Zero Gravity. Franco Albini. Costruire le modernità, A cura di Federico Bucci e Fulvio Irace, Triennale-Electa, Milano 2006 (pp. 288, s.i.p.)
Nell’ambito delle celebrazioni del centenario della nascita dell’architetto e sotto l’ammiccante titolo della mostra, il catalogo è il risultato di un lavoro di ricerca che trascende l’occasione dell’esposizione. Preceduto nel 2005 dal volume I musei e gli allestimenti di Franco Albini curato da Federico Bucci e Augusto Rossari per i tipi di Electa, ne raccoglie de facto l’eredità ed estende il tentativo di revisione critica all’intera opera albiniana. Il nuovo libro, distribuendo l’attenzione dei vari capitoli lungo l’intero arco temporale della produzione dell’architetto (1929-77), approfondisce determinati temi e si sofferma su alcune opere emblematiche.
Il criterio di selezione è suggerito dalla disponibilità degli strumenti di indagine e delle fonti archivistiche, ma soprattutto dall’intenzione di porre alla dovuta distanza e ridiscutere un’immagine storiografica consolidata. La struttura del volume, curato da Federico Bucci e Fulvio Irace, rispetta la suddivisione in nuclei tematici della mostra e affronta in sette capitoli altrettanti aspetti dell’attività di Albini. Due sue lezioni chiariscono l’approccio peculiare al progetto di musei ed esposizioni, e introducono alle inedite ipotesi interpretative di Bucci, Orietta Lanzarini e Marco Mulazzani. Per il primo gli interni e gli allestimenti condividono un comune orizzonte di senso e “il complesso intreccio tra l’abitare e l’esporre, tra vivere il presente e immaginare il passato, è uno dei caratteri fondamentali della ricerca albiniana, denso di significati simbolici”.
I secondi aprono nuove prospettive di indagine storiografica sul già ricco filone della museografia e, sulla scorta di lettere e documenti inediti, pongono in relazione i musei di Albini e di Carlo Scarpa. Augusto Rossari ricostruisce l’iter progettuale dell’albergo rifugio Pirovano a Cervinia (1948-52), ne connette la controversa fortuna al coevo dibattito sulla tradizione, sino a dischiudere una circostanziata panoramica sulle possibili relazioni con l’opera di Frank Lloyd Wright, rintracciate a partire dai progetti per la villa Olivetti a Ivrea (1955-56). Matilde Baffa affronta invece il tema della casa popolare, mediante la ricostruzione cronologica delle diverse tappe di un lavoro collettivo, che dagli anni Trenta attraversa la guerra e giunge sino alle prime fasi della ricostruzione.
Al centro del libro l’album fotografico di Marco Introini offre una pausa al lettore, che tramite le immagini a colori ha l’occasione di misurare l’attualità di alcune realizzazioni di Albini, calate dall’empireo sospeso delle fotografie d’epoca in bianco e nero al presente concreto della città. La volontà di ricondurne le architetture alla contemporaneità si accompagna al tentativo di sondare l’eccentricità del percorso albiniano rispetto al ruolo di rigoroso custode dell’ortodossia modernista e dell’integrità morale del mestiere, che la critica gli ha spesso affidato.
A partire da Giuseppe Pagano, che nel 1938 ne lodava l’”atteggiamento morale”, il valore di Albini è infatti misurato soprattutto in termini di esemplarità e coerenza del metodo, di precisione della forma, di controllo ‘calvinista’ della fantasia, di linguaggio razionale. Ma la poetica dell’architetto milanese rifugge gli schemi storiografici più consueti, se già nel 1936, come sostiene Irace, nella stanza per un uomo alla VI Triennale di Milano “ogni cosa parla apparentemente il linguaggio della produzione industriale: ma [...] non v’è elemento che non tradisca la sua origine d’eccezione”.
Anche la mancanza di contributi dedicati al ruolo di Franca Helg – che alcuni scrupolosi recensori non hanno mancato di rilevare – e dei collaboratori stabili dello studio parrebbe rientrare nella deliberata volontà di selezione critica sottesa al catalogo, che focalizza l’attenzione sulle opere, sui periodi, sui temi in cui è ritenuto preponderante l’apporto del solo Albini, cercando così di metterne a fuoco le peculiarità e i caratteri autonomi. Nondimeno gli autori si sottraggono al rischio della celebrazione incondizionata: ne è un esempio il lucido saggio di Claudia Conforti, per la quale fra gli edifici a destinazione pubblica, che perlopiù “non si staccano da una sorta di fungibilità eccellente quanto impersonale”, La Rinascente di Roma (1957-61) si distingue quale episodio magistrale.
Alcune testimonianze dirette di amici e collaboratori popolano le stanze della memoria, dove Vittorio Gregotti, Renzo Piano, Corrado Levi, Aurelio Cortesi e Italo Rota dipingono rispettivamente un affettuoso, riconoscente, grato, puntiglioso ed eccentrico ritratto del maestro e dell’uomo. Infine lo scritto di Marco Albini spazia sull’intera parabola culturale, politica e professionale del padre e attraverso il filtro militante e partecipe degli scritti di Carla Albini, scomparsa nel 1943, disegna un vivo spaccato del milieu artistico milanese sino alla fine della Seconda guerra mondiale. Il volume trova nella biografia, nell’aggiornata bibliografia e nel regesto delle opere, rivisto e corretto, un ulteriore sintomo di qualità. In sintesi un volume che rifugge le ritualità della celebrazione e prosegue una inedita prospettiva interpretativa, da discutere alla luce delle più aggiornate riflessioni sull’architettura italiana del XX secolo.
Stefano Poli Architetto
