José Antonio Coderch. La cellula e la luce, Luigi Spinelli, testo&immagine, Roma, 2003 (pp. 93, Euro 12,39)
“Architecture comes from the making of a room”. La celebre frase di Louis Kahn si adatta perfettamente alla metodologia compositiva di José Antonio Coderch, anche se null’altro pare leghi l’architettura dei due maestri. L’architettura di Coderch non scaturisce da una teoria ma da una sorta di ordine interiore. Il suo più celebre aforisma è quel “no son genios lo que necesitamos ahora”, titolo di un articolo pubblicato nel Novembre 1961 su Domus.
Egli non scrisse molto, tantomeno trattati o saggi teorici, ed in molti dei suoi testi emerge una posizione antiaccademica di sostegno ad un rigore operativo professionale fondato da un lato su un corretto rapporto con il cliente e dall’altro su una sorta di moralità del costruire, basata sull’onestà dei materiali, sulle textures, sulla componente fisico-tettonica dell’architettura più che su (anzi avverso) quella teorico-spaziale. Una posizione molto diversa da quella della cultura accademica italiana, ma vicina ad alcune figure come Ponti o Gardella, che si spiega sia con il contesto culturale catalano, sia con l’attitudine personale di Coderch a quel famoso rigore probabilmente datogli in eredità da Jordi Jujol, l’allievo di Gaudí.
Emerge un approccio distaccato, basato su pochi elementi, come la stesura di un fitto programma preliminare, derivante dal contatto col cliente. Negli schizzi raccolti dall’Arxiu Coderch se ne hanno molti esempi. La sua opera può essere suddivisa grossolanamente in tre periodi successivi. Il primo corrisponde agli anni dell’impegno sociale nella battaglia contro il barraquisme, triste retaggio della lunga guerra spagnola, con la definizione di standard abitativi più civili per l’Obra Sindical del Hogar, OSH, e del suo interessamento all’architettura mediterranea. Come è noto, forte in questo periodo fu l’influenza di Gio Ponti che portò l’architettura spagnola su Domus e Coderch a realizzare il famoso e alquanto contestato, al tempo, padiglione spagnolo alla IX Triennale del 1951.
La ricerca di un’architettura semplice, basata su muri bianchi, aperture misurate, rispetto per una secolare tradizione locale del costruire, porterà Coderch a realizzare le maggiori opere di questo periodo, come la serie di case OSH a Sitges del 1944, vera e propria siedlung (vedere la pianta del complesso), interpretata attraverso materiali e tecniche costruttive tradizionali, incorporando i caratteri stilistici dell’architettura mediterranea. ll complesso dell’ OSH a Moncada i Reixac del 1945 reinterpreta, replicandola in due gruppi di quattro edifici ciascuno, la casa tradizionale di campagna della Cataluña, ovvero la Masia. In queste realizzazioni emerge la volontà di dotare l’abitazione di un “medio benestar”: né existenz-mininum né spreco di spazio.
All’amicizia con Ponti e ad una presunta imitazione delle sue case sulla costa pacifica statunitense si sovrappone dunque una profonda adesione e reinterpretazione delle radici costruttive della nazione di appartenenza, ma le piante di Sitges o del complesso di viviendas protegidas di Roses (Girona) sono razionali, perfettamente inserite all’interno dell’architettura moderna europea. Nel famoso complesso Les Forques a Sitges, il rapporto tra materiali e tecniche tradizionali, corrispondenti ai fronti, e la composizione per unità-stanze porta a piante compiutamente razionali. La pianta a ‘T’ del tipo edilizio D di Les Forques (1945), ‘mediterraneo’, non è molto dissimile da quella della famosa casa Catasús (1956), quasi ‘miesiana’ nella parte esterna. Al termine di questo periodo possiamo porre casa Ugalde (1951). Uno schizzo dell’autore per il patio interno, con la scala esterna al piano superiore, assomiglia, nello schizzo ma non nella realizzazione, alla medesima soluzione adottata da Gio Ponti per Villa Marchesano (1939).
Il secondo periodo coincide con la massima espressione della sua poetica; la successione dei progetti e delle realizzazioni, tra la villa Catasús e gli edifici urbani degli anni Sessanta, come la celebre casa de pisos in Barceloneta, portano a compimento la metodologia compositiva basata sul rapporto tra stanza, muro e finestrature. In questo periodo la sperimentazione sulla composizione dell’abitazione giunge a completa maturazione. Il meccanismo aggregativo agisce per stanze e spazi di connessione alle medesime, a partire da un nucleo centrale che può esser individuato nell’insieme cucina-spazi di servizio, dal quale, nelle direzioni privilegiate offerte dal contesto, nascono quasi per gemmazione il soggiorno e la sala da pranzo con la loro proiezione all’esterno, nel patio, da una parte e la serrata sequenza di camere da letto con relativi bagni dalla parte opposta.
