Haus K. in O. 1930-32. Eine Villa von Martin Elsaesser für Philipp F. Reemtsma, A cura di Hermann Hipp, Roland Jaeger e Johannes Weckerle, Gebr. Mann Verlag, Berlino 2005 (pp. 257, € 58,00)
In un famoso saggio pubblicato sulla rivista Perspecta nel 1985, James Ackerman definì il paradigma della villa come costruzione di un luogo di piacere fuori della città (se non addirittura ‘contro’ la città) in relazione con un paesaggio. Una costruzione che, nella maggior parte dei casi, è il risultato dell’immaginazione di un architetto e, insieme, di un committente che si fa portatore di necessità psicologiche, culturali e ideologiche piuttosto che materiali.
Nel tempo non si è cristallizzata una forma definitiva del tipo della villa, probabilmente perché le esigenze del piacere non si prestano ad una precisa definizione. Piuttosto, la costruzione della villa ha fornito l’occasione per mettere alla prova forme, materiali e programmi innovativi, divenendo in alcuni casi il terreno privilegiato per la sperimentazione delle avanguardie. Tuttavia, attraverso le sue molteplici e diverse manifestazioni formali, il paradigma della villa è rimasto invariato nella sua essenza: dalla Roma repubblicana sino ai giorni nostri, attraversando condizioni materiali, culturali e ideologiche assai diverse, esso appare come lo spazio teorico nel quale si manifesta una fantasia che è inaccessibile per la realtà.
La villa che l’architetto tedesco Martin Elsaesser realizza ad Amburgo tra il 1930 e il 1932 per l’imprenditore dell’industria del tabacco Philipp Reemtsma rientra perfettamente in questa vicenda, come ben evidenzia questo volume (documentatissimo e corredato di splendide immagini) curato da Hermann Hipp, Roland Jaeger e Johannes Weckerle.
I diversi saggi che lo compongono forniscono agli studiosi non soltanto conoscenze su di un’opera non ancora consacrata dalla storiografia dell’architettura, ma anche numerose e importanti occasioni di riflessione, sia sul tema del paradigma della villa, sia sulla labilità delle categorie che la critica ha utilizzato nei confronti della complessa vicenda che ha visto il passaggio dagli esperimenti dell’avanguardia, attraverso il funzionalismo negli anni Trenta, sino alla sua crisi nel secondo dopoguerra. Nel volume, il carattere originario del luogo, il ruolo del committente, i riferimenti culturali del progettista, le vicende del progetto e della costruzionre (compresi gli aspetti strutturali e l’allestimento degli interni), la realizzazione del parco, il recente restauro vengono ricostruiti attraverso una serie di studi specialistici fondati su un ricchissimo repertorio di documenti originali che viene di volta in volta posto in relazione con la pubblicistica e con la ricezione dell’edificio da parte della critica. Un lavoro di grandissima utilità che non rinuncia a rendere evidente anche la bellezza e il carattere del proprio oggetto di studio, presentato anche attraverso splendidi reportage fotografici che ne mostrano le trasformazioni nel corso del tempo: dal 1932 (foto di Carl Dransfeld e Max Göllner) al 2004 (foto di Hans Meyer-Veden). La villa, esempio notevole di architettura modernista, sorge nei dintorni di Amburgo, a ridosso dello Jenischpark sulle sponde del fiume Elba. Si tratta di un organismo assai articolato (sia nella distribuzione interna che nella composizione dei volumi) progettato per rispondere a un programma funzionale molto dettagliato che declina un modo di abitare nel quale privatezza e vita di società, riposo e movimento, esperienze individuali e familiari trovano i propri spazi tra interno ed esterno. L’esattezza dell’organizzazione corrisponde a un’idea di ‘comfort’ (in questo caso più appropriata sarebbe la parola ‘lusso’) riferita allo sguardo, ai movimenti e ai sensi del corpo, che lavora sullo spazio, sulla forma, sulla misura, sulla sintesi tra le arti, senza rinunciare a confrontarsi con il colore, la grana e il tono dei materiali, e in generale con i temi che caratterizzano l’odierna riflessione nel campo dell’allestimento. Werner Oechslin, nel saggio pubblicato in apertura del volume, riconduce la tensione tra la necessità di un ordine razionale e la fascinazione per la dimensione sensibile dello spazio (evidente in quest’opera), alla ricerca inaugurata da Le Corbusier all’interno del mainstream del razionalismo ed espressa dall’aforisma “... éveiller le dieu qui est en nous” (Une maison - un palais, 1928). Questo apre la questione del ruolo svolto da Martin Elsaesser nella vicenda del Movimento Moderno. Appare con evidenza come l’attenzione per il trattamento delle superfici e per il tema dell’ornamentazione, affrontata entro un approccio di matrice elementarista, esprime un rinnovato interrogativo per alcuni elementi della tradizione compositiva classica (geometria, simmetria, armonia, proporzione, gerarchia), invocati come essenziali per affrontare la questione del linguaggio in architettura. Un percorso, questo, che condurrà numerosi esponenti del modernismo in architettura alla definizione di uno “stile internazionale”, anche attraverso la generalizzazione, la semplificazione, la riduzione del fenomeno architettonico ai suoi soli risultati formali. Di grande interesse appare l’attenzione dedicata nel volume al disegno degli spazi aperti di pertinenza della casa. Il sistema dei giardini, progettato dal paesaggista Leberecht Migge, mostra un’applicazione molto radicale del principio di varietà declinato in un approccio ispirato al razionalismo internazionale. Il dominio della casa, caratterizzato dal linguaggio modernista della villa, presenta un sistema di giardini geometrici nei quali la natura viene offerta al lavoro dell’arte che traccia e plasma il suolo a costruire spazi per la coltivazione e spazi per l’attività ginnica; terrazze, recinti e parterre; padiglioni, serre e fontane (è previsto persino un giardino-galoppatoio). Verso lo Jenischpark, invece, la categoria del pittoresco orienta il progetto verso forme organiche, che introducono l’esperienza della sorpresa, della scoperta, sino al laghetto balneabile collocato a ovest della proprietà. Una realizzazione, questa, che per la sua qualità suggerisce di approfondire gli studi sull’opera di Leberecht Migge, impegnato a coniugare la tradizione di lavoro dell’arte dei giardini con i temi dell’abitare sociale discussi in quegli stessi anni dagli esponenti più politicamente impegnati del razionalismo tedesco.
Sara Protasoni Insegna Architettura del Paesaggio alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano
