Idealismo e anti-Idealismo nella Filosofia Italiana del Novecento, A cura di Piero Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2005 (pp. 496, € 34,50)
Questo volume raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Palermo nel marzo del 2004, e rappresenta la terza parte di un progetto che, negli anni a partire dal 2001, aveva già portato a due altre pubblicazioni su Le avanguardie della filosofia italiana del XX secolo e su Giovanni Gentile. La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, segnalate su questa stessa rivista (cfr. Domus, nn. 853 e 870).
Il volume raccoglie in tutto ventitré interventi, nei quali, oltre naturalmente a Croce e Gentile, ritornano filosofi che è forse improprio definire, come è spesso accaduto, ‘minori’, visto che già da tempo sono stati giustamente rivalutati dagli studiosi (si pensi a personaggi come Martinetti, Pareyson, Banfi, Piovani, Capograssi, Paci, Della Volpe ecc.). C’è spazio anche per una figura interessante e tutto sommato finora poco studiata come Adriano Tilgher, critico acceso del neoidealismo (anche se in gioventù a Croce vicinissimo) ed efficace giornalista-filosofo che contribuì a diffondere in Italia, negli anni Venti e Trenta, pensatori e correnti filosofiche europei (cfr. Rosella Faraone, Adriano Tilgher critico dello storicismo, pp. 29-52).
Una particolare attenzione è dedicata alle riviste filosofiche: si parla de La cultura filosofica di Francesco De Sarlo, della Rivista di filosofia (che ebbe a lungo Piero Martinetti come direttore ‘occulto’) e dell’Archivio di filosofia diretto da Enrico Castelli. Segnaliamo infine l’interessante studio di Luciano Malusa intitolato Ernesto Buonaiuti e l’idealismo di Croce e Gentile (pp. 173-204). Buonaiuti, protagonista della sfortunata esperienza modernistica in Italia, non era una mente filosofica di prim’ordine, e dal punto di vista strettamente filosofico non reggeva il confronto con Croce e con Gentile. Questi due, oltre ad essere stati tra i più decisi critici del modernismo (giudicato un tardivo tentativo di far incontrare due termini inconciliabili come cattolicesimo e pensiero moderno), erano secondo Buonaiuti gli esponenti di una tendenza immanentistica ormai uscita dal cristianesimo (Malusa spiega che per Buonaiuti “l’anti-idealismo significò […] difesa della trascendenza, come carattere di fondo della religione e della teologia cristiane”).
Buonaiuti resta comunque il personaggio più importante della cultura religiosa del primo Novecento italiano, anche per via del complesso e lunghissimo caso che lo vide protagonista, schiacciato dalle concomitanti pressioni del Vaticano e del regime fascista. Nella Presentazione (pp. 9-11), il curatore del volume, Piero Di Giovanni, indica in Croce e Gentile “due punti di sicuro riferimento” per la ricostruzione della filosofia e della cultura italiana della prima metà del Novecento. In effetti, la preminenza di questi due personaggi risulta difficilmente contestabile, e certamente non trova una spiegazione, come a lungo è stato polemicamente fatto, in un presunto regime culturale di dittatura neoidealistica.
Quella del dominio incontrastato da parte di Croce e di Gentile (che avrebbe addirittura, secondo alcuni, trascinato la cultura italiana nel baratro della ‘provincialità’) è in realtà una tesi storiografica che ha fatto il suo tempo. In primo luogo, va tenuto presente che la maggiore rilevanza di Croce e Gentile è dovuta alla qualità della loro proposta filosofica, accompagnata da un piano culturale portato avanti con fermezza e coerenza. Inoltre, non va dimenticato che il panorama italiano si presentava assai più mosso di quanto non si sia a lungo creduto, sia per il fatto che le posizioni di Croce e Gentile solo per una semplificazione fuorviante possono essere raccolte sotto la comune dizione di “neoidealismo italiano”, sia per il fatto che altre tendenze si fecero valere, spesso con successo, contro i programmi crociani e gentiliani. Basti a questo proposito ricordare il peso avuto dal Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica del 1929, un evento che non solo venne censurato dall’antifascista Croce, ma che mise in difficoltà Gentile all’interno del fascismo, favorendo per contro l’opera politico-culturale di padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica di Milano e agguerritissimo sostenitore della corrente neoscolastica. Le Conclusioni (pp. 481-483) del volume, affidate a Fulvio Tessitore, forniscono alcune indicazioni preziose in tal senso.
Scrive Tessitore: “Non è mai esistita una ‘egemonia’ idealistica nei termini un po’ rozzi coi quali talvolta essa è stata sostenuta. Infatti […] il quadro in cui Croce e Gentile hanno operato era molto articolato, frastagliato, complesso e complicato” (p. 482). Non, dunque, una atmosfera omogenea e permeata da un’unica posizione culturale; e nemmeno una “scuola neoidealistica” compatta, capace di raccogliere insieme i nomi di Croce e Gentile e dei loro seguaci. Gli storici della filosofia in particolare hanno da tempo rimarcato la presenza di spunti speculativi differenti e potenzialmente contrastanti negli scritti dei due filosofi, anche in quelli risalenti agli albori della loro collaborazione, quando ancora si presentavano sulla scena come propugnatori di un comune pensiero e programma culturale dalle pagine della rivista La critica.
Queste divergenze, per così dire allo stato ‘germinale’, vennero a lungo lasciate inespresse dagli stessi Croce e Gentile, preoccupati, piuttosto che di differenziarsi e dunque di duellare tra di loro, di portare avanti la battaglia di svecchiamento del sapere nazionale. Sempre Tessitore rimarca come l’accordo tra Croce e Gentile si sia instaurato e cementato soprattutto nella parte distruttiva e critica, indirizzata a colpire la cultura positivistica contro la quale mossero la loro opera culturale. Per quel che riguarda il lato propositivo, l’ideale “Nuova Italia” del primo avrebbe dovuto porsi in ideale continuità con la storia d’Italia precedente.
In Gentile, invece, questa “Nuova Italia” avrebbe dovuto nascere da una frattura radicale rispetto ad una certa tradizione italiana imperniata sulla figura del ‘letterato’, uomo “diviso in due”, raffinato erudito incapace di tradurre il suo sapere in solida vita morale. La differenza dei loro progetti si sarebbe esplicitata anche nel diverso atteggiamento tenuto da questi due formidabili intellettuali a partire dal 1925 di fronte al fascismo. Il movimento di Mussolini fu, secondo Croce, una rottura negativa rispetto ad una tradizione che andava invece arricchita, ma non soppressa; doveva invece rappresentare, per Gentile, una rivoluzione positiva capace di cancellare lo spettro umiliante dell’”Italietta” e di risollevare moralmente la nazione.
Giovanni Rota Storico della Filosofia
