Sul ruolo dei musei

di Maurizio BortolottiMuseo. Storia di un’idea, Karsten Schubert, Il Saggiatore, Milano 2004 (pp. 222, € 19,00)Il libro, diviso in due parti, ricostruisce la storia del museo dalle origini fino ai nostri giorni, sviluppando soprattutto un’analisi della funzione che l’istituzione culturale è venuta assumendo nella contemporaneità.

di Maurizio Bortolotti

Museo. Storia di un’idea, Karsten Schubert, Il Saggiatore, Milano 2004 (pp. 222, € 19,00)

Il libro, diviso in due parti, ricostruisce la storia del museo dalle origini fino ai nostri giorni, sviluppando soprattutto un’analisi della funzione che l’istituzione culturale è venuta assumendo nella contemporaneità. Nella prima parte sono infatti descritti rapidamente, ma in modo preciso, i modelli museali dalla prima metà del Settecento fino al 1980. Ed è nella seconda che l’autore si concentra sui profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi vent’anni, sviluppando il vero tema del libro. Una riflessione generale sul ruolo che oggi svolge il museo, sostenendo, sin dall’introduzione, che “in questo momento regna profonda incertezza sul significato e sul ruolo da attribuire ai musei nella società” (p. 11).

Il cambiamento che ha riguardato gli ultimi decenni è iniziato, infatti, negli anni Sessanta del secolo scorso e ha raggiunto un punto di svolta fondamentale con la fondazione del Centre Pompidou a Parigi, verso la fine dei Settanta. A partire da allora la situazione si è fatta più confusa. Molti degli attori in campo – artisti, architetti, curatori, politici – hanno sviluppato esigenze autonome nei confronti del museo, creando tensioni e nuovi problemi che appaiono ancora oggi per lo più irrisolti. L’autore li prende in considerazione analizzando le differenti questioni che il fenomeno museale solleva, a cominciare dal pubblico.

Negli anni Ottanta il visitatore dei musei è diventato un punto di riferimento fondamentale per ogni politica museale e questo ha prodotto dei radicali cambiamenti: “A poco a poco, un passatempo elitario della classe media si è trasformato in un’attività di massa, e i musei si sono a loro volta trasformati (…) in imprese produttive sempre più impegnate in attività commerciali e nella ricerca di fondi” (p. 85).

Perciò, mentre da un lato gli artisti hanno contestato il museo come spazio espositivo idoneo al loro lavoro, come nel caso di Donald Judd, che preferiva spazi preesistenti a quelli del museo realizzati appositamente per ospitarvi delle opere, la gestione del museo ha dovuto tenere conto delle esigenze del grande pubblico. Al punto che in alcuni casi si è cercato di seguire il modello dell’impresa in chiave di network, come in quello che l’autore definisce “l’esperimento del museo globale di Thomas Krens”, il nuovo Guggenheim. In esso, il museo doveva espandersi su scala planetaria aprendo varie sedi in diverse parti del mondo. Questo ha naturalmente incontrato dei problemi, poiché le realtà locali nelle quali il Guggenheim tenta di insediarsi sono molto diverse e una politica culturale omologante non riesce a soddisfarle.

Un altro capitolo importante è costituito dall’architettura museale. Essa diviene facilmente terreno di scontro tra le volontà degli architetti di costruire un edificio spettacolare e quella dei curatori e degli artisti di riuscire a realizzare mostre interessanti all’interno di spazi in cui non sono più le opere ma l’architettura a essere protagonista. Infatti, scrive l’autore: “I musei nei quali gli architetti lavorano in stretto rapporto con direttori e curatori (e possono valersi del parere degli artisti) riscuotono maggior successo di quelli in cui gli architetti hanno avuto carta bianca dai politici” (p. 122). Un esempio felice di questa collaborazione è la realizzazione del Warhol Museum, in cui lo stretto rapporto tra l’architetto Richard Gluckman e il curatore Mark Francis hanno consentito la realizzazione di un museo in cui la figura di Andy Warhol è messa bene in luce non solo come artista produttore di opere, ma come intelligente interprete del proprio tempo.

La parte più debole del libro è sicuramente il capitolo relativo agli allestimenti (pp. 163-174), nel quale l’autore sostiene che i curatori degli anni Settanta e Ottanta hanno iniziato a lavorare sulle installazioni astoriche semplicemente “per mettere in evidenza affinità estetiche” e che questa strategia ha avuto tra i suoi più accesi sostenitori curatori come Jan Hoet e Harald Szeemann. Conoscendo, come chi scrive, i due grandi curatori europei, il giudizio appare fortemente riduttivo e superficiale. Poiché entrambi possiedono una forte visione critica che nasce dal contatto diretto con gli artisti e con le loro esigenze creative. Non da ultima quella di dover uscire dagli stessi musei per esporre in luoghi non istituzionali, ottenendo condizioni più favorevoli alla realizzazione delle opere.

Nell’insieme, tuttavia, l’importanza di questo volume consiste nel mettere in evidenza tutti i diversi aspetti che si celano dietro al museo oggi. Sottolineando come questo sia diventato, tra tutte le istituzioni culturari, il polo di attrazione per il grande pubblico che ha maggiore successo e che occupa una posizione di rilievo nella società contemporanea. Il carattere irrisolto e la difficoltà di individuarne un’identità unitaria mostrano ancora più come esso sia diventato lo specchio di una società in trasformazione, quella attuale. Il museo è infatti certamente il luogo principale al quale oggi la nostra società demanda il compito di raccogliere, promuovere e produrre la cultura, non solo visiva.

Ed è per questo motivo che è fonte di problemi non risolti e tuttora aperti ai quali non riesce a trovare soluzioni chiare. Perché, per quanto si sforzi, il museo riesce a coprire solo in parte l’intera gamma della produzione artistica, che si intreccia spesso a pratiche differenti che nascono nelle pieghe di una società votata alla comunicazione e, dunque, soggetta a continui cambiamenti.

Maurizio Bortolotti, critico d’arte

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