Talvolta a questa tripartizione si aggiungono locali destinati ai domestici oppure agli ospiti. All’interno di questo insieme di parti (e torna in mente la “società di stanze” di cui parlava Kahn) la “zona notte” appare composta da celle quasi conventuali, che ricordano analoghe sperimentazioni lecorbuseriane e che, come nelle certose, hanno vista e accesso ad uno spazio esterno ad esse deputato. Quest’ultimo, corredato dall’immancabile piscina nelle ville extraurbane come nella casa Uriach del 1961 che assurge a modello per altre realizzazioni, costituisce una sorta di replica o proiezione dello spazio interno dell’abitazione, quasi una sua immagine sdoppiata, condividendone quote di calpestio e differenze di livello. Il rapporto tra interno ed esterno è infatti uno degli elementi fondamentali della metodologia del maestro catalano. Che egli non fosse alieno dal valutare positivamente il ruolo del contesto nella progettazione lo dimostrano, tra gli altri possibili esempi, gli schizzi preparatori per casa Ugalde, in cui sono minuziosamente riportate distanze e posizioni dei pochi alberi preesistenti e i suoi appunti dai quali emerge la volontà di inserirsi all’interno del paesaggio, di straordinaria bellezza e potenza, e oppure gli schizzi per casa Puertas in Sitges dove in arancione sul disegno preparatorio della villa (poi abbandonato per una disposizione più convenzionale) sono sovrapposti veri e propri tracès regulateurs.
La metodologia aggregativa, che ha nelle ville Uriach e Rozes i suoi esempi più cristallini, verrà poi replicata sempre più ossessivamente sino a giungere al diapason nel complesso del Banco Urquijo Barcelona (1967) e nel concorso per il poligono Actur Lacua a Vitoria (1976), nel quale si può osservare come essa non riesca a superare il livello di scala dell’edificio, singolo o aggregato, per divenire modulo urbano. Sebbene in Coderch siano state molte le influenze assorbite, da quella mediterranea di Ponti a quella americana di Neutra, a quella di Mies per alcuni aspetti, non sembra aver avuto particolare rilevanza, per la sua poetica, la corrente organica od organicista del Movimento moderno, nonostante i contatti con Zevi e qualche isolato accenno alle Usonian houses.
Parlare di “organismo cellulare” sembrerebbe dunque azzardato. Casa Uriach è un episodio di un’architettura apparentemente organica all’interno di una metodologia razionale se non quasi funzionalista, così come la cappella di Ronchamps non annulla in Le Corbusier l’Unité d’habitation. La cellula di Coderch è l’unità minima abitabile, potremmo dire, “di grandezza conforme”. Del resto per casa Masoliver a Mallorca (1951), una delle meno pubblicate, esistono due ordinamenti di pianta, l’anteproyecto ‘organico’ con muri curvi e stanze ‘cellulari’, ameboidi, ed il disegno definitivo a china prettamente ortogonale. In entrambi i casi, come in tutta la sua architettura, fondamentale è il muro, qualsiasi forma esso assuma, il paramento murario che diventa a volte solido, spesso, impenetrabile e si fa portante, diviene altre volte semplice tavolato oppure diaframma permeabile alla luce, sia in entrata (luce solare) che in uscita (luce artificiale).
Molte foto dello stesso maestro dimostrano la sua attenzione per la parete diaframmatica, che svela di notte o al crepuscolo la vita interiore dell’edificio attraverso le pannellature vetrate e grigliate. La dimostrazione di questa variazione sul tema è costituita dall’edificio per l’Instituto Social de la Marina in passeig Joan de Barbò, a Barceloneta, nella quale esso opera sia come elemento dispositivo o portante sia come involucro, con la finestratura schermata dai celebri grigliati mobili. Il muro, la luce, il diaframma appaiono come elementi fondamentali dell’opera di Coderch, fatto che viene opportunamente rilevato da Luigi Spinelli.
Il terzo ed ultimo periodo della sua vicenda architettonica è quello più negletto dalla critica, sebbene le sue realizzazioni siano state ampiamente pubblicate su riviste di rango internazionale. Si tratta di un periodo di lenta decadenza, anche fisica, che parte dalle torri Trade di Barcellona del 1969 per giungere agli edifici del Banco Urquijo del 1972. Nonostante tutto, il ‘gioco’ compositivo resta lo stesso. Ne danno testimonianza le pareti perimetrali dell’Institut Francés (Barcellona, 1975), paramenti traforati da finestrature seriali, le superfici lisce e cangianti in courtain wall del complesso Trade, in cui si riconosce ancora la tensione verso la definizione di un rapporto diaframmatico tra esterno ed interno dell’organismo architettonico, e l’ampliamento della Scuola di Architettura di Barcellona del 1978 nel quale lo spazio esterno si insinua mirabilmente in quello interno in un rapporto di pianta che ricorda l’edificio Girasol a Madrid (1966).
Il volume di Luigi Spinelli raccoglie e interpreta in modo efficace, con molte citazioni ed ampi rimandi bibliografici, la serie delle principali architetture di Coderch, costituendo, dato il formato, un’agile guida all’opera ed alla biografia essenziale del maestro catalano. I suoi schizzi, gli scritti ed i disegni originali sono raccolti nell’Arxiu Coderch, che fa parte della Escola Tècnica Superior de Arquitectura del Vallès, a Sant Cugat del Vallès, vicino a Barcellona.
Fabrizio Zanni, docente di Composizione architettonica al Politecnico di Milano
