Paesaggio italiano

di Roberto Dulio

Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall’Argentario al Conero, Enrico Brizzi, Mondadori, Milano 2005 (pp. 428, Euro 15,00)

Oltre che genere letterario vero e proprio, il carnet de voyage ha sempre costituito un prezioso documento per gli storici dell’arte, dell’architettura, della città, che ne hanno spesso tratto informazioni sulle mete consacrate dal Grand Tour, piuttosto che da meno usuali itinerari. Proprio in un secolo in cui il diario di viaggio sembrava essere destinato al tramonto, almeno nella sua ambientazione europea e soprattutto italiana, Enrico Brizzi gli infonde nuova linfa, e soprattutto, in maniera indiretta, risolleva l’attenzione sull’uso e l’importanza delle fonti non propriamente disciplinari per lo studio del paesaggio, della sua storia e dei suoi cambiamenti.

L’itinerario di Brizzi si svolge a piedi dall’Argentario al Conero, come recita il sottotitolo del libro, dal Tirreno all’Adriatico. Scelta quietamente provocatoria di coniugare il mito del coast to coast d’oltreoceano a più vicini, ma non per questo più noti, luoghi, piuttosto che volontà di misurarsi con una dimensione del viaggio – a piedi – d’altri tempi; quello di Brizzi è prima di tutto un percorso di crescita e maturazione, interiore oltre che letteraria. Più volte ritorna sull’orizzonte la figura del pellegrino medioevale; più volte l’interrogativo è posto sulla relazione fra le persone: l’ostilità, l’amicizia, l’amore, il cambiamento, la famiglia, i legami. Ma anche la descrizione del percorso, dei piccoli borghi e dei paesi più grandi, dei boschi e dei campi, delle strade e delle case, riesce a restituire perfettamente le sottili percezioni del luogo, o almeno di quegli aspetti del paesaggio – nel senso più ampio ascrivibile al termine – che è altrimenti ben difficile individuare, se non con la fotografia.

Come non ritrovare infatti nelle palazzine di periferia, nelle villette isolate, o in altri incerti confini tra città e campagna ben descritti da Brizzi i soggetti prediletti da Luigi Ghirri che, con l’occhio più indulgente del fotografo, fissavano una delle costanti del paesaggio italiano, dal dopoguerra agli anni più recenti. E proprio “Viaggio in Italia” si chiamava la mostra (1984) di cui lo stesso Ghirri era stato uno dei curatori (sull’orizzonte stavano i New Topographics e gli americani della nuova generazione), che comprendeva, oltre a sue foto, altri scatti di giovani fotografi, tra i quali Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi, Mimmo Jodice. Uno scritto di Gianni Celati – Verso la foce – accompagnava l’itinerario fotografico della mostra, fissando con le parole quelle immagini che ritornano costantemente anche nelle pagine di Brizzi.

Ma il paesaggio, le città, i paesi, incarnano anche il rito sociale che li ha generati, mutati, legittimati. E allora anche la descrizione di Brizzi delle “coppiette in visita” a Saturnia che “reggono per i manici buste di carta cariche di souvenir, e i souvenir devono essere bottiglie di extravergine, conserve di funghi e il resto della mercanzia sott’olio e sotto spirito che piccoli negozi dalle insegne in ceramica, tutti carinissimi e magistralmente identici nel modo country-fighetto di proporsi, vendono a ogni angolo del paese” è assolutamente precisa nel fissare sulla carta non solo quello che accade, ma anche i mutamenti e le omologazioni che tale realtà comporta.

Se la campagna, i colli, i monti dell’Appennino denunciano in maniera evidente e riconoscibile il loro carattere di unicità, sono le aree periferiche delle piccole e grandi città a sfumare le une nelle altre, fino a somigliarsi tutte, fino a somigliare a qualsiasi città: “Le cubature disumane dei capannoni industriali affollano la terra di nessuno fra la statale e le carreggiate sopraelevate del raccordo per l’Autostrada del Sole. La semplice espressione ‘strada veloce’ in questo momento preciso ti dà il voltastomaco, e annusarne le esalazioni dopo una giornata fra i campi ti sembra una pena ingiusta. Ovunque si vedono persone sole in viaggio dentro gusci di lamiera. Marciate attraverso la furibonda desolazione della periferia di Perugia, e non fosse per il profilo di pietra dell’Appennino che chiude l’orizzonte da presso, potreste essere ai margini di qualunque città”.

In un momento in cui la disciplina urbanistica sembra avviata verso un approccio sempre più complesso allo studio della città, della sua logica, dei meccanismi di crescita e modificazione dell’ambiente circostante – la città diffusa – e per questo si rivolge a campi del sapere diversi (economia, sociologia, antropologia), un libro come quello di Brizzi diviene pretesto per riportare al centro della discussione l’efficacia di una fonte, quella letteraria appunto (ma potrebbe essere anche quella figurativa) di ben antica e solida tradizione. Un punto di vista, quello della narrazione, che appare spesso più efficace, o forse solo più invitante e culturalmente fondato, di tante pratiche che, per quanto sorprendenti, lasciano spesso perplessi sulla loro reale rilevanza. Per delineare il volto delle città italiane tra XVIII e XIX secolo risulta più incisiva la descrizione di Rome, Naples et Florence (1817) di Stendhal che non la mappa delle contemporanee epidemie di tifo e vaiolo (quella del colera potrebbe essere ben più utile).

Per studiare le città e i paesaggi del XXI secolo una rinnovata formula del carnet de voyage potrebbe servire per affrontare uno sprawl che oltre che urbano rischia di diventare disciplinare.

Roberto Dulio. Architetto

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