Moshi è un'azienda specializzata in borse, zaini e custodie protettive nata nel 2005, all'alba del boom tecnologico “mobile” che ha rovesciato tanto aspettative e cambiato il nostro modo di vivere — non a caso Moshi è di San Francisco, a due passi dalla Silicon Valley, che di quel boom è il luogo simbolo. Quella a cui abbiamo assistito nello scorso decennio è stata una vera e propria rivoluzione nel nostro modo di abitare gli spazi: lo smartphone e le tecnologie di connessione hanno trasportato fuori dalle case e dagli uffici operazioni che prima erano soprattutto legate a un luogo fisico, alla possibilità di allacciarsi fisicamente a una rete o utilizzare un terminale cablato, che fosse un computer o un tv o un telefono. Via via, le funzioni sono state integrate nel pacchetto software di smartphone, tablet e computer portatili. Non che prima nessuno avesse mai visto un film sul treno o scritto una mail di lavoro dall'aeroporto, ma questa è diventata la nuova normalità. Se il nomade digitale per anni ha rappresentato una creatura quasi mitologica, l'ideale di tanti freelance, oggi l'idea di lavorare in mobilità è la normalità. E le aziende si stanno lasciando indietro l'idea della postazione fissa anche in ufficio.

I dispositivi si sono evoluti e sono cambiati i contenitori che usiamo per trasportarli. Pochi oggetti sono più rappresentativi della vita dei nostri anni dello zaino, che è diventato l’ufficio mobile di tantissimi professionisti, creativi e non. La sfida, ovviamente, è quella di creare un design così versatile da condensare in un unico contenitore tutte le diverse necessità che sopravvengono nel corso di una giornata o di un breve viaggio di lavoro. Quello di creare un design modulare è la risposta più frequente a questo genere di esigenza. Lo zaino Captus di Moshi approccia il problema partendo da un fattore di forma classicissimo, quello dello zaino a sacco, tornato popolare nelle città di tutto il mondo sulle spalle dei messenger in bici. Partendo da questo semplice fattore di forma, Moshi ha aggiunto tasche (due laterali, una frontale, sul fondo per abiti umidi e scarpe, e una tasca napoleone con protezione RFID) e un comparto per il laptop o il tablet, dotato di una ulteriore serie di tasche interne. Una serie di cinghie, mutuate dagli zaini per la montagna, sono state pensate per agganciare oggetti, ma al tempo stesso rischiano rendere più scomodo l’utilizzo. Lo schienale è rinforzato e traspirante. Due le colorazioni disponibili: beige arenaria e blu denim.

Uno zaino a sacco con la chiusura arrotolabile rappresenta una delle soluzioni più versatili perché si adatta nelle forme all'ingombro di ciò che viene trasportato. In questo caso, un carico potenzialmente notevole, considerati i 45 litri di capienza. Eppure Captus risulta uno zaino di proporzioni medie, quindi agile soprattutto in contesto urbano, se non è pieno. Sono le due zip collocate sulla parte frontale a renderlo speciale: non soltanto consentono di organizzare più velocemente i contenuti all'interno della borsa, dando la possibilità di sdraiarlo sullo schienale e riempirlo come si farebbe con un trolley, ma semplificano e velocizzano l'accesso quando si è in movimento, che in questo genere di bagaglio è solitamente la parte più laboriosa — srotolare, scorrere la zip e pescare nel sacco non è una operazione veloce, e spesso richiede che lo zaino venga poggiato su un piano rialzato o a terra. Una soluzione che risulta ancora più utile in contesti dove lo spazio di manovra è poco, come aerei o mezzi pubblici. Peccato invece per i materiali, che sono belli, funzionali e resistono bene agli agenti atmosferici, ma al tatto risultano freddi, poco piacevoli, soprattutto a causa dell’impiego di una fibra ruvida e sottile.

Un campione dello zaino Captus è stato fornito da Moshi per la realizzazione di questo articolo.