Il percorso e il sistema

di Manolo De Giorgi

Paulo Mendes da Rocha, a cura di Rosa Artigas, Cosac & Naify, São Paulo, 2002 (pp. 240)

Avviso agli utenti-amanti della scatola ferro/vetrinistica, della parola magica pelle (o doppia pelle) e delle facciate texturizzate buone per il 3D: non troveranno in queste 240 pagine argomenti fotocopiabili per la loro architettura d’immagine. C’è piuttosto nel lavoro di questo architetto paulista l’insistenza demodé attorno al concetto di struttura inteso come un percorso-sistema tale per cui una qualsiasi modificazione di uno degli elementi comporta una modificazione di tutti gli altri.

E così l’ambiente fisico genera l’impianto, l’impianto genera la maglia, la maglia genera la struttura, la struttura genera ad un primo livello la distribuzione dell’alloggio o del servizio che sia, (ma a quel punto sono l’alloggio o il servizio che hanno già inviato da tempo alla struttura le loro richieste), la struttura genera anche ad un secondo livello (ed in contemporanea) l’attrezzatura.

Il dettaglio, lungi dall’essere una pleonastica guarnizione, è compreso in tutti questi passaggi e da essi si alimenta cammin facendo al punto che un giunto di dilatazione può diventare un segno di identificazione immediata del percorso progettuale di montaggio costruttivo (come nell’appoggio della grande trave a sbalzo su due mensole per casa Gerassi a San Paolo).

Quella di Mendes da Rocha è un’opera di idee, di impianto e di concetto e sorprendentemente di geografia, in un paese che ha una tradizione di paesaggismo forte ed una tradizione dell’oggetto architettonico plastico ugualmente forte, ma che certo ha visto prodursi negli ultimi decenni nel terreno intermedio tra questi due poli un certo vuoto.

È forse disegno urbano ciò che va ad occupare Mendes con la sua opera? Non proprio, e non in un senso strettamente europeo. Lo dice chiaramente egli stesso nella prefazione del libro che sarebbe un falso non voler perseguire per il Brasile una tradizione della modernità autoctona del tutto lontana dalla sue tracce coloniali. Il Brasile è America, e l’architettura in quel continente è costretta a misurarsi con un altro concetto di urbano.

A quelle latitudini non ha senso pensare ad un’architettura interstiziale: i larghi margini in cui gli edifici galleggiano intrattengono un gioco di relazioni più con il contesto fisico che con la catena storica dell’architettura culturalizzata, dove però non basta neanche accontentarsi del gioco gestaltico figura/sfondo di certe trappole plastiche di Niemeyer. Piuttosto si tratta di indagare la potenzialità stratigrafica di un rapporto ancora vasto e disponibile con il terreno, una sorta di nuova dimensione geografica per il vuoto che Mendes fa sconfinare nella relazioni intra-moenia toccando argomenti anche molto antropici.

Nelle sue sezioni schizzate e ‘stirate’ parla di uno spazio che trapassa l’architettura e penetra dentro le quattro mura dell’alloggio in ambienti sempre ammiccanti al movimento, dove si moltiplicano gli spazi a pianta rettangolare in funzione di attraversamenti e percorsi lineari (Edificio Jaraguà o Edificio Guaimbê). Maestro dell’attacco a terra, in quello spazio super-umano che si sviluppa tra -300 e +600, tra un livello sottoterra e due fuori terra, Mendes concentra qui una sorta di particolare sensibilità. Sia che si tratti di un ambiente metropolitano, del fuori o del nulla territoriale, ci mostra sempre l’aleatorietà dell’attacco a terra di un edificio, la sua messa in relazione quasi transitoria (eppure stabile) con il terreno (Centro Culturale FIESP, Museo Brasileiro di Scultura, Club Atletico Paulistano).

Al principio della permeabilità dei corpi non si deve sottrarre neanche l’architettura, ma non attraverso una ‘pelle’, una maglia metallica di lamiera grigliata o forata o altri diaframmi più o meno osmotici, quanto attraverso la sua sezione, che va variamente articolata e scavata per piani, per tagli orizzontali, per pertugi. È un’idea dell’aperto sui generis, con l’apporto fondamentale dell’aria come elemento costruttivo dell’architettura.

Tipologicamente Mendes elabora una catena di ragionamenti sul tipo inconsueto del padiglione sospeso (qualcosa di più della tenda, qualcosa di meno dell’edificio), sull’edificio a ponte o sull’edificio a piastra, prodotti dei suoi scavi e della sua passione stratificante che niente hanno però a che fare con certa durezza costruttiva di equivalenti esempi europei non sorretti dalla stessa dimensione ambientale. Il suo cemento armato a vista elegantemente disegnato da impronte di casseforme di ottimi legni filtra leggero nella dimensione urbano-territoriale ed è ancora una volta una conferma che la migliore eredità lecorbusiana abiti qui e si sia prodotta anti-accademicamente proprio qui con un apporto di novità al piano dell’architettura.

In un paese tropicale dove un fronte commerciale viene risolto il più delle volte passando da una serranda metallica al contatto diretto con la merce senza l’intermediazione di un vetro, questa architettura è un inno al non-chiuso e legge la specificità di un habitat potenzialmente illimitato.

Manolo De Giorgi, architetto
Il Club Atletico di San Paolo realizzato da Mendes da Rocha nel 1958. Nella giuria del concorso erano Rino Levi, Plinio Croce, Rubens Carneiro Viana
Il Club Atletico di San Paolo realizzato da Mendes da Rocha nel 1958. Nella giuria del concorso erano Rino Levi, Plinio Croce, Rubens Carneiro Viana

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