916 bis 1931, Eva von Engelberg-Dockal Gebr. Mann Verlag, Berlin 2007 (pp. 560, €98,00)
Nel 1916 Johannes Jacobus Pieter Oud (1890-1963) incontra Theo van Doesburg e diviene in seguito uno dei maggiori esponenti di De Stijl; quindici anni più tardi termina la sua collaborazione col Volkswoningbouw, il genio civile di Rotterdam, l'unica attività che, a dispetto della fama arrivata oltreoceano, gli avesse dato da vivere per lungo tempo. Non è questa la sola contraddizione nella vita di Oud, maestro del Movimento moderno e architetto comunale.
Anche nella critica l'autrice vede due poli inconciliabili, quasi fosse questo il destino postumo di un uomo saturnino, ombroso e schivo ma al contempo estremamente ambizioso, con una concezione di sé che, a detta dei suoi stessi scritti, lo faceva sentire vicino ad Alberti e a Palladio. Lo stesso Van Doesburg non esiterà nel 1925 a definire il suo agire "… un 30% di dubbio, 30% di timore, 33% di borghesia, 2% di comprensione e 5% di modernità" (p. 144).
Nella pubblicazione della sua tesi di dottorato discussa nel 2001 ad Augusta (Germania) l'autrice scandaglia quei quindici anni e ne fa il centro di uno studio di amplissimo respiro, quasi enciclopedico, insinuandosi negli interstizi di quasi cento anni di fonti e di critica. Riassumere per sommi capi questa monografia, sapientemente intessuta di biografia, storia dell'architettura, questioni di stile e di conservazione dei monumenti, non rende giustizia a un lavoro che, per completezza e cura dei dettagli, pare riunire più libri in uno, smuovendo i solchi del terreno della critica con un lavoro di cesello. Una continua intersezione di piani nelle vicende dell'architettura olandese ed europea a partire dal 1890 è ciò che si presenta al lettore attraverso la vita dell'architetto (capitolo II, dopo l'introduzione), l'esperienza di De Stijl (capitolo III) e del Volkswoningbouw (capitolo IV) e l'inquadramento di Oud nel contesto del suo tempo (capitolo V).
È dovere di un lavoro di rigore scientifico di questa portata non dare nulla per scontato, considerare tutto quanto è stato mai stato scritto ma non abbracciare deliberatamente alcuna posizione critica precedente. E paradossalmente questo Oud declinato all'infinito non è una presenza insistente: prima di incontrarlo il lettore ha modo di calarsi in uno spaccato di storia e tradizione architettonica locale, senza che l'eco internazionale rimanga nell'ombra. Il linguaggio chiaro e lineare che evita le ridondanze, insieme all'alternanza dei registri narrativi – la biografia sarebbe piaciuta a Stefan Zweig; in altri luoghi, invece, quali la ricostruzione della controversa vicenda del complesso di case popolari di Oud-Mathenesse si avverte invece la perizia di chi ha lavorato in una soprintendenza – sono senz'altro il punto forte di questo lavoro con il quale l'autrice, sebbene non raggiunga gli slanci del critico puro, si muove con passo cauto ma fermo e sicuro; chi legge si chiede d'acchito se sia questo il primo libro scritto su Oud – oppure l'ultimo.
Gli apparati illustrano i trentotto progetti ideati tra il 1916 e il 1931: proprio per schierarsi contro la "fortuna selettiva" che ha caratterizzato l'opera di Oud – si pensi al successo indiscusso e continuo del contributo di Stoccarda accanto al dispregio del progetto per le case a schiera a Blijdorp – l'autrice non subordina gli edifici realizzati a quelli rimasti sulla carta: di ognuno è raccontata la vicenda storica, di ogni complesso i singoli edifici e il contesto urbanistico, le vicende storiche relative alla committenza e, ove possibile, lo stato di conservazione, note, queste ultime, attuali quanto preziose.
L'autrice ha la virtù di assecondare molteplici punti di vista: nei cinque capitoli non lascia una sola domanda aperta, mentre gli apparati cercano di tracciare ciò che Oud potrebbe avere visto e fatto confluire nei suoi progetti. Un'analisi stilistica libera l'Oud dei primi lavori dal retaggio insistente del mentore Berlage, talora assunto dalla critica con troppa disinvoltura; negli anni tra il 1916 e il 1931 l'architetto non conosce diverse 'fasi' successive: allargando ad ampio raggio l'osservazione sul contesto in cui Oud ha agito è invece riscontrabile una contaminatio di posizioni diverse allo stesso tempo; così ecco che gli influssi e i goticismi della Scuola di Amsterdam vengono alla luce prima e non dopo l'esperienza di De Stijl, mentre i preludi al classicismo manifestato con il Palazzo Shell all'Aia (1938-1946), simmetria e stereometria, si riscontrano già nel 1921.
Peccato che un lavoro così puntuale, capace di trasportare il lettore in Olanda sfogliando appena qualche pagina, tanto più pregevole quanto più si tiene conto che è opera di una sola storica indipendente, già in un certo senso penalizzata dall'apparire, proprio nel 2001, del catalogo ragionato di Oud a cura del NAI di Rotterdam, si concentri in fondo su soli 15 anni nell'opera del maestro che costruì la prima casa a sedici anni e morì prima del completamento del suo ultimo progetto.
Donatella Cacciola
Storica dell'arte a Bonn
